La massima

In merito all’imputazione per il reato di lesioni personali colpose, subite dal lavoratore, il datore di lavoro è il garante dell’incolumità del lavoratore con la conseguenza che ove non ottemperi agli obblighi di tutela impostigli dalla legge, risponde dell’evento lesivo in forza del principio secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 14404 del 16 aprile 2012

Fatto

-1- Con sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Roma, del 1 febbraio 2008, (Omissis), titolare di omonima ditta corrente in (Omissis), è stato ritenuto colpevole del delitto di lesioni personali colpose commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio della dipendente (Omissis) -capo B) dell’imputazione-, nonchè dei reati contravvenzionali connessi alle specifiche norme prevenzionali violate -capo A)- e dei reati di cui al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, articolo 22, comma 10 e successive modifiche (per avere occupato alle proprie dipendenze cittadini di nazionalità (Omissis) – la (Omissis) – e polacca – (Omissis) – sprovvisti del permesso di soggiorno -capo C)-), nonchè 81 cpv cod. pen. e 2 del Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella Legge 11 novembre 1983, n. 638, e successive modificazioni (per avere omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali previste dalla legge -capo D-). All’affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell’imputato, ritenuta la continuazione tra i reati contestati, alla pena complessiva -sospesa alle condizioni di legge- di mesi nove e giorni quindici di reclusione, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile, alla qualeha assegnato una provvisionale di 10.000,00 euro.

Secondo l’accusa, condivisa dal giudice del merito, l’imputato, nella richiamata qualità, ha provocato alla dipendente, intenta a perforare del ferro con un trapano a colonna, per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nel non avere dotato l’organo lavoratore del trapano di idonea protezione contro il pericolo di trascinamento durante le lavorazioni, lesioni personali consistite nella frattura esposta dell’avambraccio sinistro con lussazione del gomito sinistro. Lesioni conseguite al trascinamento dell’arto della operatrice nell’organo lavoratore di detta macchina provocato da un truciolo di ferro che si era attorcigliato alla punta del trapano e si era impigliato nella manica del vestito della donna, che dal contatto con il trapano ha riportato le lesioni sopra descritte.
-2- Su appello proposto dall’imputato, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 5 novembre 2010, in parziale riforma della decisione impugnata, ha dichiarato non doversi procedere per i reati di cui ai capi A) e C) perchè estinti per prescrizione, con conferma nel resto e rideterminazione della pena in mesi otto e giorni quindici di reclusione.
-3- Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, il (Omissis), che deduce, con unico motivo, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della mancanza, della contraddittorietà o della manifesta illogicità della stessa. Sostiene il ricorrente che il giudice del gravame avrebbe travisato le dichiarazioni di alcuni testi ( (Omissis), (Omissis), (Omissis) e della stessa persona offesa) ovvero avrebbe erroneamente valutato l’attendibilità e la concludenza delle prove acquisite (dichiarazioni rese dai predetti testi e da (Omissis), (Omissis) e (Omissis)), avendo altresì omesso di pronunciarsi rispetto alle specifiche censure in proposito articolate nell’atto di appello.

Diritto

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi proposti.
Deve, in proposito, osservarsi che questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. Il vizio è altresì presente nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni articolate e la soluzione decisionale prescelta.
Orbene, nel caso di specie le censure mosse dal ricorrente, che in generale ripropongono questioni in punto di fatto, peraltro già poste all’attenzione dei giudici del merito, si rivelano del tutto infondate, inesistenti essendo, in realtà, i pretesi vizi motivazionali della sentenza impugnata che, viceversa, presenta una struttura argomentativa adeguata e coerente sotto il profilo logico.

Riprendendo le linee propositive tracciate dal primo giudice a sostegno della propria decisione, i giudici del gravame hanno esaminato le tematiche essenziali della vicenda sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive.
Essi hanno dunque ribadito, in piena sintonia con le emergenze probatorie in atti, la responsabilità dell’imputato, radicata su un’organica e corretta valutazione di tali emergenze, rappresentate, oltre che dalle dichiarazioni della vittima, anche dalle testimonianze in atti, grazie alle quali è stato ribadito che la (Omissis) aveva certamente con l’imputato un rapporto di prestazione d’opera, saltuario quanto si vuole, e tuttavia incontestabile, e che la donna si era infortunata mentre era in funzione il trapano a colonna, nei cui pressi ella certamente si trovava, tanto che era stata la stessa sorella dell’imputato, (Omissis), a trovarla riversa sull’attrezzo, con il quale la vittima era evidentemente venuta accidentalmente a contatto. Mentre le condizioni di rischio nel quale veniva adoperato detto strumento sono state incontestabilmente accertate, essendo chiaramente emerse in sede di rilievi tecnici, ed attestate dal funzionario dell’Ufficio del lavoro intervenuto.
Se così è, del tutto irrilevanti si presentano gli argomenti, proposti dal ricorrente, concernenti la natura non stabile, bensì occasionale e saltuaria del rapporto lavorativo che lo legava alla vittima ed il tipo di mansioni da questa svolte, così come nulla rilevano i presunti travisamenti della prova da parte del giudice, la pretesa inattendibilità della vittima e di alcuni testi su circostanze secondarie e prive di effettivo rilievo.
Invero, ove anche volesse negarsi credito alla vittima ed ai testi, che hanno riferito che la donna si era infortunata mentre era intenta a manovrare il trapano, non cambierebbe la posizione dell’imputato.
In realtà, ciò che, ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato, conta, e che nessuno ha posto in dubbio è, invero: a) che la (Omissis) lavorava certamente, ove anche saltuariamente, presso l’azienda dell’imputato; b) che la lavoratrice è rimasta infortunata mentre il trapano a colonna era in funzione; c) che detto trapano, chiunque lo stesse manovrando, era privo di idonee e doverose protezioni. Se tali circostanze sono chiaramente emerse dagli atti, e non sono state neanche negate dall’imputato, gli argomenti proposti nel ricorso si rivelano inconferenti, poichè la responsabilità del datore di lavoro è stata giustamente collegata proprio alla messa a disposizione dei dipendenti di un attrezzo pericoloso perchè non in grado di garantire la sicurezza di chiunque -lavoratore stabile o saltuario, addetto alle pulizie o ad altre mansioni, ovvero anche terzo estraneo all’azienda- si fosse trovato a transitare nei pressi.

E dunque, premesso che, in perfetta sintonia con gli elementi probatori acquisiti, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la (Omissis) si è infortunata mentre lavorava al trapano a colonna, deve rilevarsi come, ove anche volesse ritenersi che la donna era solo addetta alle pulizie e che si fosse trovata per caso a transitare nei pressi dell’attrezzo mentre lo stesso era in funzione, comunque, emergerebbe la responsabilità dell’imputato per i fatti oggetto di contestazione.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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