Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 11 luglio 2017, n. 17100

Nel regime di lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente ha diritto al risarcimento del danno previsto dall’articolo 36, comma 5, del Dlgs 165/2001 con esonero dell’onere probatorio.

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

ordinanza 11 luglio 2017, n. 17100

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21523/2013 proposto da:

COMUNE DI FIRENZE, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 488/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/05/2013 R.G.N. 501/2011.

RILEVATO

che il Tribunale di Firenze, accertata la nullita’ dei sedici contratti a tempo determinato stipulati tra il Comune di Firenze e (OMISSIS) tra il 2000 ed il 2006, esclusa la domandata conversione di tali contratti in contratto a tempo determinato, aveva condannato il Comune di Firenze a pagare alla (OMISSIS) a titolo di risarcimento del danno la somma corrispondente a venti mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori;

che la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza n. 488 in data 13.5.2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha limitato la condanna risarcitoria del Comune al pagamento di quindici mensilita’ dell’ultima retribuzione;

che avverso detta sentenza il Comune di Firenze ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso (OMISSIS).

CONSIDERATO

che con il primo motivo il ricorrente addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 e dell’articolo 31 del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali del 14.9.2000 per avere la Corte territoriale affermato la nullita’ della clausola appositiva del termine di durata ai contratti dedotti in giudizio e assume che in realta’ organizzative complesse, quale quella di esso Comune, l’onere di specificazione delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine deve ritenersi assolto quando l’indicazione emerga da una serie di elementi idonei ad identificare la collocazione dei lavoratori e le loro mansioni all’interno di una funzione produttiva aziendale specifica temporaneamente scoperta e deduce che le esigenze temporanee dei rapporti intercorsi con la (OMISSIS) erano insite nelle caratteristiche della selezione effettuata attraverso la procedura ad evidenza pubblica per la formazione delle graduatorie di personale da assumere a tempo determinato nel profilo di educatore degli asili nido, cui attingere in caso di temporanea assenza del personale di ruolo;

che con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36; della L. n. 300 del 1970, articolo 18, commi 3 e 5 (nel testo vigente dal 18.7.2012); del Decreto Legge n. 207 del 1978, articolo 5, comma 12, conv. in L. n. 3 del 1979 e della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, oltre che dei principi in materia di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo, dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dei principi di eguaglianza, uniformita’ di trattamento, proporzionalita’ e graduazione delle sanzioni per non avere la Corte territoriale considerato che la (OMISSIS) non aveva allegato e provato il pregiudizio economico derivatole dalla stipula dei contratti a tempo determinato;

che il primo motivo e’ infondato nella parte in cui addebita alla sentenza violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, perche’ la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte (Cass. 17155/2015, 2680/2015, 1547/2012, 2279/2010) alla fattispecie dedotta in giudizio, avendo accertato che nei contratti stipulati con la (OMISSIS) l’apposizione della clausola di durata risultava giustificata con generico riferimento al “funzionamento degli asili nido”, che i medesimi non indicavano alcuna ragione giustificatrice della assunzione a tempo determinato in relazione alla apposizione del termine e che era emerso, al contrario, dalle Delib. comunali che la (OMISSIS) era stata sempre impiegata per lo svolgimento dell’ordinario servizio di educatrice degli asili nido;

che il primo motivo e’ inammissibile nella parte in cui, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge e di contratto collettivo, mira ad un non consentito riesame del materiale istruttorio (Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005);

che le questioni poste con il secondo ed il terzo motivo sono state affrontate da questa Corte con le sentenze n. 25547 del 2016 e nn. 4630, 4631, 4632, 5315, 5319, 5456 del 2017 e con l’ordinanza n. 27452 del 2016 (pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella dedotta in giudizio) con le quali si e’ evidenziato che i principi affermati dalle Sezioni Unite sulla interpretazione adeguatrice del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, al diritto dell’Unione (Cass. S.U. 5072 del 2016) devono essere estesi, da un punto di vista soggettivo, alle fattispecie in cui la conversione non puo’ operare in ragione della natura pubblica in senso sostanziale del soggetto che figura quale datore di lavoro; che detta interpretazione adeguatrice si giustifica in relazione alla necessita’ di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE (Cass. S.U. n. 5072 del 2016, cit.) e, concernendo quest’ultima la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti o rapporti a termine, non puo’ logicamente trovare applicazione nell’ipotesi, in cui l’illegittimita’ concerna l’apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro (in tal senso le sentenze nn. 4632, 5315, 5319, 5456/2017; Ordinanza n. 27452/2016, cit.);

che le Sezioni Unite nella richiamata sentenza n. 5072 del 2016 hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori i quali, stante il divieto di conversione, non possono essere commisurati alle retribuzioni perse;

che non e’ in discussione il fatto che la (OMISSIS) non allego’ null’altro se non il valore delle retribuzioni perse, che non possono integrare danno ingiusto nel momento in cui il soggetto, in assenza del positivo superamento della procedura concorsuale, non ha diritto alla costituzione del rapporto;

che sulla base delle considerazioni sopra esposte, quanto alle conseguenze della ritenuta nullita’ della clausola appositiva del termine apposta ai contratti dedotti in giudizio, deve ritenersi superato l’orientamento espresso da Cass. nn. 19112, 188855, 17588, 17587 e 17546 del 2014, perche’ anteriore a S.U. n. 5072/16, e pertanto devono essere accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso giacche’ la Corte territoriale ha riconosciuto in favore della lavoratrice controricorrente il diritto al risarcimento del danno in ragione della accertata nullita’ dei plurimi contratti a tempo determinato stipulato tra la prima ed il Comune di Firenze, escludendo la necessita’ di specifiche prove ed allegazioni, e lo ha parametrato alla fattispecie della perdita del posto di lavoro nell’impiego privato in caso di licenziamento illegittimo (L. n. 300 del 1970, articolo 18).

che, sulla scorta dei principi innanzi richiamati, la sentenza impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che decidera’ la causa adeguandosi al seguente principio di diritto: “Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il 2016 divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5 e quindi nella misura pari ad un’indennita’ onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, articolo 8” e provvedera’ anche alla regolazione delle spese delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il primo motivo.

Accoglie il secondo ed il terzo motivo.

Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

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