cassazione 7
Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 15 maggio 2015, n. 10038

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28 febbraio 2012, la Corte d’Appello di Milano, confermava la decisione con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda proposta da G.B. nei confronti della Bastogi S.p.A., alle cui dipendenze aveva prestato la propria attività lavorativa a far data dal 10 luglio 2008, per essere stato, nel quadro di un processo di accentramento presso la Bastogi S.p.A. dei servizi generali del Gruppo Cabassi cui la stessa Società faceva capo, ad essa ceduto il suo contratto di lavoro già in essere con altra società del Gruppo Cabassi, la Forumnet S.p.A., operante nel settore degli “eventi”, presso la quale la B. aveva svolto in successione, mansioni di account, di responsabile fiere e concorsi e di addetta all’ufficio acquisti, domanda avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole dalla Società datrice, contestualmente ad altri quattro licenziamenti cui, senza dar corso ad alcuna procedura sindacale, in ragione della qualifica dirigenziale di due degli interessati dal provvedimento, la Società aveva proceduto nei confronti di tutti gli altri dipendenti come la B. addetti all’ufficio acquisti presso la Direzione Servizi Generali – articolazione aziendale avente la funzione di rendere, anche in appalto, i vari servizi a tutte le società del Gruppo Cabassi e strutturata in cinque reparti (acquisti, information technology, organizzazione, segreteria di direzione, personale ausiliario) – avendo per tutti invocato a motivo dell’intimato recesso la chiusura della Direzione medesima, presso la quale, tuttavia, a ridosso del suo licenziamento, erano stati assunti due dirigenti e formalizzata la cessione di contratto dalla Forumnet S.p.A. di altro dipendente, poi rimasto, come gli altri addetti alla Direzione predetta, ad operare a favore delle altre società del gruppo.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa disatteso in via preliminare la doglianza relativa all’invalidità del licenziamento sotto il profilo procedurale, dovendosi escludere, per la non computabilità dei licenziamenti intimati al personale con qualifica dirigenziale né delle cessazioni determinate da cause diverse dal licenziamento, l’applicabilità alla fattispecie della disciplina in materia di licenziamenti collettivi ex lege 22311991; ritenuto, in considerazione dell’irrilevanza giuridica dei collegamento economico-funzionale tra persone giuridiche facenti capo ad un medesimo gruppo, ininfluente ai fini della valutazione della ricorrenza dell’invocato giustificato motivo oggettivo, anche sotto il profilo dell’adempimento dell’obbligo di repechage, l’opzione, alternativa al licenziamento, della cessione del contratto di lavoro ad altre società del gruppo adottata nei confronti di altri dipendenti; ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la ragione economica addotta ed il licenziamento intimato, sulla base del rilievo, coerente con l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali imposta dalla garanzia costituzionale della libertà di iniziativa economica, per cui, attesa la gravissima crisi di carattere globale che ha investito i mercati finanziari, si deve reputare che la Società avesse la facoltà, pur non essendo in condizioni di assoluta emergenza, ma la solo fine di contenere gli effetti negativi del periodo, di disporre una ristrutturazione nei termini descritti nella lettera di licenziamento, restando irrilevante, non essendone state dedotte la natura fraudolenta o la pretestuosità in danno dei lavoratori, il determinarsi repentino dei mutamento di strategia aziendale, dall’accentramento al decentramento, idoneo altresì a giustificare la sequenza, apparentemente contraddittoria, tra le precedenti nuove assunzioni ed i successivi licenziamenti; considerato, infine, adempiuto l’obbligo di repechage non avendo la B. nulla allegato circa la reperibilità di altre posizioni di lavoro, non essendo a ciò utile, poiché estranea alla professionalità posseduta, la mansione di contabile ricoperta con una nuova assunzione e, comunque, essendosi, in conformità ai canoni di correttezza e buona fede, la Società adoperata per tenere indenne la lavoratrice dalle conseguenze del licenziamento con l’offrirle presso la società di provenienza, la Forumnet S.p.A., un posto di lavoro sempre nel settore acquisti e con il medesimo trattamento economico, peraltro, rifiutato dalla lavoratrice.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la B., affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 1. n. 223/1991, lamenta l’erroneità della statuizione con cui la Corte territoriale ha sancito l’inconfigurabilità nella specie di un licenziamento collettivo, nonostante la ricorrenza del requisito numerico di cui alla legge n. 223/1991, per essere stato il licenziamento intimato nei confronti di cinque dipendenti, motivandola in relazione alla ritenuta non computabilità ai predetti fini né dei licenziamenti che hanno interessato i dipendenti con qualifica dirigenziale né delle cessazioni dei rapporti in essere con altri dipendenti determinati dall’adozione nei confronti di questi di provvedimenti diversi dal licenziamento.
Il motivo è infondato anche a prescindere dal richiamo alla giurisprudenza di questa Corte cui il giudice del gravame ha attinto a sostegno della motivazione addotta (cfr. le decisioni citate nell’impugnata sentenza, Cass. n. 2983/2011 relativamente al personale dirigenziale e, tra le altre, Cass. n. 7519/2010, per quel che riguarda le ipotesi di risoluzione del rapporto diverse dal licenziamento), ed alla quale vanamente la ricorrente tenta di sottrarsi, rilevando l’inconferenza delle citate pronunzie, stante, da parte di queste, l’enunciazione di principi di diritto esattamente in termini ed idonei a fondare il convincimento della Corte territoriale.
Deve, infatti, considerarsi come, in realtà, le suggestive argomentazioni con cui la ricorrente censura l’opzione interpretativa della Corte di merito ed il suo esito tale da escludere la configurabilità nella specie di un licenziamento collettivo tradiscono la loro natura di mere suggestioni, laddove la ricorrente giunge a qualificare le cessioni del contratto di lavoro di altri quattro dipendenti addetti alla medesima Direzione Servizi Generali ad altre società del gruppo come misure alternative al licenziamento, così prefigurando surrettiziamente un disegno unitario di ristrutturazione aziendale destinato ad assumere dimensioni tali da implicare l’operatività della legge n. 22311991. E’ sufficiente por mente al dato reale che prospetta una operazione di riorganizzazione di una funzione implicante, in vista della razionalizzazione dei costi di esercizio, un intervento sugli organici del relativo ufficio, consistente nella soppressione di due posizioni dirigenziali e nella riduzione degli addetti pari a tre unità, fermo il mantenimento in servizio degli altri, a prescindere dal decentramento delle loro attività tramite ricollocazione presso altre aziende del gruppo, per comprendere come l’attuata riorganizzazione non coinvolga quel numero minimo di lavoratori rientranti tra quelli, quadri, impiegati o operai con esclusione dei dirigenti, in quanto tali privi di tutela legale del posto di lavoro, aventi diritto a quella forma di tutela apprestata, in attuazione della direttiva europea, dalla normativa nazionale e consistente nel controllo sociale della progettata riduzione di personale. I motivi successivi, dal secondo al settimo, sono tutti intesi a censurare la congruità logico­giuridica della valutazione espressa dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza del giustificato motivo oggettivo, articolandola e frazionandola secondo i vari profili di volta in volta presi in esame e le argomentazioni addotte a sostegno di ogni parziale conclusione, nell’intento di attestarne, tra l’altro sulla falsariga dei rilievi, qui persino pedissequamente riportati, in base ai quali altra pronunzia della stessa Corte d’Appello, parimenti investita dell’impugnativa del licenziamento di altro lavoratore della stessa Società analogamente motivato, aveva concluso in senso del tutto opposto, l’inidoneità a dar conto del necessario nesso di causalità tra la ragione economica addotta a motivo dell’attuato riassetto organizzativo e l’intimato recesso così da privarlo di ogni giustificazione.
In effetti, il ricorrente, con il secondo motivo, rubricato “Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 1. n. 604/1966”, lamenta in via generale il malgoverno delle regole sull’onere della prova incombente, in base alla disposizione richiamata, sul datore di lavoro; con il terzo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 1. n. 604/1966, deduce, ancora in termini generali, l’incongruità del percorso valutativo della Corte territoriale rispetto al parametro legale dato dalla nozione di giustificato motivo oggettivo invalsa in sede giurisprudenziale; con il quarto motivo censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, la mancata considerazione del rilievo per cui il licenziamento della ricorrente, per via del particolare contesto organizzativo in cui si inseriva la sua attività lavorativa avrebbe prodotto un effetto neutro sul conto economico complessivo; con il quinto motivo la carenza della motivazione è predicata in relazione alla ritenuta sussistenza di ricadute economiche del generale stato di crisi; con il sesto motivo è stigmatizzata come perplessa e contraddittoria la motivazione circa l’effettività dell’operazione di chiusura della Direzione Servizi Generali; con il settimo motivo si assume non congruamente motivata la ritenuta irrilevanza, a smentita dell’invocata esigenza di contenimento dei costi, delle contestuali assunzioni effettuate dalla Società.
Ricomponendo, attraverso una trattazione congiunta degli esposti motivi, il frammentario quadro delle censure sollevate dalla ricorrente riguardo al merito della decisione della Corte territoriale, è a dirsi come l’impugnazione nel suo complesso proponga un’opzione interpretativa della nozione di giustificato motivo oggettivo che, in contrasto con quella accolta dalla Corte territoriale, tende a superare il limite dell’insindacabilità della scelta imprenditoriale, per ricollegare la giustificazione del licenziamento alla prova dell’oggettiva ricorrenza dell’esigenza economica invocata prima ancora che a quella dell’effettività dell’intervento organizzativo conseguentemente adottato. Il cuore della proposta impugnazione sta dunque in quella censura di fondo per la quale la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provata la ricorrenza dell’esigenza economica addotta a giustificazione del decentramento presso altre società del gruppo dei servizi generali in precedenza accentrati presso la Bastogi S.p.A. e della chiusura in quella della Direzione Servizi Generali, censura che si ritrova alla base del secondo e terzo motivo mentre i successivi, dal quarto al settimo devono ritenersi inammissibili. In effetti, le censure ivi esposte risultano esclusivamente mirate a contrapporre la propria ricostruzione dei fatti a quella della Corte territoriale su questioni per le quali la replica, che pur si rinviene nella motivazione dell’impugnata sentenza, non è neppure fatta oggetto di specifica impugnazione. Così è nel quarto e nel quinto motivo, in cui i rilievi riassuntivamente riconducibili al profilo dell’ininfluenza della scelta organizzativa operata dalla Società rispetto all’esigenza economica dalla quale la stessa pretende che quella scelta sia motivata non scalfisce l’antitetica valutazione della Corte di merito basata sulla valorizzazione delle perdite e sofferenze economiche e finanziarie evidenziate nella documentazione prodotta dalla Società, sulle quali nulla oppone la ricorrente. Così è ancora nel sesto motivo, in cui in-cui le perplessità avanzate sull’effettività della chiusura in Bastogi S.p.A. della Direzione Servizi Generali, attuata attraverso il decentramento delle attività degli addetti presso altre società del gruppo sono vanificate dal riferimento nella motivazione dell’impugnata sentenza a dichiarazioni testimoniali, neppure richiamate nel ricorso de quo, univocamente dirette a confermare la soppressione in Bastogi S.p.A. della predetta Direzione. Così è, infine, nel settimo motivo, in cui la denunciata mancata considerazione , ai fini della valutazione dell’effettività dell’invocata esigenza economica, delle assunzioni effettuate dalla Società pressoché contestualmente ai licenziamenti intimati, è giustificata nella sentenza impugnata dal rilievo, del tutto ignorato nel ricorso de quo, per cui l’estromissione dalla Bastogi S.p.A. dei neo-assunti, sia pur attraverso la loro ricollocazione presso altre società del gruppo, rendeva ininfluente, stante l’irrilevanza giuridica del gruppo, il dato sostanziale del mantenimento in servizio di quel personale, ai fini della valutazione della situazione economica e organizzativa interna alla Bastogi. Ebbene, quanto alla questione sopra individuata come fondamentale, questo Collegio ritiene di dover dare continuità a quell’orientamento interpretativo accolto da questa Corte e, da ultimo, espresso nella decisione del 1.8.2013 n.18416, secondo cui, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero dettato da ragioni attinenti all’attività produttiva, aIl’organiz7a7ione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ex art. 3, 1. n. 604/1966, il “motivo oggettivo” è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, essendo tale scelta espressione della libertà di iniziativa economica oggetto di tutela costituzionale ai sensi dell’art. 41 Cost., spettando, viceversa, al giudice il controllo della reale sussistenza delle esigenze tecniche, organizzative c/o economiche dedotte dal datore di lavoro, controllo che, in relazione al predetto limite posto al sindacato giudiziale, non può eccedere la verifica della effettività e della non pretestuosità del riassetto operato.
A tale stregua deve ritenersi che la Corte territoriale, abbia correttamente, sulla base di risultanze istruttorie, come detto qui non contestate (il riferimento è alla documentazione prodotta e alle testimonianze escusse sopra richiamate), ritenuto raggiunta la prova dell’effettività della chiusura presso la Bastogi S.p.A. della Direzione Servizi Generali e dato conto della sua ragionevolezza, così escludendone la pretestuosità, del resto neppure mai ipotizzata dalla ricorrente, sicché il convincimento espresso in ordine alla ricorrenza nella specie dell’invocato giustificato motivo oggettivo deve ritenersi immune dai vizi denunciati.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali e altri accessori di legge.

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