Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 novembre 2017, n. 27108. In tema di impresa familiare e la quota di partecipazione del familiare

In tema di impresa familiare, la quota di partecipazione del familiare, che va determinata solo in base alla qualità e alla quantità del lavoro prestato nell’impresa, è relativa nella stessa misura tanto agli utili quanto agli incrementi sia materiali o immateriali

Sentenza 15 novembre 2017, n. 27108
Data udienza 10 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. MANNA Antonio – Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 11342-2012 proposto da:
(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
Nonche’ da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS) c.f. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 74/2011 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 06/05/2011 R.G.N. 231/2009 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Isernia del 3 luglio 2003 la dott. (OMISSIS), farmacista, premesso di avere costituito nel maggio 1986 una impresa familiare con il coniuge (OMISSIS) per la gestione della farmacia di cui era titolare in Isernia, agiva per sentire accertare lo scioglimento della impresa familiare sin dalla data del ricorso introduttivo del giudizio di separazione personale dei coniugi nonche’ l’avvenuto pagamento al convenuto della quota di utili prevista nell’atto costitutivo (pari al 49%).
Il (OMISSIS) chiedeva in via riconvenzionale che, in caso di accertamento della cessazione della impresa, venisse emessa condanna di parte ricorrente al pagamento della quota di utili maturata dal gennaio al giugno 2003 nonche’ del 49% del valore della intera azienda, previa dichiarazione di nullita’ della clausola contraria contenuta nell’atto costitutivo (clausola nr. 3).
Il giudice del Lavoro, con sentenza dell’8-15 gennaio 2009 (nr. 7/2009), dichiarava lo scioglimento della impresa familiare dalla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio; accertava il diritto del (OMISSIS) agli utili del primo semestre 2013; liquidava in suo favore una somma pari al 49% dell’intero patrimonio netto dell’impresa familiare.
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza dell’1.4-6.5.2011 (nr. 74/2011), riuniti gli appelli separatamente proposti da entrambe le parti di causa, li accoglieva parzialmente; per l’effetto riduceva l’importo riconosciuto in primo grado al (OMISSIS) a titolo di partecipazione agli incrementi e condannava la dott. (OMISSIS) al pagamento degli utili maturati nel primo semestre dell’anno 2003.
La Corte territoriale osservava che la cessazione della impresa familiare non poteva farsi risalire, come richiesto dalla (OMISSIS), al giudizio di separazione personale perche’ la domanda di separazione non implicava necessariamente la manifestazione della volonta’ di sciogliere la impresa familiare.
In ordine alla partecipazione agli incrementi da riconoscere al (OMISSIS), dall’atto costitutivo della impresa familiare risultava che la determinazione della sua quota di partecipazione agli utili – nella misura del 49% – aveva valore negoziale e non di mera dichiarazione di verita’ a fini fiscali.
In ogni caso, pur a considerarla mera dichiarazione di verita’, la stessa aveva valore di prova, almeno presuntiva, della quota spettante al familiare in ragione della quantita’ e qualita’ del lavoro prestato nell’impresa, rispetto alla quale non era stata offerta alcuna prova contraria.
Andava confermata la dichiarazione di nullita’, gia’ statuita nel primo grado, della clausola dell’atto costitutivo che escludeva la partecipazione del (OMISSIS) all’incremento dell’avviamento, per contrarieta’ alla norma dell’articolo 230 bis cod. civ.; la disposizione prevedeva una tutela minima inderogabile del partecipante all’impresa familiare, con conseguente sostituzione della disciplina codicistica alla clausola nulla.
Per l’avviamento non era tuttavia applicabile la previsione contrattuale della quota di partecipazione del 49%, che riguardava solo gli utili e gli incrementi materiali.
In mancanza di determinazione negoziale la quota andava determinata ex articolo 230 bis cod. civ. ovvero in ragione della quantita’ e qualita’ del lavoro prestato dal (OMISSIS). In concreto, in relazione all’avviamento il valore dell’apporto del (OMISSIS) doveva quantificarsi in misura del 20%, tenuto conto del preminente ruolo assunto dalla (OMISSIS) nella erogazione dei servizi di farmacia mentre il coniuge per l’assenza del titolo abilitante non poteva svolgere le attivita’ riservate al farmacista.
Per la quantificazione degli incrementi il ctu nominato nel secondo grado aveva determinato il valore della azienda alla data di costituzione della impresa familiare (rivalutandolo poi al 30.6.2013) ed alla data della sua cessazione (il 30.6.2013).
Il criterio di stima era corretto.
Esattamente il ctu aveva applicato gli stessi criteri di stima per la determinazione dei due valori, iniziale e finale, al fine di raffrontare dati omogenei.
Nel determinare il valore iniziale non doveva farsi riferimento al prezzo di acquisto della farmacia esposto nell’atto pubblico, che poteva non corrispondere al reale valore di mercato.
Non trovava applicazione nella determinazione del valore dell’avviamento il Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 110 norma dettata al solo fine di regolare il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di un farmacia.
Quanto agli utili dell’ultimo semestre, era a carico della (OMISSIS) provare l’avvenuto pagamento della quota di partecipazione al coniuge.
Tale prova non era fornita dalle annotazioni delle scritture contabili (pagina 92 del libro giornale); al di la’ delle irregolarita’ formali rilevate dai consulenti, in entrambi i gradi, le scritture contabili costituivano prova a favore dell’imprenditore soltanto nei confronti degli altri imprenditori.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza (OMISSIS), articolato in cinque motivi (il sesto contiene la richiesta di cassazione senza rinvio della sentenza); ha resistito con controricorso (OMISSIS), che ha altresi’ proposto ricorso incidentale, articolato in sette motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) ha denunziato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 230 bis cod. civ. in riferimento alla statuizione di determinazione della sua quota di partecipazione all’incremento dell’avviamento nella misura del 20%.
Il ricorrente ha premesso che con l’atto costitutivo le parti avevano determinato la sua quota di partecipazione agli utili nella misura del 49%. Tale pattuizione era stata correttamente riconosciuta in sentenza come dichiarazione negoziale; come tale essa era prevalente sul criterio legale dell’articolo 230 bis cod. civ..
In ogni caso la previsione contrattuale, anche a volerne riconoscere la natura di dichiarazione di verita’, costituiva prova del valore del lavoro svolto, come affermato in sentenza e cio’ ai fini della partecipazione agli incrementi tanto materiali – come riconosciuto dal giudice del merito – che immateriali, come l’avviamento.

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