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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 16 marzo 2016, n. 5233

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2499/2013 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), gia’ elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e da ultimo in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6697/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/01/2012 R.G.N. 9158/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2015 dal Consigliere Dott. MANNA Antonio;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9.11.06 il Tribunale di Napoli condannava (OMISSIS) S.p.A. a pagare a (OMISSIS), a titolo risarcitorio dei danni derivatigli da un infortunio sul lavoro occorso il 9.1.98, la somma di euro 105.000,00 per danno esistenziale e biologico e quella di euro 23.000,00 per danno morale, il tutto oltre interessi.

Con sentenza depositata il 10.1.12 la Corte d’appello di Napoli riduceva a complessivi euro 105.000,00 il risarcimento dovuto al lavoratore, confermando nel resto le statuizioni di prime cure.

Accertavano i giudici di merito che il (OMISSIS), nell’eseguire le operazioni di revisione del gruppo leveraggio cambio di un automezzo aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva ad estrarre, riportando una cecita’ assoluta all’occhio sinistro e uno stress cronico moderato post-traumatico, con conseguente inabilita’ permanente del 37%.

Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale ricorre (OMISSIS) S.p.A. affidandosi a due motivi.

(OMISSIS) resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 codice civile, per avere la sentenza impugnata ravvisato la responsabilita’ della societa’ pur essendosi accertato che l’infortunio si era verificato sol perche’ il lavoratore – operaio tecnico non aveva inforcato gli occhiali protettivi regolarmente fornitigli dall’azienda: obietta in proposito la ricorrente di aver adottato tutte le dovute cautele e cioe’ di aver formato professionalmente il lavoratore e di averlo informato circa i rischi del lavoro svolto, munendolo di occhiali protettivi e di lampade mobili, cosi rispettando sotto ogni aspetto il debito di sicurezza di cui all’articolo 2087 codice civile; ne’ – conclude il motivo – era necessaria una particolare vigilanza del lavoratore durante l’operazione svolta (lo svitamento d’un bullone), di estrema semplicita’.

Analoga doglianza viene sostanzialmente fatta valere con il secondo mezzo, sotto forma di denuncia di vizio di motivazione circa l’asserito superamento della soglia di sicurezza, nonche’ circa l’obbligo di concreta vigilanza dell’operazione espletata dal dipendente infortunato e dell’uso, da parte sua, degli occhiali protettivi.

2- I due motivi – da esaminarsi congiuntamente perche’ connessi – sono infondati.

I giudici di merito hanno ravvisato a carico della societa’ una violazione dell’articolo 2087 codice civile, perche’ l’ambiente di lavoro era scarsamente illuminato e perche’ l’azienda non aveva vigilato affinche’ i dipendenti utilizzassero gli occhiali protettivi e i sistemi di illuminazione mobili messi a loro disposizione.

La societa’ ricorrente contesta l’asserita necessita’ di vigilanza, in considerazione del livello di esperienza dell’infortunato e della semplicita’ dell’operazione che stava eseguendo.

Osserva questa Corte che e’ pur vero che in tema di responsabilita’ del datore di lavoro circa il mancato uso di mezzi personali di sicurezza la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4, lettera c), (vigente all’epoca dell’infortunio per cui e’ causa) – che obbliga datori di lavoro, dirigenti e preposti a “disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione” – postula un accertamento che abbia riguardo alle peculiari caratteristiche dell’impresa, ai tipi di lavorazione ivi effettuati, all’entita’ del personale e ai diversi gradi di rischio (cfr., per tutte, Cass. n. 10066/94).

La sorveglianza dovuta da datori di lavoro, dirigenti e preposti non deve essere ininterrotta e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma puo’ anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua ed efficace, vigilanza generica, intesa ad assicurarsi, nei limiti dell’umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.

Tale obbligo di vigilanza subisce un’ulteriore attenuazione, in base ad un principio di ragionevole affidamento nelle accertate qualita’ del dipendente, in ipotesi di provetta specializzazione dell’operaio munito di approfondita conoscenza d’una determinata lavorazione cui sia addetto da lungo tempo (v., ancora, Cass. n. 10066/94 cit.).

Nondimeno tale mera attenuazione – che, giova ribadire, e’ configurabile solo in ipotesi di lavoratore esperto, gia’ adeguatamente formato professionalmente e informato dei rischi connessi alle mansioni assegnategli – non si identifica con la totale omissione di controllo, ravvisata nel caso di specie dai giudici di merito, circa l’uso di lampade mobili e occhiali protettivi, controllo ancor piu’ necessario viste le condizioni di insufficiente illuminazione dell’ambiente di lavoro.

Ne’ esime da tale obbligo la semplicita’ dell’operazione lavorativa, atteso che il grado maggiore o minore di complessita’ del lavoro da espletare non e’ in rapporto di proporzionalita’ diretta con il rischio protetto, ben potendosi dare lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre anche semplici, ma con elevato livello di pericolosita’.

Infine, quanto al superamento della soglia di rischio, si consideri che il fatto (l’avvenuto infortunio) vince l’ipotesi ventilata dalla ricorrente (l’inesistenza del superamento d’una soglia di rischio), di guisa che la sentenza impugnata non doveva motivare ulteriormente a riguardo.

Ove, poi, il senso della doglianza fosse quello per cui, vista la natura dell’operazione affidata al lavoratore, sarebbe stato da escludere a monte, in virtu’ di una c.d. prognosi postuma, qualsivoglia obbligo di uso di mezzi personali di protezione e – quindi – di vigilanza datoriale sul loro concreto impiego, e’ appena il caso di notare che si tratterebbe di congettura nuova e contraddittoria rispetto a tutta l’impostazione del ricorso, che insiste sull’avvenuta messa a disposizione degli occhiali protettivi, cosi’ riconoscendo la pericolosita’ della manovra eseguita dall’infortunato.

3- In conclusione, il ricorso e’ da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e si distraggono ex articolo 93 codice procedura civile, in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario.

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