cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 17 febbraio 2016, n. 3065

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo – Presidente

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30170/2014 proposto da:

(OMISSIS) A R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8457/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/10/2014 R.G.N. 2970/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS) e (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata il 27.10.14 la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo Legge n. 92 del 2012, ex articolo 1, comma 58, presentato da (OMISSIS) a r.l. contro la sentenza n. 6276/14 con cui il Tribunale di Roma, dichiarato illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a (OMISSIS) il 19.4.13, aveva condannato la suddetta societa’ a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagarle un’indennita’ commisurata all’ultima retribuzione, dal recesso alla reintegra e comunque in misura non superiore alle 12 mensilita’.

Per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS) a r.l. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex articolo 378 c.p.c..

L’intimata resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2110 c.c., e degli articoli 175 e 181, CCNL per il settore terziario, della distribuzione e dei servizi, atteso che, essendo spirato nel caso di specie il 18.4.13 il periodo massimo di comporto, prolungato dalla fruizione, concessa alla lavoratrice, di 120 giorni di aspettativa, la dipendente sarebbe comunque dovuta tornare al lavoro – il che non era avvenuto -, sicche’ legittimamente la societa’ le aveva intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto, circostanza di fatto necessaria e sufficiente a legittimare il recesso.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, e dell’articolo 12 preleggi, per avere la sentenza impugnata affermato che l’assenza della lavoratrice nel giorno 19.4.13 era coperta dalla fruizione d’un permesso ex Legge n. 104 del 1992, permesso che – contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello – ha come presupposto indispensabile lo svolgimento di prestazione lavorativa, di guisa che per potere godere di detto permesso la (OMISSIS) sarebbe dovuta rientrare in servizio prima della scadenza del periodo massimo di aspettativa non retribuita concessole.

Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, in relazione al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 20, comma 1, convertito in Legge n. 102 del 2009, la’ dove la gravata pronuncia ha trascurato che il verbale dell’ASL trasmesso dalla (OMISSIS) alla societa’ era del tutto illeggibile e che la richiesta dei permessi ex articolo 33 cit. presupponeva anche la presentazione all’INPS del modello telematico Hand 3, da trasmettere in copia al datore di lavoro per le necessarie verifiche, il che non era avvenuto; pertanto – prosegue il ricorso – al momento in cui la (OMISSIS) aveva chiesto alla societa’ (il 29.3.13 e il 9.4.13) di fruire dei permessi de quibus, l’accertamento della loro spettanza da parte dell’INPS non era ancora intervenuto e, anzi, la lavoratrice non aveva ancora nemmeno presentato la relativa domanda all’INPS; inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’INPS non aveva fatto altro che accogliere la domanda della (OMISSIS) di poter fruire dei benefici previsti dalla Legge n. 104 del 1992, fermo restando – pero’ – che la fruizione dei permessi in determinate giornate deve poi essere chiesta al datore di lavoro; pertanto la societa’ ricorrente, non avendo ricevuto, alla data del 19.4.13, comunicazione od istanza alcuna dalla lavoratrice ne’ dall’INPS attestante il diritto alla fruizione dei permessi, legittimamente aveva intimato il licenziamento.

Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, e del Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 20, comma 1, convertito in Legge n. 102 del 2009, in relazione agli articoli 1175 e 1375 c.c., per avere i giudici di merito addossato alla societa’ ricorrente l’onere di accertare presso l’INPS l’esistenza del provvedimento di concessione dei benefici ex Legge n. 104 del 1992, in favore della (OMISSIS), nonostante che dalla richiamata normativa si evinca, al contrario, che e’ onere del dipendente (in possesso dei requisiti di legge) chiedere al proprio datore di lavoro la fruizione dei permessi in discorso; peraltro, la legislazione in materia di tutela della riservatezza avrebbe impedito al datore di lavoro di ottenere dall’INPS documenti od informazioni in ordine all’istanza presentata dalla lavoratrice per ottenere il riconoscimento del diritto ai permessi.

2- Il secondo e il terzo motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente e in via prioritaria perche’ connessi e potenzialmente dirimenti – sono infondati.

Si legge a pag. 4 dell’impugnata sentenza che in punto di fatto e’ stato accertato che prima del 18.4.13 (ultimo giorno di aspettativa non retribuita) l’odierna controricorrente aveva chiesto e ottenuto il riconoscimento dello stato di handicap grave da cui deriva il diritto ai permessi Legge n. 104 del 1992, ex articolo 33, aveva presentato istanza per la loro fruizione e questi erano stati accordati proprio il 18.4.13. Tali permessi erano stati chiesti fin dal 29.3.13 alla societa’ ricorrente.

Si tratta di una ricostruzione in punto di fatto di cui oggi la societa’ ricorrente non puo’ fornire una versione differente la cui verifica richieda un approccio diretto agli atti e una loro delibazione nel merito, operazione non consentita in sede di legittimita’.

Sostiene, ancora, la ricorrente che sarebbe stato onere della lavoratrice comunicarle, prima del 19.4.13, l’avvenuta autorizzazione, irrilevante essendo a tal fine il verbale della commissione ASL trasmesso dalla lavoratrice, in quanto illeggibile.

Si tratta, pero’, di circostanza motivatamente smentita dalla gravata pronuncia con accertamento in punto di fatto non sindacabile nella presente sede.

La Corte territoriale ha altresi’ correttamente aggiunto, quanto alla comunicazione che l’INPS deve di propria iniziativa inoltrare al datore di lavoro, che un eventuale ritardo dell’istituto previdenziale non puo’ ridondare a danno della dipendente.

E ancora, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la fruizione dei permessi ex Legge n. 104 del 1992, non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia od aspettativa (non essendo – questa – una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualita’ del rapporto di lavoro.

In conclusione, non merita censura l’affermazione dei giudici di merito secondo cui, poiche’ l’assenza dal lavoro nel giorno 19.4.13 era imputabile a permesso ex Legge n. 104 del 1992, e non ad assenza, non si e’ verificato nel caso di specie quel superamento del periodo massimo di comporto che la societa’ ricorrente ha posto a base dell’intimato licenziamento.

3- L’infondatezza del secondo e del terzo motivo si riverbera anche sul primo motivo di ricorso, che muove dall’erroneo presupposto che, spirato il periodo massimo di comporto in data 18.4.13, la lavoratrice dovesse intendersi assente dal lavoro (per illegittimo prosieguo dell’aspettativa o comunque per assenza ingiustificata), mentre – in realta’ – in quella data ella ha legittimamente fruito d’un permesso ex Legge n. 104 del 1992.

4- Anche il quarto motivo di ricorso va disatteso: la sentenza impugnata non ha affatto addossato alla societa’ ricorrente l’onere di accertare presso l’INPS l’esistenza del provvedimento di concessione dei benefici ex Legge n. 104 del 1992, in favore della (OMISSIS), ma ha asserito che fin dal 29.3.13 la lavoratrice aveva chiesto alla societa’ ricorrente i permessi ex Legge n. 104 del 1992, diritto che le e’ stato riconosciuto prima del licenziamento.

5- In conclusione il ricorso e’ da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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