Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 settembre 2016, n. 18315

Legittimo il licenziamento del dipendente dell’Agenzia delle entrate che gestiva di fatto due studi di consulenza e aveva partecipato alla redazione di processi verbali di accesso e contestazioni nei confronti di soggetti che risultavano nell’elenco clienti dello studio

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 19 settembre 2016, n. 18315

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20329/2014 proposto da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA DELLO STATO presso i cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12 ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 564/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 26/05/2014, R.G. N. 1922/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 564 del 2014, rigettava l’impugnazione proposta da (OMISSIS), nei confronti Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 887/2012 emessa dal Tribunale Vallo della Lucania tra le parti.
2. Il Tribunale aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento intimato al (OMISSIS) il 4 marzo 2008, senza preavviso, per giusta causa, ai sensi della L. n. 662 del 1996, articolo 1, comma 61, in quanto l’espletata istruttoria orale aveva confermato l’assunto dell’Amministrazione secondo cui il ricorrente era stato dominus di studi professionali di consulenza fiscale denominati ” (OMISSIS) s.d.f.” e ” (OMISSIS)”.
2. (OMISSIS) aveva prestato lavoro alle dipendenze della Agenzie delle Entrate, presso l’Ufficio locale di (OMISSIS), inquadrato nell’area funzionale 2 F” – dal (OMISSIS). Il (OMISSIS) era stato, dapprima, in regime di rapporto di lavoro a tempo pieno, e dal (OMISSIS), in rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa articolata su cinque giorni lavorativi per sei ore giornaliere, corrispondente ad una percentuale di assenza del 16,70% (come esposto nella contestazione riportata a pag. 4 del ricorso, e non contraddetta).
3. La contestazione disciplinare aveva ad oggetto sia l’espletamento di attivita’ di tipo extra-istituzionale (l’aver gestito di fatto due studi di consulenza denominati (OMISSIS) sdf e Studio (OMISSIS)), il cui svolgimento e’ vietato al personale dell’Agenzia delle entrate in quanto incompatibile con la corretta ed imparziale esecuzione dei compiti dell’Agenzia medesima, sia la partecipazione alla redazione dei processi verbali di accesso e contestazioni emessi nei confronti di alcuni soggetti presenti nell’elenco dei clienti forniti dal rag. Mari ai militari incaricati dei controlli. Tale ultimo addebito veniva poi integrato con riguardo ad una ulteriore verifica.
Detto comportamento dava luogo a responsabilita’ di carattere disciplinare sanzionabile ai sensi dell’articolo 67 del CCNL Agenzie fiscali e della L. n. 662 del 1996, articolo 1, comma 60.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre (OMISSIS) con due motivi di ricorso.
4. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
5. In corso di causa il ricorrente depositava memoria di costituzione di nuovo difensore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, nonche’ articoli 3, 25, 27 e 97 Cost. e alla L. n. 300 del 1970.
Espone che la Corte d’Appello non avrebbe valutato, nonostante esplicita doglianza in tal senso, come non si vertesse in ipotesi di licenziamento disciplinare, ma di incompatibilita’, che richiede la necessaria previa diffida, che nella specie non veniva effettuata.
1.1. Il motivo non e’ fondato.
Occorre precisare che nella specie il licenziamento veniva irrogato in presenza di un rapporto di lavoro part-time, ed infatti ai sensi della legge 662 del 1992 che disciplina il part-time, situazione lavorativa in cui il (OMISSIS) si trovava dal 2002.
Ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, comma 1, si applica ai dipendenti pubblici, con orario di lavoro full-time o part-time superiore al 50%, come nella specie, il regime delle incompatibilita’ sancito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articoli 60 – 64.
Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53, comma 1, prevede, infatti, che “resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilita’ dettata dagli articoli 60 e segg. del Testo Unico approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2 (n.d.r. lavoro straordinario), del D.P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117 e dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 1, commi 57 e segg. (n.d.r. che disciplinano rapporto di lavoro a tempo parziale)”.
Nella specie, quindi rileva la disciplina specifica dettata della L. n. 662 del 1966, articoli 60 e 61, che sanciscono: (articolo 60) “Al di fuori dei casi previsti al comma 56 (n.d.r., ipotesi di iscrizione ad albi), al personale e’ fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attivita’ di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa (…).
(articolo 61) La violazione del divieto di cui al comma 60, la mancata comunicazione di cui al comma 58, nonche’ le comunicazioni risultate non veritiere anche a seguito di accertamenti ispettivi dell’amministrazione costituiscono giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituiscono causa di decadenza dall’impiego per il restante personale (…)”.
Dalla disciplina richiamata, si rileva che nella fattispecie in esame, rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, in regime di part-time superiore al 50%, la violazione del divieto di svolgere altra attivita’, secondo quanto previsto, determina l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa e, dunque, l’avvio del procedimento disciplinare, come disposto dall’Agenzia delle entrate.
2. Con il secondo motivo di ricorso e’ prospettata la censura di violazione di legge in relazione all’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, agli articoli 24 e 66 del CCNL di comparto, al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55-bis, comma 2 e comma 4, ultimo periodo. Si censura la statuizione che ha escluso la tardivita’ contestazione (intervenuta il 7 novembre 2011), in ragione della perentorieta’ del termine di 20 giorni previsto dal CCNL di settore.
La relazione della Guardia di Finanza, assume il ricorrente era stata comunicata alla Direzione centrale audit e sicurezza, organo disciplinare che stava istruendo la pratica, in data 11 settembre 2007t quest’ultimo quindi, era il dies a quo per il computo del termine di 20 giorni per effettuare la contestazione, e non la data del 23 ottobre 2007, in cui la Corte d’Appello aveva affermato che la relazione era pervenuta all’Ufficio istruttore per i procedimenti speciali, organo preposto all’esercizio del potere disciplinare in ambito regionale.
2.1. Il motivo non e’ fondato.
Occorre precisare che, ratione temporis (atteso che il licenziamento veniva intimato il 4 marzo 2008), nella specie, trova applicazione il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 150 del 2009, entrate in vigore il 15 novembre 2009; pertanto, non puo’ essere utilmente invocato l’articolo 55-bis del suddetto D.Lgs..
Nella specie, trova applicazione il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55, comma 5, nel testo anteriore alle suddette modifiche, che sancisce “Ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell’addebito al dipendente (…)”.
Il ricorrente si duole dell’asserito mancato rispetto del termine di 20 giorni, dalla conoscenza del fatto, per effettuare la contestazione, come previsto dalla contrattazione.
Presupposto logico giuridico di tale doglianza e’ il ritenere che detto termine e’ perentorio e che, quindi, la sua inosservanza vizia il procedimento disciplinare rendendolo illegittimo.
Sull’interpretazione di disposizioni contrattuali che prevedono, come quella in esame, un analogo termine di venti giorni, entro il quale, dalla conoscenza del fatto, deve essere effettuata la contestazione da parte del datore di lavoro, questa Corte si e’ gia’ pronunciata con statuizione) alla quale si intende dare continuita’, secondo la quale la natura dei termini contrattualmente previsti per lo svolgimento del procedimento disciplinare deve essere definita con riguardo allo scopo che essi perseguono nel procedimento, nella prospettiva di un’inderogabile garanzia della necessaria legittimita’ di tutto il relativo procedimento, con la conseguenza che il carattere della perentorieta’ non e’ generalmente rinvenibile in tutti i termini volti a cadenzarne l’andamento (quali quello per la segnalazione d’ufficio, per la contestazione degli addebiti e la relativa comunicazione all’interessato), ma deve essere riconosciuto solo a quello stabilito per la sua conclusione (Cass., n. 24529 del 2015; n. 19216 del 2014; n. 6091 del 2010; n. 5637 del 2009).
Tali pronunce hanno confermato che in tema di sanzioni disciplinari, qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest’ultimo e’ perentorio, con conseguente nullita’ della sanzione in caso di inosservanza, mentre i termini interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullita’ della sanzione solo nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilita’ o l’eccessiva difficolta’ della sua difesa, circostanza che non ha costituito oggetto delle censure.
3. Il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemilacinquecento per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

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