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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza  2 ottobre 2014, n. 20831

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva riconosciuto il diritto di D.S. alla percezione di assegno di invalidità, per la permanente riduzione della sua capacità lavorativa a meno di un terzo, ai sensi della 1. 222/1984, con decorrenza dal 1° febbraio 2000 e condanna l`Inps alla relativa corresponsione, oltre accessori di legge), con sentenza 19 ottobre 2010, rideterminava la decorrenza del beneficio riconosciuto dal 1 ° settembre 2007.
Ad una tale conclusione la Corte territoriale perveniva sulla base della C.t.u. medico – legale rinnovata in appello, di cui condivideva le conclusioni, in esito ad accurato accertamento essenzialmente sulla base della documentazione medica acquisita. D.S. ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 1. 222/1984 e insufficiente e contraddittoria motivazione, per acritica adesione della Corte territoriale alle conclusioni del C.t.u. e incongruente riconoscimento del buon uso dal tribunale dei risultati della prima C.t.u., con riforma tuttavia della sentenza in ordine alla decorrenza del beneficio, senza rilevare l’insorgenza da tempo dei requisiti di legge. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione, per omissione dalla Corte territoriale di ulteriori accertamenti, anche officiosi, nell’adesione alla seconda C.t.u., che, in assenza di un quadro patologico diverso da quello già riscontrato dalla prima, aveva erroneamente differito la decorrenza della diminuzione della capacità lavorativa rilevante, per la ravvisata non incidenza superiore al terzo di legge sulla capacità di lavoro (in attività confacente di muratore) dell’artrosi alle mani con deficit funzionale (all’atto della visita del C.t.u. limitante la facoltà prensile ma non ancora tanto grave da ridurre il soggetto alla semplice motricità delle dita, priva di alcuna finalità dell’azione) per il periodo anteriore ad alcuni mesi prima della visita espletata (individuatala data nel 1 ‘settembre 2007).
II primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1 1. 222/1984 e vizio di motivazione sulla decorrenza del beneficio, è inammissibile.
Esso è, infatti, assolutamente generico, essendosi il ricorrente limitato alla mera enunciazione delle ragioni di doglianza (acritica adesione della Corte territoriale alle conclusioni del C.t.u.; incongruente riconoscimento del buon uso dal tribunale dei risultati della prima C.t.u. e riforma tuttavia della sentenza nella decorrenza del beneficio; omesso rilievo dell’insorgenza da tempo dei requisiti di legge), senza alcun loro sviluppo argomentativo di effettiva confutazione del ragionamento motivo della Corte calabrese, chiaramente e adeguatamente svolto, sulla base della giustificata persuasione della correttezza dell’accertamento e delle conclusioni della C.t.u. disposta in appello, dandone conto puntuale (a pgg. 2 e 3 della sentenza impugnata). Sicchè, il mezzo difetta del requisito di specificità prescritto dall’art. 366, n. 4 c.p.c.: posto che il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore; la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (Cass. s.u. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
In ogni caso, neppure il giudice di merito è tenuto, in particolare, ad un’argomentazione diffusa della propria adesione alle conclusioni del C.t.u., potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motivazione (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 22 agosto 2002, n. 12406): censure di un tale tenore non risultano peraltro formulate da D.S., in base a quanto illustrato con il mezzo in esame (già qualificato inammissibile per genericità). Né sussiste, infine, la pretesa contraddizione lamentata dal ricorrente: avendo la Corte dato atto del “buon uso dei risultati del primo elaborato peritale” da parte del Tribunale, nel senso di riconoscere l’assicurato affetto dalle patologie riscontrate dal primo C.t.u., senza peraltro che tale asserzione sia smentita dalla valutazione (sulla scorta della nuova C.t.u.) di una loro incidenza invalidante maturata successivamente.
Il secondo motivo, relativo a violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c. e vizio di motivazione, per erroneo differimento di decorrenza della diminuzione di capacità lavorativa rilevante senza ulteriori accertamenti, anche officiosi, in adesione ingiustificata della sentenza impugnata alla seconda C.t.u., in assenza di un quadro patologico diverso da quello già riscontrato dalla prima, è infondato.
Già si è detto dell’argomentata adesione della Corte territoriale, in riferimento alla diversa decorrenza del requisito in oggetto, alla seconda C.t.u. Questa ha motivatamente giustificato, a differenza della prima (genericamente accertante una serie di patologie, meramente giustapposte, a carico del ricorrente con spiegazione della decorrenza dal 1 ° gennaio 2000 nel “decorso cronico ed ingravescente, e non ad insorgenza acuta, delle suddette patologie”, come indicato a pg. 8 del ricorso, senza alcuna specifica individuazione di incidenza sulla diminuzione della capacità lavorativa rilevante), la decorrenza da epoca prossima alla visita medica compiuta (dal 1° settembre 2007). E ciò per il riscontro dell’aggravamento, proprio in detta visita, di quell’artrosi alle mani con deficit funzionale, già diagnosticata fin dal 1999, soltanto dall’epoca suindicata limitante la possibilità di utilizzo efficiente della funzionalità prensile, con integrazione della suddetta riduzione in attività confacente, “in considerazione del fatto che il muratore deve usare la forza delle mani per sollevare e spostare oggetti, deve afferrare gli utensili e gli arnesi da lavoro con forza, pena il pregiudizio per sé e per gli altri di eventi imprevedibili potenzialmente lesivi e violenti” con la conseguente verificata attualità di una marcata limitazione per l’impiego delle mani “per attività solo di lieve sforzo”. Sicchè la Corte, così argomentando la propria adesione alle conclusioni della C.t.u. disposta in appello (a pg. 3 della sentenza), non è incorsa in alcuna violazione di legge, né vizio di motivazione, per la giustificazione della propria preferenza, avendo specificato la ragione del discostamento dalle conclusioni del primo consulente (Cass. 26 agosto 2013, n. 19572; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063).
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, senza assunzione di provvedimenti sulle spese, in applicazione dell’ars. 152 disp. att. c.p.c., nel testo precedente la sostituzione con l’art. 42, undicesimo comma d.l. 269/2003, conv. con mod. in 1. 326/2003, per anteriorità del ricorso di D.S., depositato il 29 giugno 2000, al 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore della nuova normativa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

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