fornero

suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

Sentenza 22 aprile 2014, n. 9098

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere
Dott. TRIA Lucia – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15863/2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1782/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 24/12/2012 R.G.N. 233/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 28.1-4.2.2010 la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, rigetto’ la domanda, proposta da (OMISSIS), volta a far accertare l’illegittimita’ del licenziamento intimatole in data 29.3.2006 dalla (OMISSIS) spa, alle cui dipendenze aveva prestato attivita’ lavorativa; avverso tale sentenza la (OMISSIS) propose ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Questa Corte, con sentenza n. 2013/2012, rigettato il primo motivo, accolse i restanti, casso’ la pronuncia impugnata e rinvio’ alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Rilevo’ questa Corte, per cio’ che qui particolarmente interessa, che la sentenza d’appello non aveva fatto corretta applicazione dei principi in tema di proporzionalita’ fra la sanzione irrogata e la condotta addebitata, cosi’ pervenendo “… alla conferma della legittimita’ di una sanzione che appare, in realta’, sperequata rispetto all’effettivo disvalore della condotta della lavoratrice ed al grado di intensita’ della violazione della buona fede contrattuale che la stessa richiede in relazione alla necessaria prognosi di un futuro proficuo svolgimento del rapporto di lavoro”; concluse quindi questa Corte stabilendo che doveva “… ritenersi che la sanzione irrogata appare non proporzionata al grado di responsabilita’ che esprimono i fatti accertati, dovendosi al riguardo ribadire che il grave inadempimento degli obblighi contrattuali che costituisce il presupposto della nozione legale di giusta causa risulta incompatibile con comportamenti del lavoratore che, per le loro concrete modalita’ e per il contesto di riferimento, ed in particolare per l’esistenza di una conforme prassi aziendale, nota al datore di lavoro, appaiono insuscettibili di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e di determinare la irreparabile lesione del vincolo fiduciario che ispira la relazione di lavoro”; di tal che la sentenza impugnata andava cassata in relazione alle censure accolte e la causa doveva essere rimessa ad altro giudice di pari grado, che avrebbe provveduto “in ordine alle statuizioni conseguenti all’accertata illegittimita’ del recesso”.
Riassunto il giudizio, il Giudice del rinvio, con sentenza del 23.11-24.12.2012, rigetto’ gli appelli proposti avverso le sentenze di primo grado, stabilendo che doveva tuttavia detrarsi dalla somma spettante a titolo di pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione quanto gia’ ricevuto dalla lavoratrice in corso di causa.
A sostegno del decisum, per cio’ che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale osservo’ che:
– la sentenza rescindente della Corte di Cassazione aveva dichiarato definitivamente e irrevocabilmente nel merito l’illegittimita’ del licenziamento intimato, demandando al Giudice del rinvio soltanto la statuizioni conseguenti all’accertata illegittimita’ del recesso;
– le sanzioni per tale illegittimita’ erano quelle previste dalla Legge n. 300 del 1970, articolo 18, nel testo anteriore alla novella di cui alla Legge n. 92 del 2012, in quanto la normativa sostanziale sui licenziamenti prevista da quest’ultima trova applicazione, pur in assenza di norme transitorie sul punto, per i licenziamenti intimati dopo la sua entrata in vigore e, al piu’, per quelli intimati prima ma comportanti, per il preavviso, la cessazione successiva del rapporto lavorativo, laddove, nel caso di specie, il licenziamento e la sua efficacia risalivano al 2006.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale resa in sede di rinvio, l’ (OMISSIS) spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.
L’intimata (OMISSIS) ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonche’ vizio di motivazione, la ricorrente assume che la sentenza impugnata, senza la benche’ minima argomentazione, aveva condiviso in toto le conclusioni rassegnate nella pronuncia rescindente in ordine all’illegittimita’ del licenziamento, con cio’ rigettando altresi’ la domanda subordinata di derubricazione della giusta causa in giustificato motivo, pur sottolineando, ai fini della regolamentazione delle spese, l’estrema gravita’ della condotta della lavoratrice e il consistente danno patrimoniale arrecato alla parte datoriale; il che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della inevitabile improseguibilita’ del rapporto di lavoro.
1.1 Il suddetto motivo e’ manifestamente infondato, atteso che questa Corte, come inequivocabilmente risulta dal contenuto della pronuncia rescindente (nei termini gia’ diffusamente esposti nello storico di lite), aveva gia’ stabilito, decidendo sul punto nel merito, l’illegittimita’ della sanzione espulsiva irrogata, sicche’ al Giudice del rinvio, come del resto espressamente demandatogli, non restava altro spazio decisionale se non quello afferente alle conseguenze dell’accertata illegittimita’ del recesso.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nonche’ vizio di motivazione, la ricorrente invoca l’applicabilita’ alla fattispecie del regime sanzionatolo introdotto dalla Legge n. 92 del 2012, quale legge vigente al momento della decisione, non essendo consentito, in difetto di una specifica disposizione che lo consenta, l’applicazione di una legge soppressa; il ridetto ius superveniens avrebbe dovuto infatti trovare applicazione nel caso di specie poiche’, essendo restato inalterato il fatto generatore, veniva a disciplinare esclusivamente gli effetti di tale fatto, verificatosi sotto l’impero della vecchia legge.
2.1 La questione sollevata con il suddetto motivo e’ gia’ stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’ha risolta ritenendo che la Legge 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42, nel novellare il testo dell’all. 18 dello Statuto dei lavoratori, non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data della sua entrata in vigore (cfr. Cass., n. 10550/2013).
Il suddetto principio, enunciato, nel caso esaminato, con riferimento all’applicabilita’ dello ius superveniens nei giudizi pendenti avanti alla Corte di Cassazione, trova peraltro applicazione anche con riferimento ai giudizi pendenti (alla data di entrata in vigore della novella) nei gradi di merito ovvero, come nel caso all’esame, in sede di rinvio.
Cio’ perche’, come condivisibilmente osservato nel teste’ ricordato precedente di legittimita’, a cui va qui data continuita’, con la Legge n. 92 del 2012, e’ stata introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti, che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimita’ del recesso a vantazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimita’, ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovesse applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) determinativo del provvedimento espulsivo; ed invero il nuovo sistema prevede distinti regimi di tutela a seconda delle ragioni comportanti l’illegittimita’ del licenziamento, con un’evidente incisiva ricaduta sul sistema della allegazioni e delle prove, non essendosi la novella limitata ad una modifica della sanzione irrogatale, ma avendola ricollegata ad una molteplicita’ di ipotesi di condotte giuridicamente rilevanti, fra loro diverse, ed alle quali, appunto, vengono connesse tutele tra loro profondamente differenti; si tratta dunque, in sostanza, di “Un sistema unico che non incide sul solo apparato sanzionatorio ma impone un approccio diverso alla qualificazione giuridica dei fatti incompatibile con una sua immediata applicazione ai processi in corso” (cfr, Cass., n. 10550/2013, cit., in motivazione).
3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 4.100,00 (quattromilacento), di cui euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre accessori come per legge; da atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

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