cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 29 maggio 2014, n. 12108

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24971-2011 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS) e (OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che le rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura speciale in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 546/2010 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 21/10/2010 R.G. 115/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS), (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso in subordine, accoglimento per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della pronuncia con cui il Tribunale di Tempio Pausania aveva accertato l’esistenza d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra le parti, previa declaratoria di nullita’ del termine apposto al contratto stipulato fra (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS), dichiarava che i periodi lavorati a decorrere dall’originaria assunzione dovevano essere computati ai fini dell’anzianita’ di servizio e dei trattamenti economici e normativi previsti dal contratto di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso con unico atto (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A. (la seconda resasi cessionaria, nelle more, di ramo d’azienda dalla prima) affidandosi ad un solo motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex articolo 378 c.p.c..
Parte intimata ha resistito con controricorso e ha depositato note d’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Preliminarmente va dichiarata la tardivita’ del controricorso, notificato oltre il termine di cui all’articolo 370 c.p.c., comma 1.
1.2. – Con unico motivo di ricorso, nel lamentare violazione e falsa applicazione della Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 (entrato in vigore il 24.11.2010), si invoca l’applicazione di tale ius superveniens rispetto alla pronuncia della sentenza impugnata e, per l’effetto, si chiede la riduzione delle conseguenze economiche (dell’accertata esistenza d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) al solo versamento di un’indennita’ omnicomprensiva fra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto. In subordine si chiede che tale indennita’ vada a sostituire la condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dopo la messa in mora della societa’ e fino alla riammissione in servizio di parte intimata.
2.1. – Il ricorso e’ inammissibile.
Come piu’ volte statuito da questa S.C., nel giudizio di legittimita’ lo ius superveniens che introduca una nuova e retroattiva disciplina del rapporto controverso puo’ trovare applicazione purche’ pertinente rispetto alle questioni illustrate in ricorso, atteso che i principi generali dell’ordinamento processuale e l’esigenza che la funzione di legittimita’ sia esercitata in risposta alle censure mosse dalla parte richiedono che il motivo di impugnazione con cui e’ investito, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla norma sopravvenuta sia (oltre che sussistente) ammissibile secondo la disciplina sua propria.
Ne consegue che – ove sia invocata l’applicazione della Legge n. 183 del 2010, articolo 32, commi 5, 6 e 7 riguardo alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro – e’ necessario che il ricorso investa specificamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullita’ della clausola di durata, non essendo possibile chiedere l’applicazione diretta della norma al di fuori del motivo di impugnazione (cfr., ex aliis, Cass. 1.10.12 n. 16642 e Cass. 26.7.11 n. 16266).
Diversamente, si consentirebbe la proposizione di ricorso per cassazione in casi diversi da quelli tassativamente previsti dall’articolo 360 c.p.c., che suppone necessariamente la denuncia di un vizio di motivazione o di un error in indicando o in procedendo della sentenza di merito, il che non accade a fronte di pronunce che non abbiano applicato (ne’ potevano farlo) norme non ancora entrate in vigore.
In altre parole, se cosi’ non fosse il ricorso per cassazione risulterebbe piegato a finalita’ estranee a quelle sue proprie.
Il ricorso in oggetto non muove censura alcuna riconducibile al catalogo -tassativo – di cui all’articolo 360 c.p.c., sicche’ l’assenza d’un qualche vizio della sentenza integra requisito ontologicamente preclusivo dell’impulso processuale attraverso un atto di impugnazione.
Invero, quantunque la legge non definisca il concetto di impugnazione, nondimeno e’ indubbio che impugnare significa – etimologicamente – contrastare, attaccare, combattere, confutare, contraddire.
E allora, poiche’ l’impugnazione implica una necessaria doglianza contro il provvedimento cui si rivolge, un ricorso che non confuti le argomentazioni contenute nella decisione impugnata, ma che si limiti a reclamare l’applicazione di norme ad essa sopravvenute, si atteggia, rispetto al ricorso per cassazione (retto dal principio di tassativita’ dei motivi, come s’e’ detto), quale motivo non consentito.
E se, per un verso, ovunque vi sia una doglianza contro un provvedimento vi e’ un’impugnazione, qualunque sia il mezzo e il nomen iuris attribuito, per altro verso non e’ l’impugnazione in se’, ma il singolo mezzo che riceve la propria individualita’ o dal vizio che la legge ha previsto o dalla particolare struttura del procedimento o, ancora, dalla posizione del soggetto impugnante.
E’ appena il caso di ricordare che la conclusione e’ coerente anche con la giurisprudenza delle Sezioni penali di questa S.C., ormai da lungo tempo consolidata nello statuire che e’ inammissibile il ricorso per cassazione inteso unicamente a far valere cause di estinzione del reato verificatesi successivamente alla sentenza impugnata (cfr., ad es., Cass. S.U. n. 33542 del 27.6.2001, dep. 11.9.2001, nonche’ tutte le successive conformi pronunce), in quanto esula dai casi in relazione ai quali puo’ essere proposto a norma dell’articolo 606 c.p.p. (omologo, nel processo penale, all’articolo 360 c.p.c.).
Le considerazioni che precedono assorbono ogni potenziale questione – agitata nel corso dell’odierna discussione e nelle note di udienza depositate da parte intimata – di legittimita’ costituzionale della Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 o di rinvio pregiudiziale alla CGUE delle clausole 4 n. 1,5 nn. 1 e 2 e 8 nn. 1 e 3 dell’accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE; dimostrano altresi’ la non pertinenza, nel caso di specie, del precedente (Cass. n. 11850/12, per altro isolato) invocato dalle societa’ ricorrenti nella propria memoria ex articolo 378 c.p.c., giacche’ in quella vicenda processuale il ricorso faceva valere altri vizi della sentenza gravata e la Corte aveva ritenuto che l’impugnazione implicitamente coinvolgesse (oltre alla validita’ della clausola di apposizione del termine) anche le relative conseguenze economiche.
Del pari non pertinenti sono gli altri precedenti di questa S.C. menzionati a pag. 2 della predetta memoria ex articolo 378 c.p.c., tutti aventi ad oggetto ricorsi che comunque validamente investivano i capi risarcitoli conseguenti alla nullita’ del termine.
2.2. – Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza. La loro liquidazione come da dispositivo tiene conto del rilievo che, tardivo il controricorso, parte intimata si e’ limitata alla mera discussione.
P.Q.M.
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore degli avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), antistatari.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *