Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 4 gennaio 2016, n. 21

Fatto

Con sentenza depositata il 21.11.2013, la Corte d’appello di Torino confermava la statuizione di prime cure che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla s.r.l. Fratelli C. a R.L. e condannato la società appellante a reintegrare la lavoratrice nel proprio posto di lavoro e a rifonderle i danni ex art. 18 St. lav.­Riteneva in particolare la Corte che, sebbene il giudice di primo grado avesse errato nell’interpretazione della contestazione disciplinare, che effettivamente concerneva un’assenza ingiustificata prolungatasi per oltre quattro giorni, la fattispecie contestata, a termini di contratto collettivo, poteva dar luogo soltanto al licenziamento con preavviso, per modo che, avendo la società appellante intimato invece un licenziamento in tronco e non avendo proposto alcuna domanda di conversione, la statuizione di primo grado non poteva che confermarsi, sia pure con diversa motivazione.
Per la cassazione di questa pronuncia ricorre la s.r.l. Fratelli C. con ricorso affidato a cinque motivi, illustrati con memoria. La lavoratrice ha svolto difese orali in pubblica udienza.

Diritto

Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, I. n. 604/1966, dell’art. 2119 c.c., dell’art. 10, lett. a), ipotesi f), CCNL per i dipendenti delle aziende dell’industria metalmeccanica privata in relazione agli artt. 1362-1371 c.c. nonché dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa pur ritenendo integrata dal comportamento dell’intimata la fattispecie giustificativa del recesso con preavviso.
Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce violazione dell’art. 1455 c.c. in relazione agli artt. 1 e 3, I. n. 604/1966, 2119 c.c. e 10, lett. a), ipotesi f), CCNL per i dipendenti delle aziende dell’industria metalmeccanica privata, per non avere la Corte territoriale correttamente valutato la gravità dell’inadempimento contrattuale della lavoratrice.
Con il terzo motivo, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di pronunciare d’ufficio la conversione del licenziamento.
Con il quarto motivo, la società ricorrente lamenta omesso esame circa la decisività dell’assenza prolungata della lavoratrice al fine di integrare la gravità dell’inadempimento o comunque la sua idoneità a costituire giustificato motivo soggettivo di recesso.
Da ultimo, con il quinto motivo, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 1324, 1362 ss. c.c., 1 e 3, I. n. 604/1966, e 10, lett. a), ipotesi f), CCNL per i dipendenti delle aziende dell’industria metalmeccanica privata, nonché della legge n. 300/1970 e degli artt. 7 e 112 c.p.c., ed altresì omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, per non avere la Corte territoriale esaminato e valutato l’insubordinazione della lavoratrice quale circostanza confermativa della gravità dell’addebito. Il secondo, il quinto e, seppur parzialmente, il quarto motivo precedono logicamente gli altri profili di censura sollevati in ricorso, involgendo la valutazione della legittimità dei licenziamento sotto il profilo della sussistenza della giusta causa. Essi possono esaminarsi congiuntamente, in considerazione della natura delle censure svolte, e sono infondati. Circa il secondo e il quinto motivo, è sufficiente rilevare che la Corte territoriale ha accertato che in nessun luogo della contestazione disciplinare che ha dato avvio al procedimento poi conclusosi con il licenziamento dell’intimata è stato dedotto come fatto di insubordinazione l’essersi la lavoratrice assentata nonostante che le fossero state espressamente denegate le ferie, avendole la società ricorrente contestato unicamente l’assenza ingiustificata protrattasi per oltre quattro giorni; e poiché anche le circostanze ritenute aggravanti che accedono ad una condotta inadempiente debbono formare oggetto di rituale contestazione, non essendo altrimenti possibile per il datore di lavoro porle in alcun modo a fondamento del recesso (cfr. in tal senso Cass. n. 7523 del 2009), vanamente parte ricorrente si duole della pronuncia ai suoi danni.
Per i medesimi motivi va ritenuta l’infondatezza della censura contenuta nel quarto motivo, limitatamente alla parte in cui la società ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe correttamente valutato sotto il profilo della gravità dell’inadempimento il comportamento della lavoratrice; quanto poi all’ulteriore profilo di censura contenuto nel medesimo motivo, concernente l’omesso esame della idoneità dell’inadempimento a costituire giustificato motivo soggettivo, esso è palesemente infondato, avendo la Corte territoriale riconosciuto proprio tale idoneità, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure. II primo e il terzo motivo sono invece fondati.
Come premesso in fatto, la Corte territoriale, dopo aver riconosciuto l’idoneità del comportamento tenuto dall’intimata a integrare gli estremi dei giustificato motivo soggettivo di licenziamento, ha ritenuto di dover confermare la statuizione di primo grado in ordine all’illegittimità dei licenziamento sul rilievo che nessuna domanda di conversione era stata proposta dalla società ricorrente.
Ora, indipendentemente dal fatto che parte ricorrente sostiene di aver proposto tale domanda nel corso dell’udienza di discussione dell’appello, deve qui ribadirsi che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso (giurisprudenza costante: cfr. da ult. Cass. 12884 dei 2014). E se ciò in generale abilita il giudice a convertire (rectius, valutare) un licenziamento per giusta causa in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo senza che ciò comporti violazione dell’art. 112 c.p.c. (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), dal momento che nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore all’annullamento dei licenziamento ritenuto ingiustificato ben può ritenersi compresa quella di minore entità derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, preveda il diritto dei lavoratore al preavviso, il carattere meramente qualificatorio della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo comporta che, ove il datore di lavoro impugni globalmente la sentenza di primo grado che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, nella sua domanda al giudice d’appello di dichiarare la legittimità della risoluzione del rapporto per giusta causa deve ritenersi compresa la minor domanda di dichiarare la risoluzione dello stesso rapporto per la sussistenza di giustificato motivo soggettivo (così Cass. n. 837 dei 2008).
Segue da quanto sopra che il giudice, anche d’impugnazione, che ometta di pronunciarsi anche d’ufficio sulla possibilità che un licenziamento intimato per giusta causa possa essere qualificato in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, incorre nella censura di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.; e non essendosi la Corte territoriale uniformatasi a tali principi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
Tenuto conto dell’accoglimento per quanto di ragione del ricorso, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso. Rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese dei giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 dei 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dei comma 1-bis dello stesso art. 13.

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