Suprema Corte di Cassazione 

sezione lavoro

sentenza del 20 novembre 2012, n. 20326

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Milano, F.P. agiva nei confronti della s.r.l. R. per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e la condanna della società convenuta al pagamento delle relative differenze retributive. Deduceva che il rapporto di lavoro era cessato per licenziamento intimato oralmente e comunque in difetto di giusta causa o giustificato motivo; chiedeva quindi che fosse ordinato il ripristino del rapporto di lavoro con il pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate o, in subordine, l’applicazione del regime di tutela obbligatoria.
In primo grado veniva accolta la domanda di accertamento della subordinazione con ogni conseguenza di ordine economico, mentre veniva respinta l’impugnativa del licenziamento per difetto di prova delle modalità di cessazione del rapporto di lavoro. Tale capo della sentenza veniva impugnato dalla lavoratrice.
La Corte di Appello di Milano con sentenza 18 ottobre 2007, in parziale accoglimento dell’appello, riteneva che il rapporto si fosse risolto per iniziativa datoriale; ritenuta l’illegittimità del recesso ed applicato il regime di tutela obbligatoria, condannava la società a riassumere la ricorrente o, in difetto, a pagarle due mensilità e mezzo della retribuzione mensile, oltre accessori; compensava per metà le spese del grado, ponendo la restante parte, liquidata in Euro 1.000,00, a carico della società.
Per la cassazione di tale sentenza F.P. propone ricorso, affidato a tre motivi. La società è rimasta intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce vizio di insufficiente motivazione (art. 360 n. 5. cod. proc. civ.) per avere il giudice di appello omesso di qualificare il licenziamento come orale. La motivazione dovrebbe quindi essere integrata con tale qualificazione.
Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 2 L. n. 604 del 1996 per erronea applicazione della c.d. tutela obbligatoria in luogo della disciplina di diritto comune per il licenziamento inefficace, quale deve ritenersi quello intimato oralmente. Formula quesito di diritto con cui chiede se, in caso di licenziamento orale, il datore debba essere condannato al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettivo ripristino del rapporto.
Il terzo motivo denuncia violazione di legge (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. per essere stata erroneamente disposta la compensazione parziale delle spese di lite a fronte della totale soccombenza della società appellata.
Il primo motivo è destituito di fondamento.
Dal complessivo tenore della sentenza risulta che la Corte milanese non ha ritenuto sussistente la forma orale, ma quella scritta del licenziamento ravvisando nella lettera del 5 luglio 2002 l’esternazione della volontà datoriale di recedere dal rapporto. In tal senso depongono gli argomenti di ordine logico utilizzati (il contenuto della lettera costituiva un “forte indizio” di una “risoluzione ad iniziativa della società”), unitamente alla ribadita mancanza di una conferma giudiziale del licenziamento orale. La ricorrente pretende che si attribuisca alla sentenza un significato diverso da quello espresso dal suo tenore logico e testuale.
Spetta al giudice di merito la valutazione degli elementi funzionali alla qualificazione del licenziamento in termini legali. Tali valutazioni sono sottratte al controllo in sede di legittimità se sorrette da un’adeguata motivazione, nella specie nemmeno censurata in relazione ai suoi parametri di congruità logica e di correttezza giuridica, avendo parte ricorrente errato nella stessa interpretazione della sentenza.
Ne consegue che è infondato anche il secondo motivo, in quanto il regime applicato (c.d. tutela obbligatoria) è coerente con la categoria di invalidità ritenuta sussistente (illegittimità del licenziamento, in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo).
Il terzo motivo, vertente sulla parziale compensazione delle spese di lite, muove anch’esso dall’erroneo presupposto di una situazione processuale di totale soccombenza della soc. R. Al contrario, parte appellante non era risultata completamente vittoriosa in secondo grado, come può evincersi dal suo interesse a proporre ricorso per cassazione avverso la statuizione concernente il genere di tutela applicato dal giudice di appello.
In tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 cod. proc. civ., il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa; esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite (v, tra le più recenti, Cass. n. 20457 del 2011).
Il ricorso va dunque respinto.
Nulla deve disporsi quanto alle spese del giudizio di cassazione, essendo la società rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Depositata in Cancelleria il 20.11.2012

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *