Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza del 22 ottobre 2012, n. 18113

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9 agosto 2005 la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari del 16 luglio 2003 con la quale è stata rigettata la domanda proposta da M.F. e relativa alla querela di falso da lui proposta nei confronti della s.n.c. N. di N. V. & C. e relativa ad una dichiarazione a sua firma dalla quale risultava l’avvenuto pagamento in data 18 ottobre 1990 dell’importo di L. 4.500.000 richiesto in sede monitoria e che, a detta del ricorrente, traeva origine dall’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco e da lui stesso rilasciato a detta società. La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando il riscontro del pagamento in questione nei libri contabili della società e nell’assegno riscosso dal M. per la cifra corrispondente a quella di cui alla contestata dichiarazione; la stessa Corte barese ha pure rigettato l’istanza di ammissione di prova testimoniale avendo lo stesso M. rinunciato alle stesse nel giudizio di primo grado chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni.
Il M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la N.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.; in particolare si deduce che dalla consulenza tecnica svolta sarebbero emerse circostanze che farebbero ritenere la dedotta falsità della scrittura in questione.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. lamentandosi che erroneamente la Corte barese avrebbe ritenuto che il ricorrente aveva implicitamente rinunciato alle istanze istruttorie nel giudizio di primo grado, come risulterebbe dai verbali di udienza dai quali risulterebbe che il procuratore del M. ha sempre insistito nell’ammissione dei mezzi istruttori richiesti.
Il primo motivo è infondato. Questa Corte costantemente afferma che la valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati, non potendo, perciò, il giudice esimersi, con riguardo alla consulenza tecnica, da una puntuale e dettagliata motivazione, purché i rilievi mossi risultino specifici e argomentati, e non mere argomentazioni difensive di dissenso alle valutazioni compiute al fine di far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice all’opinione che di essi abbia la parte (per tutte Cass. 23 novembre 2005 n. 24589). Nel caso in esame il ricorrente muove critiche alla valutazione delle prove con particolare riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio alla quale il giudice di merito ha fatto riferimento in modo non acritico ma accettandone criticamente le risultanze con giudizio comunque logico non suscettibile di censure in sede di legittimità.
Pure infondato è il secondo motivo. Come chiaramente Esposto nella motivazione della sentenza impugnata, nel giudizio di primo grado il ricorrente aveva rinunciato alla richiesta prova testimoniale chiedendo la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni; d’altra parte l’udienza di precisazione delle conclusioni preclude l’ammissione dei mezzi istruttori per il principio dell’irretroattività delle fasi processuali. Né il ricorrente deduce – in osservanza del principio dell’autosufficienza – gli atti processuali comprovanti la ritualità e tempestività della richiesta di prova per testi intesa ad accertare la vera causale della somma di cui si discuteva, non potendosi neanche esaminare le richieste istruttorie fatte all’udienza del 9 aprile 2002 perché si era già in sede di gravame.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. e spese generali.

Depositata in Cancelleria il 22.10.2012

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