La massima

In caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, intervenuta nel corso di un giudizio iniziato nei confronti della società, singoli soci possono essere legittimati a proseguire il giudizio stesso solo se risulti che agiscano in qualità di soci abilitati a succedere nel processo alla società estinta e sempre che non risulti che la società, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, abbia scelto di non coltivare il processo stesso

Suprema Corte di Cassazione

Sezione lavoro

sentenza n. 15525 del 17 settembre 2012

Svolgimento del processo

1 – La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello di G. B. ed C.E. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 26 maggio 2005, dichiarativa dell’inefficacia del licenziamento verbale intimato dalla Gentile Bettino Legnami s.n.c. nei confronti di D.L. con condanna della predetta società, in persona del liquidatore, al risarcimento dei danni in favore del lavoratore, oltre al pagamento delle differenze retributive maturate e non percepite.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la sentenza di primo grado è stata pronunciata nei confronti della società in nome collettivo Gentile Bettino Legnami, mentre l’appello è stato proposto G.B. ed C.E. personalmente;
b) l’ordinamento delle società di persone – quale è quella in nome collettivo – prevede la corresponsabilità della società e dei soci, ma affinchè le persone fisiche possano essere ritenute responsabili di una obbligazione che riguarda la società occorre che dette persone siano individuate nella loro qualità di soci, non nella più ampia qualità di persone fisiche, scollegata dalla società;
c) nella specie la sentenza di primo grado è stata emessa nei confronti della sola società, mentre l’appello è stato proposto da due persone fisiche non altrimenti qualificate;
d) conseguentemente, l’evidente non coincidenza tra soggetti processuali rispettivamente presenti nelle due suddette fasi del processo, determina il rigetto dell’appello, per l’evidente carenza di legittimazione ad impugnare degli attuali appellanti, i quali non sono portatori di alcun particolare interesse processuale rispetto alla sentenza impugnata, non pronunciata nei loro confronti;

e) sono assorbiti gli altri motivi di censura.
2.- Il ricorso di G.A., C.E. e G.G. domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; resiste, con controricorso, D.L..
Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1- Sintesi dei motivi di ricorso.
1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 cod. proc. civ..
Si rileva che la Corte territoriale non ha affrontato la questione – ritualmente prospettatale – della intervenuta (il 26 marzo 2001) cancellazione dal registro delle imprese della società GENTILE LEGNAMI s.n.c, dovuta alla cessazione di ogni attività. Questa è stata la ragione per cui il giudizio di appello è stato introdotto, oltre due anni dopo la cancellazione suddetta (cioè il 14 maggio 2003), da G.B. personalmente.
La Corte romana ha omesso di esaminare la suddetta problematica, mentre le Sezioni unite di questa Corte, con le sentenze n. 4060, n. 4061 e n. 4062 del 22 febbraio 2010, hanno stabilito che la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione delle società (anche di persone), per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, modificativo dell’art. 2495 c.c., comma 2, e che l’evento è opponibile ai terzi contestualmente alla pubblicità, nell’ipotesi in cui la cancellazione sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003 e con decorrenza dal 1 gennaio 2004, nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore.
Inoltre la Corte d’appello non si sarebbe accorta del fatto che la qualità di ex socio del ricorrente in appello era provata dalla visura camerale in atti.
2.- Con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione sul punto relativo al preteso difetto di motivazione del ricorso introduttivo del giudizio, derivante dal fatto che esso è stato indirizzato ad una società inesistente, perchè ormai estinta.
3 – Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione di legge e omessa motivazione in ordine alla disposta conferma dell’ordine di ripristino del rapporto senza alcuna limitazione temporale.
Si sostiene che la statuizione avrebbe dovuto avere come termine ultimo il 13 marzo 2001 (data di cessazione dell’attività) o il 26 marzo 2001 (data di cancellazione della società).

4.- Con il quarto motivo si denuncia omessa motivazione sull’eccezione di tardi vita dell’impugnazione del presunto licenziamento in tronco (risalente, secondo il D., al 30 novembre 1999) avvenuta il 3 aprile 2000, cioè molto oltre la scadenza del termine di sessanta giorni stabilito dalla L. n. 604 del 1966, art. 6.
5.- Con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa motivazione sulla prova del licenziamento orale, non fornita dal lavoratore.
6.- Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa motivazione, in relazione alla mancata prova da parte del lavoratore dell’esistenza, quantificazione e qualificazione del rapporto di lavoro con la falegnameria, sul rilievo che, in realtà, il D. ha sempre prestato servizio presso l’azienda agricola della C., attigua alla falegnameria.
7.- Con il settimo motivo si rileva che, nell’ipotesi in cui il rapporto con la falegnameria si considerasse provato, comunque la quantificazione delle differenze retributive effettuata dalla Corte d’appello sarebbe errata perchè basata su: 1) un inquadramento sbagliato del lavoratore; 2) un calcolo sbagliato del compenso per lavoro straordinario, della quattordicesima mensilità, dei permessi, festività e ferie non goduti; 3) la mancata considerazione della discontinuità delle prestazioni svolte dal D. (che frequentemente si è recato all’estero).
2 – Esame delle censure.
8.- Il primo motivo è infondato, per le ragioni di seguito precisate.
8.1- Con esso i ricorrenti, censurano l’affermazione della Corte d’appello che ha negato la legittimazione di G.B. (ora defunto) ed C.E. personalmente a proporre appello avverso la sentenza di primo grado del presente giudizio – pronunciata nei confronti della GENTILE LEGNAMI s.n.c., con le consequenziali determinazioni assunte nei confronti della società stessa, in persona del liquidatore – onde far valere i diritti originariamente spettanti ad una società cancellata dal registro delle imprese, sul presupposto secondo cui l’ordinamento delle società di persone – quale è quella in nome collettivo – prevede la corresponsabilità della società e dei soci, ma affinchè le persone fisiche possano essere ritenute responsabili di una obbligazione che riguarda la società occorre che dette persone siano individuate nella loro qualità di soci, non nella più ampia qualità di persone fisiche, scollegata dalla società, come si è verificato nella specie.
Secondo i ricorrenti, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, una siffatta affermazione non avrebbe più fondamento, poichè le modifiche apportate dal legislatore al testo dell’art. 2495 cod. civ., renderebbero invece evidente che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese implica la definitiva estinzione dell’ente, e che tale conclusione non potrebbe non essere sistematicamente estesa anche all’ipotesi di cancellazione dal registro di una società di persone

I ricorrenti, perciò, chiedono a questa Corte di affermare che la cancellazione di una società in nome collettivo dal registro delle imprese ha efficacia costitutiva e comporta l’immediata estinzione della medesima società, con la conseguenza che questa non può più essere considerata titolare dei diritti o degli obblighi che in precedenza facevano ad essa capo; e che siffatto principio è applicabile, a partire dal 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 6 del 2003, anche con riguardo a cancellazioni intervenute in epoca anteriore, secondo quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, con le sentenze n. 4060, n. 4061 e n. 4052 del 22 febbraio 2010.
8.2- Come è stato sottolineato da Cass. 16 luglio 2010, n. 16758 (che ha esaminato una fattispecie simile alla presente), nelle anzidette sentenze è stato affermato: che l’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4: a) non è norma interpretativa, bensì innovativa ed ultrattiva, pur essendo diretta a disciplinare anche gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004), prevedendo la loro estinzione a partire da tale data in conseguenza dell’indicata pubblicità, diversamente da quanto opinava l’unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità; b) per ragioni di ordine sistematico, dalla stessa data del 1 gennaio 2004 anche per le società di persone, pur restando esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione dal registro (impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione), l’intervenuta cancellazione fa presumere il venir meno della capacità e della legittimazione dell’ente, pur se perdurino rapporti o azioni in cui esso era parte, stante l’esigenza di garantire la parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, onde occorre far leva sull’analogia juris ed utilizzare, anche per le società di persone, regole corrispondenti alla nuova disciplina introdotta per definire gli effetti della cancellazione delle società di capitali.
8.3.- Da tali principi non v’è ragione di discostarsi nel presente caso, nel quale si pone, però, un problema ulteriore, non sottoposto all’attenzione delle Sezioni unite nelle suindicate sentenze e, invece, esaminato da Cass. 16 luglio 2010, n. 16758 cit.: se (ed eventualmente in qual misura) spetti ai singoli soci la legittimazione a far valere in giudizio diritti o azioni la cui titolarità competeva alla società prima della sua cancellazione, ovvero quale è la sorte dei rapporti processuali che facevano capo alla società ove ne sopravvenga, in corso di causa, la cancellazione (vedi, sul punto, per una fattispecie particolare, Cass. 16 maggio 2012, n. 7676).

All’indomani della riforma del diritto societario che ha condotto alla nuova formulazione dell’art. 2495 cod. civ., la dottrina ed, in taluni casi, anche la giurisprudenza di merito non hanno mancato d’interrogarsi sulla sorte delle sopravvenienze attive scoperte dopo la cancellazione della società dal registro o sulla sorte dei residui patrimoniali attivi non liquidati prima della cancellazione (così come sulla situazione dei processi di cui la società cancellata fosse parte).

E diverse soluzioni sono state prospettate:
1) da taluni è stata ipotizzata la necessità della nomina di un curatore speciale, deputato al completamento delle attività non ultimate dal liquidatore prima della cancellazione;

2) da altri è stato invocato il potere del giudice del registro di cancellare d’ufficio le iscrizioni – in questo caso la pregressa cancellazione della società – effettuate in difetto delle condizioni richieste dalla legge (vedi: Cass. SU 9 aprile 2010, n. 8426);

3) da altri ancora è stato configurato un meccanismo successorio dal quale scaturirebbe una situazione di comunione tra gli ex soci, avente ad oggetto i beni non liquidati, o comunque una contitolarità in capo a costoro dei diritti spettanti alla società prima della cancellazione.
Non sembra, tuttavia, che sia necessario prendere posizione su tali opzioni ricostruttive nel presente giudizio, nel quale non di sopravvenienze o residui attivi deve parlarsi, bensì di una pretesa il cui carattere contenzioso rende problematico anche costruire – secondo il suggerimento che s’è visto provenire da una parte della dottrina per le sopravvenienze attive – un meccanismo successorio dal quale possa scaturire una situazione di comunione tra gli ex soci, o comunque una contitolarità in capo a loro di diritti prima spettanti alla società.
Prima ancora d’interrogarsi sulla possibilità che solo alcuni tra gli eventuali successori o contitolari siano legittimati all’esercizio di una simile pretesa, occorre considerare come sia assai dubbio che l’azione, in appello esercitata solo da alcuni degli ex soci non qualificatisi come tali, possa corrispondere ad una posizione giuridica loro trasmessa dalla società estinta: perchè, se è indiscutibile che la società medesima sarebbe stata legittimata a continuare a difendere i proprì diritti nella presente controversia e, quindi, anche a proporre l’atto di appello di cui si discute, sta di fatto che con la decisione di porsi in liquidazione e cancellarsi dal registro (decisione assunta molto dopo l’inizio del presente giudizio), ha evidentemente scelto di non farlo.

Certamente un successore può esercitare un’azione spettante al suo dante causa, ma soltanto se risulti che egli agisca in qualità di socio abilitato a succedere nel processo alla società estinta (Cass. 16 maggio 2012, n. 7676 cit.) e non ricorra un pregresso comportamento del dante causa inequivocabilmente inteso a rinunciare alla pretesa azionata, giacchè in tal caso è venuto meno l’oggetto stesso dell’ipotizzata trasmissione successoria (Cass. 16 luglio 2010, n. 16758 cit).
8.4- Ne consegue che la motivazione dell’impugnata sentenza va esente dalle censure prospettate dai ricorrenti e il primo motivo del ricorso deve esser rigettato, con l’enunciazione del seguente principio di diritto: “In caso di cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, intervenuta nel corso di un giudizio iniziato nei confronti della società, singoli soci possono essere legittimati a proseguire il giudizio stesso solo se risulti che agiscano in qualità di soci abilitati a succedere nel processo alla società estinta e sempre che non risulti che la società, sciogliendosi e facendosi cancellare dal registro, abbia scelto di non coltivare il processo stesso”.
8.5.- Pur rivestendo le considerazioni fin qui svolte carattere assorbente rispetto a tutte le A censure prospettate con gli altri motivi (dal secondo al settimo), va comunque precisato che tali censure si riferiscono a questioni sulle quali la Corte d’appello non si è pronunciata, perchè le ha considerate assorbite, sicchè esse non erano comunque esaminabili nel presente giudizio di cassazione.
Infatti, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte: “nel giudizio di legittimità, introdotto a seguito di ricorso per cassazione, non può trovare ingresso, ed è perciò non esaminabile, la questione sulla quale, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averla ritenuta assorbita, in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale o preliminare (vedi, per tutte: Cass. 1 marzo 2007, n. 4804; Cass. 5 maggio 2003, n. 6784).
4 – Conclusioni.
9.- In sintesi, il ricorso va rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi, Euro 3000,00 (tremila/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

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