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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza n. 9777  del 23 aprile 2013

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 5 giugno 2008 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato la società Fremil a corrispondere a A.S. Euro 2071,51 al titolo di pagamento delle provvigioni portate da due fatture.
L’A. aveva chiesto la condanna della società Fremil al pagamento della somma di lire 195 milioni dovuta a titolo di provvigioni non corrisposte per ordini inevasi a causa della mandante; per l’illegittima trattenuta del 2% sulle provvigioni; per mancato pagamento di fatture già emesse; per vendite effettuate direttamente dalla mandante senza corresponsione della provvigione; per indennità sostitutiva del preavviso e per indennità di scioglimento del contratto. La Corte territoriale ha evidenziato, con riferimento alla doglianza dell’appellante circa la mancata ammissione della consulenza tecnica, che l’agente non aveva provato il fatto costitutivo rappresentato dai contratti conclusi con il suo intervento, non aveva enunciato i contratti conclusi in relazione ai quali non era stata corrisposta la provvigione, né aveva indicato gli ordini rimasti inevasi per cause imputabili alla mandante; con riferimento alle provvigioni per vendite indirette non aveva fornito la prova di aver acquisito personalmente gli ordini come previsto in contratto; era stato soltanto accertato il mancato pagamento delle fatture n. (omissis).
Quanto all’indennità sostitutiva del preavviso la Corte territoriale ha osservato che l’istituto si riferiva ai contratti a tempo indeterminato, mentre tale non era quello in essere; che il disposto dell’articolo 1750 comma primo CC era inapplicabile alla fattispecie in esame essendosi il contratto rinnovato a tempo determinato.
Con riferimento all’indennità di cessazione del rapporto ex articolo 1751 c.c. ha osservato che il ricorrente si era limitato a dedurre l’esistenza delle condizioni previste dalla norma per aver acquisito numerosi clienti indicandone in modo esemplificativo quattro senza tuttavia formulare alcuna prova volta a confermare tale affermazione.
Avverso la sentenza propone ricorso in Cassazione l’A. formulando cinque motivi. Si costituisce la società Fremil International depositando controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia,con riferimento alla domanda di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso violazione di legge ed erronea applicazione dell’articolo 1750 cc., degli articoli 1453 e 1460 CC, nonché motivazione erronea e contraddittoria (art. 360 n. 3 e 5 cpc). Osserva che il contratto era stato risolto in tronco su iniziativa della mandante con disdetta del 16 dicembre 1999. Deduce che sia se si considerasse il contratto a tempo determinato (scadente il 10/3/2000), sia quale contratto originariamente a termine poi proseguito e divenuto a tempo indeterminato con obbligo di preavviso, sarebbe spettato all’agente il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, o comunque un risarcimento, con la conseguenza che andava accertata la sussistenza degli inadempimenti addebitati all’agente con la lettera di risoluzione e dunque la giusta causa, svolgendo la prova testimoniale come richiesto. La censura è infondata.
La Corte territoriale ha qualificato il contratto d’agenzia intercorso tra le parti quale contratto a tempo determinato rinnovato, dopo i primi sei mesi, per un anno fino al 10/3/2000 e disdettato con lettera del 16/12/99. Sulla base di tale natura del contratto ha escluso l’applicabilità dell’art. 1750 cc relativo al contratto a tempo indeterminato ed all’obbligo del preavviso al fine di recedere dallo stesso nonché all’ipotesi di conversione a tempo indeterminato del contratto a termine proseguito successivamente alla scadenza del termine stesso.
Non sono state dedotte valide ragioni, né in fatto né in diritto, per discostarsi dall’accertamento eseguito dai giudici di merito circa la natura del contratto intercorso tra le parti e l’insussistenza del diritto dell’agente a percepire l’indennità di preavviso. La Corte territoriale si è attenuta ai principi espressi da questa Corte (Cfr Cass n./7426 del 17/06/1992) secondo la quale “È pertanto legittima la clausola di tacita rinnovazione “di anno in anno salvo disdetta” del rapporto di agenzia, senza che dalla reiterata rinnovazione del contratto a termine possa trarsi la conseguenza di un unico contratto di agenzia a tempo indeterminato; nell’ipotesi di rinnovo automatico del contratto per mancato invio della disdetta e di successivo recesso ingiustificato “ante tempus” del preponente dal rapporto, l’agente ha diritto non all’indennità sostitutiva del preavviso, ma al risarcimento del danno derivante da detto recesso” (si confronti altresì sull’inapplicabilità del preavviso al contratto a tempo determinato Cass n 3595/2011 “In tema di rapporto di agenzia, l’istituto del preavviso riguarda unicamente il recesso dal contratto di agenzia a tempo indeterminato, e non può essere esteso al contratto di agenzia a tempo determinato, ancorché, in mancanza di allegazione e prova della loro simulazione, si siano succeduti, senza soluzione di continuità, più contratti a termine”).
Non può neppure trovare accoglimento la domanda del ricorrente con la quale egli ha chiesto il risarcimento del danno quale conseguenza dell’anticipata risoluzione del contratto a tempo determinato anteriormente alla naturale scadenza del 10/3/2000. Il ricorrente, infatti, ha omesso di indicare che tale domanda, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata, contrariamente a quanto affermato dalla controricorrente (la quale comunque contesta l’avvenuta anticipata risoluzione del contratto prima della sua naturale scadenza del 10/3/2000), era stata tempestivamente formulata fin dal ricorso introduttivo eventualmente riproducendo, ai fini dell’autosufficienza del ricorso in Cassazione, le conclusioni formulate davanti al Tribunale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in ordine all’indennità di cessazione del rapporto, violazione ed erronea applicazione dell’art. 1751 cc e degli AEC che codificano il diritto e le modalità di quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto, (art. 360 n 3 e 5 cpc); violazione o erronea applicazione dell’art. 414 cpc e dell’art. 244 cpc (art. 360 n. 3 e 5 cpc). Lamenta che la Corte aveva affermato che l’agente non aveva allegato i presupposti di cui all’art. 1751 cc mancando elementi idonei ad identificare i contratti che l’agente assumeva conclusi per suo tramite. Deduce, invece, che nel ricorso aveva prodotto copiosa documentazione dei clienti acquisiti e ben 104 fatture emesse da Fremil e che quest’ultima non aveva contestato che si trattava di clientela acquisita dall’agente. Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di non ammettere la prova e la CTU.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha affermato che il ricorrente a sostegno della domanda volta al pagamento dell’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cc aveva dedotto esclusivamente l’esistenza delle condizioni di cui alla norma per avere acquisito numerosi clienti, indicandone esemplificativamente quattro, e che tuttavia nessuna richiesta di prova, per interpello o per testi, concerneva tale affermazione essendo precluse nuove allegazioni in fatto e diritto al pari delle richieste istruttorie sui fatti costitutivi non formalizzate nel ricorso.
La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l’affermato inadempimento del ricorrente all’onere probatorio, su di lui gravante, dei fatti costitutivi della domanda di liquidazione dell’indennità di scioglimento del rapporto che ai sensi dell’art. 1751 cc impone all’agente di indicare i nuovi clienti acquisiti, il sensibile sviluppo degli affari con i clienti esistenti e tutti gli altri elementi indicati nella norma stessa.
La Corte territoriale da atto che “è incontroverso che prima dell’introduzione del giudizio la mandante ha messo a disposizione del ricorrente, tanto da essere stati prodotti tempestivamente, gli estratti conto delle provvigioni e le copie delle fatture emesse ai clienti onde ben sarebbe stato possibile assolvere al richiamato onere di allegazione”. Osserva, altresì, con riferimento alla richiesta CTU, che “tende inammissibilmente a surrogare la parte che avendone la possibilità, non ha adempiuto all’onere che le faceva carico”.
Non vi sono ragioni, pertanto, per discostarsi da quanto affermato e motivato nella sentenza impugnata dovendosi, altresì, osservare l’inadeguatezza del quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in quanto privo dell’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo.
Con il terzo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 115, 1 comma e 116 cpc (art. 360 n 3 e 5 cpc) sul governo delle prove. Lamenta che la Corte territoriale non aveva tenuto in alcun conto la documentazione prodotta ed erroneamente aveva affermato la genericità dei capitoli di prova.
Con il quarto motivo denuncia mancata applicazione dell’articolo 1749 CC erronea applicazione dell’articolo 61 c.p.c. (art. 360 n 3 e 5 cpc). Censura la sentenza nella parte in cui è stata negata la consulenza tecnica in quanto secondo la corte non vi sarebbe stata allegazione del fatto costitutivo sebbene il ricorrente con la copiosa produzione complessiva dei tabulati ricevuti dalla mandante avesse assolto all’onere di esposizione dei fatti assolvendo così all’onere di determinatezza e specificità della domanda trattandosi solo di verificare attraverso la c.t.u. se le provvigioni corrisposte corrispondevano a quelle spettanti.
Con il quinto motivo denuncia violazione o erronea applicazione dell’art. 1749 3 comma cc (art.. 360 n. 3 cpc) Lamenta che la mandante non aveva assolto all’onere di depositare gli estratti conto ex art. 1749 2 cc e che erroneamente la Corte non aveva ammesso l’ordine di esibizione in violazione di detta norma.
Le censure congiuntamente esaminate, stante la loro connessione, sono infondate.
Deve rilevarsi, in primo luogo, che spetta al giudice di merito il potere di valutare la rilevanza della prova e dunque la sua utilità. Il mancato esercizio, da parte del giudice di merito, del potere discrezionale di ordinare l’esibizione di documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio. Nella specie la Corte ha ritenuto generici i capitoli di prova e, dunque, non idonei a fornire la prova dei fatti costitutivi richiesti per la maturazione del diritto all’indennità di cessazione del rapporto e degli altri diritti fatti valere dall’agente nel giudizio. Quanto al mancato esercizio del potere discrezionale di pronunciare l’ordine di esibizione, deve richiamarsi quanto affermato dalla Corte d’Appello che ha sottolineato l’avvenuta messa a disposizione del ricorrente, prima dell’introduzione del giudizio, tanto da essere stati tempestivamente depositati, degli estratti conto delle provvigioni e delle copie delle fatture emesse ai clienti onde il ricorrente ben avrebbe potuto assolvere all’onere probatorio su di lui gravante.
Quanto, infine, alla deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata deve precisarsi che il ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni. Per le premesse considerazioni il ricorso va respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla contro ricorrente Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

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