Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 6 settembre 2017, n. 40512. La confessione non costituisce presupposto necessario per deliberare l’accesso alla messa alla prova

La confessione, se integra un elemento certamente utile per pervenire alla valutazione prognostica favorevole all’evoluzione della personalità dell’imputato verso il suo reinserimento, non costituisce presupposto necessario per deliberare l’accesso alla messa alla prova, potendo tale prognosi favorevole essere formulata anche in mancanza dell’espressa ammissione dell’addebito, sempre che la condotta dell’indagato o imputato non trasmodi nella corriva negazione delle evidenze fattuali certe e, sottraendosi alla leale collaborazione nel processo, finisca per determinare la contestazione da parte sua della stessa funzione della messa alla prova.

Sentenza 6 settembre 2017, n. 40512
Data udienza 9 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. BONI Monica – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 45/2016 CORTE APP. SEZ. MINORENNI di CATANIA, del 10/06/2016;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO SIANI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. TAMPIERI Luca che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 10 – 28 giugno 2016, la Corte di appello di Catania, Sezione minorenni, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Catania il 9 marzo 2016, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la diminuente ex articolo 98 cod. pen. in regime di prevalenza sulle aggravanti ritenute, ha rideterminato la pena irrogata a carico di (OMISSIS), imputato appellante, in quella di anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000.000,00 (un milione) di multa, in relazione al reato previsto e punito dall’articolo 110 cod. pen., nonche’ Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, articolo 12, comma 3, lettera a), b), c) e d), commi 3-bis e 3-ter, ritenuto come commesso in territorio libico, in acque antistanti la Libia, in acque internazionali ed in acque territoriali italiane, ai danni dello Stato Italiano, fino al 25 agosto 2015, con contestuale sostituzione della misura cautelare custodiale a cui era assoggettato l’imputato con quella del collocamento in comunita’, mentre ha rigettato l’istanza di sospensione del processo per far luogo alla prova e quella di concessione della sospensione condizionale della pena inflitta.

Per quanto qui primariamente rileva, la Corte territoriale ha rigettato l’istanza di ammissione del (OMISSIS) alla messa alla prova ritenendo mancante con riferimento alla sfera dell’imputato la consapevolezza dell’antigiuridicita’ del comportamento tenuto, in quanto lo stesso aveva insistito nel negare la sua responsabilita’ adducendo lo stato di necessita’, quando invece l’istituto presupponeva proprio l’acquisita contezza della penale responsabilita’ dell’imputato e la consapevolezza piena da parte dello stesso dell’antigiuridicita’ del comportamento tenuto, oltre ad una prognosi di elevatissima probabilita’ di futuro comportamento corretto e rispettoso della legge.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore del (OMISSIS) chiedendone l’annullamento e prospettando a sostegno del mezzo due motivi.

2.1 Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 168-bis e ss. cod. pen., articoli 464-bis e ss. cod. proc. pen. e della L. 28 aprile 2014, n. 67, in relazione all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).

Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito aveva formulato una valutazione giuridicamente erronea non rilevando che la confessione non costituiva presupposto essenziale per la pronuncia del provvedimento di sospensione del processo con ammissione alla messa alla prova. Alla stregua anche della pregressa interpretazione dell’istituto doveva, al contrario, notarsi come non si esigesse l’ammissione del fatto da parte dell’imputato, la quale non faceva parte dei requisiti per l’accesso al suddetto procedimento. Anzi, a ben vedere, la confessione risultava incompatibile con l’istituto stesso, in quanto, in ipotesi di revoca dell’ordinanza di sospensione, il procedimento avrebbe ripreso il suo corso e, pertanto, l’imposizione dell’ammissione di responsabilita’ avrebbe inciso sulle garanzie sostanziali e processuali riservate all’imputato.

Inoltre, pur con le differenze tra i due istituti, avrebbe dovuto valere per la messa alla prova quanto era previsto per l’affidamento in prova al servizio sociale, istituto in relazione a cui non era richiesta l’ammissione degli addebiti. Naturalmente, tale puntualizzazione non escludeva che un’eventuale confessione potesse essere valutata dal giudice, ma cio’ che era rilevante era la serieta’ della volonta’ dell’imputato di intraprendere un percorso di risocializzazione, con la verifica positiva dell’accettazione della sentenza e della sanzione inflitta, in quanto cio’ che assumeva rilievo decisorio era l’evoluzione della personalita’ successivamente al reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento nel tessuto sociale.

Tali principi avrebbero dovuto, secondo il ricorrente, ricevere applicazione nel caso di specie, posto che con riferimento all’imputato erano state rassegnate relazioni ottime, sia sulla personalita’ che sull’impegno lavorativo, nel periodo in cui era stato ristretto nell’IPM di Acireale, e del pari erano state positive le relazioni degli assistenti sociali, le quali avevano evidenziato anche la sua indole buona: tali atti, pero’, non erano stati presi in alcuna considerazione dalla Corte etnea.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), egualmente in ordine al rigetto dell’istanza di sospensione del processo e di ammissione alla messa alla prova dell’imputato.

Ad avviso del ricorrente, i giudici di merito erano anche incorsi in vizio nella motivazione della sentenza nella parte in cui avevano rigettato l’istanza di ammissione alla messa alla prova: la sentenza risultava del tutto incongruente nelle risultanze decisorie, in quanto aveva dato per assodato che il (OMISSIS) non avesse mostrato evidenti segni di rivisitazione critica del fatto reato e che non avesse i requisiti necessari per un positivo reinserimento, in contrasto con l’orientamento fornito dalle relazioni redatte dai servizi sociali dell’IPM dopo piu’ di dieci mesi di osservazione.

3. Il Procuratore generale si e’ espresso per l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ai giudici di merito per nuovo esame della questione relativa alla messa alla prova del (OMISSIS) inadeguata appalesandosi la motivazione fornita sul punto nella sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’, per quanto di ragione, fondato e va accolto nei sensi che seguono.

2. La Sezione minorenni della Corte di appello di Catania ha raggiunto l’approdo gia’ ricordato in primo luogo descrivendo i caratteri fondamentali dell’istituto della messa alla prova dell’imputato minorenne, come regolato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articoli 28 e 29 e poi osservando che da tale disciplina si desumeva che, pur presupponendo essa l’assenza di dubbi sulla colpevolezza dell’imputato, con la sua applicazione lo Stato rinunciava all’affermazione della responsabilita’ dello stesso imputato allorche’ si prospettava la probabile rieducazione del soggetto ed il suo reinserimento sociale. Da tale base i giudici di merito hanno tratto la conseguenza che per ammettere il soggetto alla messa alla prova occorreva l’evenienza di un’altissima probabilita’ del suo futuro comportamento corretto e rispettoso ella legge, presupponendosi, quindi, oltre alla pena responsabilita’ dell’imputato la piena consapevolezza da parte sua dell’antigiuridicita’ del comportamento tenuto.

Attese queste coordinate, nel caso di specie, tale consapevolezza era dalla Corte territoriale ritenuta mancante a cagione del fatto che il (OMISSIS) aveva addotto, a sua discolpa, lo stato di necessita’ negando la sua responsabilita’ e la difesa dell’imputato aveva chiesto l’assoluzione, cosi’ assumendo una posizione incompatibile con la messa alla prova, dal momento che la sospensione del processo che seguiva a tale ammissione era finalizzata, in ipotesi di favorevole svolgimento della messa alla prova, all’estinzione del reato, non alla pronuncia di assoluzione.

2.1. E’ da aggiungere che la della Corte di appello, una volta esclusa la fondatezza del gravame proposto dal (OMISSIS) in ordine alla mancata sua ammissione alla messa alla prova, ha scrutinato anche le altre doglianze ed ha confermato la sussistenza della prova piena del concorso dell’imputato minorenne nel delitto di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12 oggetto di contestazione, ha escluso l’evenienza per la sua posizione del dedotto stato di necessita’ ed ha negato il riconoscimento all’appellante dell’attenuante, ex articolo 114 cod. pen., della minima partecipazione del medesimo al reato, mentre ha accolto il motivo inerente alla valutazione di prevalenza della circostanza attenuante della minore eta’ e delle attenuanti generiche sulle contestate e ritenute aggravanti, cosi’ procedendo al nuovo computo della pena (ridotta da quella di anni quattro di reclusione ed Euro 2.120.000,00 di multa a quella di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro 1.000,000,00 di multa), senza pero’ accedere all’istanza di concessione della sospensione condizionale.

2.2. Le ulteriori statuizioni ora richiamate e le ragioni poste dalla Corte territoriale a fondamento delle stesse non hanno formato oggetto di doglianza in questa sede, essendosi l’impugnazione concentrata nel censurare la sola reiezione dell’istanza di sospensione del processo con messa alla prova.

3. Affrontando questo unico tema dedotto, occorre premettere il rilievo che, nel corso dello svolgimento del processo a carico di soggetto minorenne, celebrato secondo le norme stabilite innanzi tutto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, il riferimento alla violazione di legge operato dal ricorrente indicando gli articoli 168 e ss. cod. pen., articoli 464-bis e ss. cod. proc. pen. e la L. 28 aprile 2014, n. 67 (normativa che disciplina la messa alla prova riguardante imputati maggiorenni) va inteso comunque in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1998 cit., articoli 28 e 29.

E, sotto il profilo procedimentale, si osserva che correttamente il ricorrente, dopo avere appellato con la decisione di primo grado l’ordinanza che gli aveva negato l’ammissione alla messa alla prova, a fronte del rigetto dell’appello sul punto, ha proposto sulla stessa questione ricorso in questa sede: invero, per la messa alla prova regolata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articoli 28 e 29 e’ pacifica l’interpretazione secondo cui l’ordinanza di cui all’articolo 28 cit., comma 3 che ammette il ricorso immediato per cassazione, e’ quella che dispone la sospensione e da’ inizio alla prova, mentre l’ordinanza reiettiva va impugnata con la sentenza, con gli effetti che seguono (v. per tutte Sez. 4, n. 34169 del 18/06/2002, dep. 2003, Tenerelli, Rv. 225953, secondo cui l’ordinanza con la quale il tribunale per i minorenni rigetta l’istanza di messa alla prova dell’imputato con contestuale sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 28 cit. non e’ impugnabile autonomamente, ma solo congiuntamente alla sentenza che definisce il giudizio).

Tale opzione ordinamentale determina l’esigenza che, pur dovendo di norma l’istituto della messa alla prova afferire al primo grado per assicurare la massima limitazione del contatto tra minore e giustizia penale, sia necessario ammettere la stessa in appello ove, all’esito del controllo della decisione del giudice di primo grado, si accerti che sia stata ingiustificatamente respinta la richiesta di sospensione con messa alla prova (Sez. 2, n. 11683 del 08/03/2016, 1, Rv. 266352; Sez. 2, n. 35937 del 21/05/2009, S.I.; Rv 245592; Sez. 5, n. 21181 del 09/05/2006, Rizzi, Rv 234206).

Non spiega alcun effetto il rilievo che il (OMISSIS), minore di eta’ all’epoca del fatto, successivamente sia divenuta maggiorenne: si e’ gia’ chiarito (Sez. 4, n. 23864 del 04/04/2003, Orlati, Rv. 225587 e si ribadisce che, in tema di processo minorile, e’ applicabile la misura della sospensione del processo e di messa alla prova, prevista dall’articolo 28 cit., anche a coloro i quali, infradiciottenni al momento della commissione del reato, siano diventati maggiorenni alla data del suddetto provvedimento di sospensione.

Inoltre, si rileva che per la stessa messa alla prova di imputato maggiorenne pur a fronte di un dettato normativo obiettivamente meno limpido – l’articolo 464-quater c.p.p., comma 7, – l’interpretazione, secondo le linee alfine prescelte dalla Corte nella sua composizione piu’ autorevole (Sez. U, n. 33216 del 31/03/2016, Rigacci, Rv. 267237), ha affermato che l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non e’ immediatamente impugnabile, ma e’ appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’articolo 586 cod. proc. pen., in quanto l’articolo 464-quater cit. nel prevedere il ricorso per cassazione si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova.

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