Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 novembre 2017, n. 51895.

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Va, infatti, ribadito il principio secondo cui, nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni o le carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite (ex multis, Sez. 2, n. 46991 del 08/11/2013, Zaiti, Rv. 257432; Sez. 5, n. 40327 del 21/09/2011, Tronca, Rv. 251723).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha erroneamente riqualificato il reato di furto nella fattispecie depenalizzata di cui all’articolo 647 c.p., in quanto ha omesso di considerare che il portafogli smarrito, oggetto di sottrazione, conteneva, oltre ad una somma di denaro, anche i documenti personali della persona offesa (patente, carta di credito, codice fiscale), sicche’ conservava i segni esteriori di un legittimo possesso altrui.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Ancona, ai sensi dell’articolo 569 c.p.p., comma 4, per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona per nuovo esame.
Motivazione semplificata.

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