Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 25 ottobre 2017, n. 49054. Il rispetto del principio costituzionale ed europeo del contraddittorio deve essere assicurato anche nel caso in cui il giudice procedente decida di modificare la definizione giuridica del fatto oggetto di giudizio

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1. La (ri-)qualificazione giuridica dei fatti contestati operata dal giudice di primo grado, sostanzialmente condivisa dalla Corte territoriale e oggetto della censura di cui al primo motivo del ricorso, è, in effetti, giuridicamente errata.
Non già, come sostenuto dal ricorrente, perché manchi nel caso di specie la pressione morale esercitata dal pubblico ufficiale nei confronti del privato necessaria per l’integrazione della fattispecie astratta di cui all’art. 319 quater cod. pen.. A tale riguardo, infatti, le sentenze di merito ricostruiscono puntualmente e in modo del tutto congruo i fatti addebitati al ricorrente, nel senso che quest’ultimo, come chiaramente riferito dal ristoratore-persona offesa, nelle innumerevoli occasioni in cui si faceva consegnare pizze e altre vettovaglie da asporto senza pagarne il corrispettivo avvertiva il suo interlocutore che avrebbe potuto in ogni momento, nella sua qualità di carabiniere in servizio presso la Stazione Carabinieri di (…), inviare controlli e verifiche nel locale. Sulla base di tale nettissima ricostruzione dei fatti, operata concordemente da entrambi i giudici di merito, appare pertanto evidente che l’originaria contestazione del delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen. abbia trovato piena conferma in punto di responsabilità del ricorrente.
Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato infatti, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (ex multis, Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta e altro, Rv. 267277; Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, Virgadamo, Rv. 261008; Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera, Rv. 258470).
Nel caso in esame, la ripetuta, esplicita minaccia da parte del ricorrente, nella sua qualità di appuntato scelto in servizio presso la locale Stazione dei Carabinieri, di controlli e verifiche altrimenti non programmati ha all’evidenza ad oggetto un danno “contra ius”, con conseguente grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subirlo o di evitarlo con la reiterata dazione di una utilità indebita, sicché le condotte contestate rientrano a pieno titolo, così come del resto originariamente enunciato nell’imputazione per la quale lo S. è stato tratto a giudizio, nel paradigma legale della concussione quale descritto al citato art. 317 cod. pen. (Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta e altro, cit., ha, in applicazione del principio sopra richiamato, qualificato come concussione la condotta, del tutto analoga a quella in esame, di un militare della Guardia di Finanza, il quale aveva sistematicamente omesso di pagare consumazioni per sé e per familiari ed amici in alcuni esercizi commerciali, rimarcando la propria qualifica professionale ed alludendo a possibili controlli).
Non solo, dunque, il primo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, ma al Collegio è imposto l’obbligo di riqualificare, in conformità al testo normativo ed ai principi di diritto sopra richiamati, il fatto ascritto al ricorrente, già oggetto ad esito del giudizio di primo grado di diversa qualificazione rispetto alla contestazione originaria.

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