Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 8 marzo 2018, n. 10510. L’elemento oggettivo del delitto di violenza privata e’ costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata

L’elemento oggettivo del delitto di violenza privata e’ costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poiche’ in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata; ne deriva che il delitto di cui all’articolo 610 c.p. non e’ configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta.

Sentenza 8 marzo 2018, n. 10510
Data udienza 17 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza emessa il 15/05/2017 dal Tribunale di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Perelli Simone, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 15/05/2017, il Tribunale di Torino accoglieva un appello presentato ex articolo 310 dal P.M. in sede, disponendo nei confronti di vari soggetti – in riforma di un’ordinanza emessa il 22/10/2016 dal Gip dello stesso Tribunale – la misura cautelare dell’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.

I fatti riguardavano episodi occorsi nella notte tra il (OMISSIS), quando nel capoluogo piemontese si era tenuta una manifestazione commemorativa dei tifosi della squadra di calcio della Juventus deceduti presso lo stadio “(OMISSIS)” di Bruxelles in occasione di una finale di Coppa dei Campioni svoltasi anni prima.

Conclusa la cerimonia, gli appartenenti ad alcune organizzazioni di sostenitori della Juventus si erano allontanati a bordo di due autocarri scoperti, cosi’ transitando lungo le vie del centro cittadino; al passaggio dinanzi ad una vineria dove si stavano intrattenendo piu’ avventori, si era tuttavia creato dello scompiglio, con tanto di reciproche contumelie e lancio di bicchieri.

A quel punto, piu’ tifosi erano scesi dai mezzi di cui sopra, aggredendo i frequentatori del locale ed impossessandosi sia di beni dell’esercizio che di oggetti personali dei clienti.

Ne era derivata una comunicazione di notitia criminis per i delitti di rapina, danneggiamento e violenza privata: a quest’ultimo fine, in particolare, assumeva rilievo la condotta (descritta dalle persone offese) secondo cui gli aggressori avevano costretto i titolari del bar e gli avventori a darsi alla fuga od a trovare rifugio all’interno, fra l’altro devastando gli arredi e bloccandone la serranda elettrica. Gli occupanti dell’autocarro da cui erano scesi i facinorosi in questione erano stati identificati grazie a riprese precedenti, effettuate presso reti social e nei luoghi dove si era tenuta la commemorazione anzidetta, nonche’ sulla scorta di ulteriori immagini acquisite da telecamere di sicurezza sul luogo di svolgimento dei fatti: si era cosi’ pervenuti a individuare tredici tifosi juventini, ivi compreso il conducente del veicolo.

In prima battuta, il Gip aveva rigettato la richiesta del Procuratore della Repubblica, volta a sottoporre le persone identificate a misure custodiali, essenzialmente sul presupposto dell’incertezza della loro individuazione. Il Tribunale, passati in rassegna i singoli fotogrammi che si assumevano riprodurre le persone degli indagati, reputava invece che quelle identificazioni fossero adeguate, giacche’ fondate su constatazioni de visu da parte di operatori di p.g. che avevano una pregressa conoscenza dei vari soggetti (in quanto appartenenti al tifo organizzato). Esclusa, comunque la ravvisabilita’ della rapina (ad avviso del collegio, l’intento degli autori fu quello di aggredire e danneggiare, ma non di ricavare utilita’ di sorta dalle condotte de quibus, salvo quella di riaffermare la supremazia del loro gruppo a fronte di “cio’ che evidentemente avevano percepito come un affronto sul quale non era possibile passare”), i giudici torinesi reputavano configurabile il delitto di violenza privata, date le dinamiche di coercizione poste in essere.

In punto di esigenze cautelari ex articolo 274 c.p.p., lettera c), l’ordinanza poneva in risalto le caratteristiche e modalita’ esecutive del reato, tali da far emergere “assenza di freni inibitori e una non comune spregiudicatezza, oltre ad una particolare disinvoltura che e’ conferma del giudizio di stabile dedizione alla commissione di tali tipologie di reati, tanto piu’ in occasione di commemorazioni od altri eventi concernenti un certo club sportivo che, in realta’, vengono ridotti a pretesto o mera occasione per dare sfogo a inusuale e indiscriminata violenza, quindi spazio a istinti predatori e distruttivi. Tali osservazioni, poi, non risultano intaccate dall’eventuale offesa ricevuta dagli indagati da parte degli avventori della vineria, poiche’ in punto a provocazione deve sempre essere riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta, adeguatezza insussistente nel caso di specie, anche perche’ la tifoseria juventina aveva gia’ replicato ai gesti volgari rivolti dalle parti offese”.

2. Avverso il provvedimento richiamato propone ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo violazione di legge e vizi di motivazione sia quanto ai gravi indizi di colpevolezza che alla ritenuta pericolosita’ sociale del proprio assistito.

In ordine al primo aspetto, la difesa dell’indagato contesta il giudizio espresso dal Tribunale circa l’efficacia dimostrativa di una mera ricognizione informale proveniente dalla polizia giudiziaria: non vengono poste in discussione, in particolare, l’affidabilita’ o la capacita’ mnemonica di questo o quel pubblico ufficiale, ma sarebbe stato necessario tener presente che le valutazioni di chi aveva visionato i filmati si erano fondate su immagini di qualita’ scadente, anche alla luce della peculiarita’ dei fotogrammi ritraenti i vari protagonisti della vicenda. Si era ritenuto, infatti, di riconoscere il (OMISSIS) nella persona di un individuo che aveva il volto parzialmente coperto da un cappellino, senza che ne risultassero visibili tutti i tratti somatici.

Quanto alle esigenze cautelari, i rilievi dei giudici di merito sulla volonta’ di prevaricazione manifestata dagli aggressori non potrebbero dirsi calzanti sulla figura del ricorrente, incensurato e senza alcuna pendenza in atto; in ogni caso, la sua presunta tendenza a commettere reati appare sconfessata in radice dalla circostanza che egli, a distanza di oltre un anno dai fatti non risulta essere stato coinvolto in illeciti di sorta, ne’ in episodi aventi connotazioni analoghe. A tale

riguardo, sostiene la difesa che sarebbe stato necessario considerare il decorso del tempo, quale fattore ex se determinante una progressiva attenuazione del pericolo di recidiva specifica.

3. Con atto unico curato nell’interesse di tutti gli assistiti, ricorre altresi’ il difensore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Vincenzo (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’impugnazione riguarda innanzi tutto la lamentata inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 610 c.p., giacche’ gli elementi costitutivi del delitto di violenza privata non sarebbero stati comunque illustrati dal Tribunale, ne’ emergerebbero dalla ricostruzione dei fatti che si legge nel corpo dell’ordinanza impugnata. I giudici di merito, a ben guardare, indugiano sull’esclusione della contestata rapina e sulla descrizione degli estremi da cui inferire, nei fatti concretamente realizzati, il consapevole concorso di piu’ persone: nulla viene chiarito, pero’, al fine di individuare sotto quali profili sarebbe stata lesa la liberta’ morale dei presunti soggetti passivi della condotta. La tesi difensiva, in particolare, e’ che se violenza vi fu, l’obiettivo perseguito da chi vi fece ricorso riguardo’ la menomazione dell’integrita’ fisica delle vittime, non il condizionarne le possibilita’ di autodeterminazione: il darsi alla fuga od il trovare rifugio dentro il locale, in altre parole, furono scelte conseguenti ed ovvie degli aggrediti rispetto ai comportamenti in loro danno, mentre non avvenne alcunche’ che mirasse a costringerli a subire o tollerare qualcosa che non fosse la violenza fisica in se’ o il danneggiamento di beni.

Il vizio appena evidenziato si riflette altresi’, secondo la difesa, sulla stessa tenuta logica della motivazione del provvedimento, ove si consideri che la condotta dei tifosi – comunque conseguente a chiare provocazioni poste in essere dagli avventori della vineria – risulta descritta dai giudici di merito come una “unica azione finalizzata a colpire in modo indiscriminato tutto cio’ che era stato (…) percepito come appartenente ad un contesto antagonista”.

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