Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 18 settembre 2017, n.42536. Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina

 

Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici

SENTENZA 18 settembre 2017, n.42536

 

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 26/5/2016, ha confermato quella del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ivrea, emessa all’ esito di giudizio abbreviato, in data 26/05/2016 in forza della quale Do. Lo. è stato riconosciuto colpevole del reato di rapina aggravata e condannato alla pena di giustizia.

Do. Lo. ricorre per Cassazione, a mezzo difensore, deducendo due motivi:

  • primo motivo: violazione di legge, motivazione omessa o, comunque, illogica e contraddittoria art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto all’ omessa concessione dell’attenuante di cui all’ art. 62 n. 4 cod. pen. non avendo i giudici di merito tenuto conto che il danno subito dalla vittima, pari ad Euro 110,00, doveva ritenersi irrisorio;
  • secondo motivo: violazione di legge e difetto di motivazione relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Il ricorso deve ritenersi inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Va rilevato che del tutto correttamente e con motivazione immune da censure la corte territoriale ha negato la concessione dell’attenuante di cui all’ art. 62 n. 4 cod. pen. dovendosi, in questa sede, dare continuità all’ orientamento secondo cui ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto ‘de quo’, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici (Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015 -dep. 29/12/2015, Sa., Rv. 26568501).

Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo.

Occorre rilevare, infine, che i giudici di merito, nel negare le circostanze attenuanti generiche all’ imputato, hanno correttamente valutato i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., evidenziando la gravità della condotta contestata nonché i precedenti penali specifici dello stesso.

La Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/1072004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691), sicché anche sul punto la sentenza è immune da censure.

Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro millecinquecento.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della Cassa delle Ammende.

Sentenza a motivazione semplificata

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