Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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Di qui, quanto agli ultimi due profili, la carenza della specificita’ necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C).
8.2.4.2. Il metodo seguito per carpire gli indebiti vantaggi de quibus secondo una dinamica comportamentale consolidata, emerso da inequivocabili intercettazioni di conversazioni incensurabilmente interpretate, e’ stato compiutamente descritto anche da plurimi collaboratori di giustizia, incensurabilmente ritenuti sul punto attendibili, intrinsecamente ed estrinsecamente, dalla Corte d’appello.
L’altro canto, le dichiarazioni della p.o. sono state captate nel corso di intercettazioni, ed appaiono sicuramente spontanee, oltre che non mosse da intenti calunniosi; l’invocata passata vicinanza per motivi elettorali ad esponenti non impedisce che esistesse nei confronti del nucleo familiare degli esponenti di vertice del sodalizio il metus valorizzato dalla Corte d’appello.
Ne’ la difesa dell’imputata ha fornito, sia pur attraverso mere allegazioni, alcuna plausibile giustificazione alternativa circa la diffusa pratica di sconti di importo non comune, tanto da risultare all’evidenza antieconomici, che la stessa p.o. riferisce essere praticati per timore (si e’ gia’ ricordato che, in una occasione, ad un commerciante che ne aveva praticato uno in misura inferiore al 50% era stata incendiata la macchina), e che le eseguite e gia’ ricordate intercettazioni evidenziano essere pretesi, non liberamente accordati.
Da ultimo, deve rilevarsi che – in un contesto ambientale come quello in esame – la presenza della p.o. al matrimonio del fratello dell’imputata costituisce elemento quanto meno neutro, privo di rilievo diretto ed immediato, ben potendo anch’esso essere sintematico unicamente di uno stato di soggezione.
8.2.4.3. Per quanto, infine, riguarda le infondate doglianze dell’imputata inerenti alla configurazione, in diritto, dei contestati e ritenuti reati di estorsione, e dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, si rinvia a quanto gia’ osservato in ordine ad analoghe doglianze di coimputate nei §§ 5/6/7.2.4.1.ss. di queste considerazioni in diritto.
9) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 11), 12) e 28), esclusa per i capi 11) e 28) la circostanza aggravante di cui all’articolo 629 c.p., comma 2, in riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, con la contestata recidiva, unificati dal vincolo della continuazione, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 11 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con ruolo verticistico di co-reggente avente il grado di “santista” o superiore, gestore delle estorsioni, di traffici di sostanze stupefacenti, e (soprattutto nei periodi di detenzione dell’altro capo (OMISSIS), detto “(OMISSIS)”, e figlio di (OMISSIS)) di pianificazione delle maggiori azioni omicidiarie di interesse della cosca, procacciatore di armi ed altro, come dettagliatamente descritto nel relativo capo d’imputazione (in (OMISSIS), con condotta perdurante); si contestavano, inoltre, le estorsioni di cui ai residui capi d’imputazione in danno di imprenditori operanti nel territorio.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali, anche in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..
9.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1/2 – inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., articoli 416-bis e 629 c.p., nonche’ motivazione carente ovvero manifestamente illogica ed irragionevole quanto all’affermazione di responsabilita’, asseritamente viziata dalla valorizzazione di dichiarazioni collaborative rese da soggetti portatori di astio nei confronti del ricorrente, e comunque non adeguatamente vagliate, in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza delle SS.UU., oltre che non sorrette dai necessari riscontri individualizzanti; quanto al reato di cui capo 11), le pp.oo., lungi dal riscontrare, avrebbero smentito le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS); quanto al reato di cui al capo 12), sarebbero state valorizzate a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) conversazioni del predetto con i propri familiari, oggetto di intercettazione; quanto al reato di cui al capo 28), sarebbe irrilevante il riscontro costituito dalla mera circostanza che l’imputato sarebbe cliente del negozio della p.o. asseritamente vittima di estorsione.
9.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
9.2.1. Deve premettersi che, come gia’ osservato nel § 5/6/7.2.1. di queste Considerazioni in diritto, i vizi di “motivazione irragionevole” e “falsa applicazione della legge” non sono deducibili in quanto non previsti dal testo vigente dell’articolo 606 c.p.p. come possibili motivi di ricorso.
In parte qua, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, il ricorso, proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, sono inammissibili.
9.2.2. Sono state gia’ illustrate (nel § 1.3. di queste Considerazioni in diritto) anche le ragioni per le quali e’ inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all’articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile.
9.2.3. Cio’ premesso, le doglianze, tutte riguardanti le conclusive affermazioni di responsabilita’ reiterano, inoltre, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto) censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 48 ss. della sentenza impugnata), puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando, tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
a Corte di appello ha, infatti, valutato con scrupolo le dichiarazioni di plurimi collaboratori di giustizia, incensurabilmente ritenendone sotto ogni profilo l’attendibilita’, con valutazione decisivamente corroborata anche da rilevanti esiti di attivita’ d’intercettazione, desunti da conversazioni inequivocabili, incensurabilmente interpretate; ha, inoltre, esaminato la doglianza difensiva riguardante l’esistenza di presunte ragioni di contrasto tra i dichiaranti e l’imputato, motivatamente superandola.
9.2.4. Non decisivo appare, quanto al reato di cui al capo 11), il conclusivo tentativo delle pp.00. di minimizzare la portata della dichiarazioni rese, a fronte del complessivo quadro acquisito ed illustrato incensurabilmente dalla Corte d’appello essenzialmente valorizzando (f. 53 ss. della sentenza impugnata) dichiarazioni di collaboratori di giustizia sulla cui attendibilita’ non sono, peraltro, emersi decisivi dubbi.
9.2.5. Quanto al reato di cui al capo 12), la difesa del ricorrente lamenta che sarebbe stato valorizzato un “auto-riscontro” alle valorizzate dichiarazioni collaborative, desunto dall’intercettazione di una conversazione nella quale lo stesso dichiarante figura come interlocutore, ma la Corte di appello ha bene evidenziato che la conversazione e’ precedente rispetto alla scelta ed alla dichiarazione collaborativa, e coinvolge anche un terzo che riceve l’ordine; in piu’, sono stati acquisiti elementi accessori di riscontro puntualmente indicati; d’altro canto, a ben vedere, sotto il profilo strettamente processuale, l’intercettazione costituisce prova autonoma, che non necessita di riscontri, mentre gli ulteriori elementi valorizzati dalla Corte d’appello, comprese le menzionate dichiarazioni collaborative, assumono rilevanza accessoria.
9.2.6. Quanto al reato di cui al capo 28 (per il quale valgono i rilievi in diritto di cui ai §§ 5/6/7.2.4.1.ss. di queste Considerazioni in diritto), la p.o. ha espressamente dichiarato di essere stato costretto a vendere all’imputato merce sottocosto o con forti sconti, e cio’ assorbe ogni ulteriore doglianza.

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