Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 21) e 32) (esclusa per il reato di cui al capo 21) la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, e per il reato di cui al capo 32) la circostanza aggravante di cui all’articolo 629 c.p., comma 2, in riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1), unificati dal vincolo della continuazione, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 10 di reclusione ed Euro 12.000 di multa, oltre alle statuizioni, 15 accessorie.
All’imputato si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con il compito, tra gli altri, di usuraio/esattore per conto della cosca di appartenenza, nonche’ di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti; si contestava inoltre la commissione di un’usura aggravata e di un’estorsione.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato quanto alle affermazioni di responsabilita’ la sentenza di primo grado, riducendo al pena ad anni 9 e mesi 4 di reclusione ed Euro 10.000 di multa, e condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali soltanto in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I. oltre che della p.c. (OMISSIS).
21.1. Contro la predetta decisione, l’imputato, con l’ausilio di due difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, propone due distinti ricorsi, deducendo:
(ricorso avv. (OMISSIS)):
– articolo 606 c.p.p., lettera B/C/E, per vizi di motivazione, essendosi la Corte d’appello limitata ad un esame formale sommario o superficiale del dato probatorio, con insufficiente disamina logico-giuridica, contraddittorieta’ palese delle varie proposizioni ed inesistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione in ordine alle affermazioni di responsabilita’ ed al calcolo della recidiva (i materiali probatori valorizzati, ed in particolare le acquisite dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non legittimerebbero l’attribuzione del ruolo di associato all’imputato; le dichiarazioni della p.o. del reato di usura non consentirebbero una precisa valutazione delle somme prestate e conseguentemente degli interessi praticati; quanto al reato di cui al capo 32), sarebbero state valorizzate le sole dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), sfornite dei necessari riscontri; non sarebbero adeguatamente spiegate le ragioni che hanno indotto all’aumento di pena per la recidiva)
(ricorso avv. (OMISSIS)):
– violazione dell’articolo 416-bis c.p. e articolo 192 c.p.p., e vizio di motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 1) (in particolare per contraddittorieta’ sul compito dell’imputato nell’ambito dell’enucleato sodalizio, come ricostruito dai collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state valorizzate dalla Corte d’appello ai fini dell’affermazione di responsabilita’;
– violazione dell’articolo 629 c.p. e articolo 192 c.p.p., e vizio di motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 32), in difetto di concrete condotte valorizzabili per configurare la ritenuta estorsione ambientale;
– quanto al reato di cui al capo 21, il ricorrente insiste, infine, nell’eccezione di prescrizione gia’ formulata in appello.
21.2. I ricorsi sono, nel complesso, infondati.
21.2.1. Le doglianze riguardanti le conclusive affermazioni di responsabilita’ reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato le contestate affermazioni di responsabilita’ (in particolare, ff. 84 ss. della sentenza impugnata), valorizzando incensurabilmente plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e di due persone offese, puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
21.2.2. Le doglianze inerenti alla recidiva sono dedotte in carenza di interesse, e comunque manifestamente infondate: in appello non vi e’ stato per la predetta circostanza aggravante alcun aumento (cfr. f. 93 s. della sentenza impugnata), il che rende giocoforza manifestamente infondata la doglianza che non sarebbero adeguatamente spiegate le ragioni che hanno indotto all’aumento di pena per la recidiva.
21.2.3. Per quanto riguarda le infondate doglianze dell’imputato inerenti alla configurazione, in diritto, dei contestati e ritenuti reati di estorsione, e dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, si rinvia a quanto gia’ osservato in ordine ad analoghe doglianze di coimputate nei §§ 5/6/7.2.4.1 ss. di queste Considerazioni in diritto.
21.2.4. E’ manifestamente infondato il motivo riguardante la prescrizione asseritamente gia’ maturata per il reato di cui al capo 21.
Deve premettersi che – diversamente da quanto rileva erroneamente sul punto la Corte d’appello – l’appello non puo’ essere considerato inammissibile, essendo stata ridotta la pena, e non potendo tenersi conto della recidiva, che – come gia’ illustrato – la stessa Corte d’appello non computa all’atto della conclusiva determinazione del trattamento sa nzionatorio.
Nondimeno il reato, aggravato ex articolo 644 c.p., comma 5, nn. 3 e 4, pur se all’epoca di commissione punito con pena massima pari a sei anni di reclusione, non risultava prescritto alla data della sentenza d’appello ne’ secondo la previgente disciplina (che prevede un termine massimo pari a 22 anni e mezzo) ne’ secondo quella attualmente vigente (che prevede un termine massimo pari a 15 anni), con plurime sospensioni, a decorrere dal gennaio 2005, come riferisce la Corte di appello, in difetto di contestazioni difensive, che di tale ultimo profilo si disinteressa.
21.2.4.1. Non puo’ porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale inammissibilita’ del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, piu’ volte chiarito che l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilita’ del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400).
Ne’ puo’ assumere incidenza la ritenuta mera infondatezza delle doglianze riguardanti le sole estorsioni: in proposito, le Sezioni Unite (not. di decisione del 27/05/2016) hanno, infatti, stabilito, con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, che, in presenza di un ricorso per cassazione “cumulativo” riguardante plurimi ed autonomi capi di imputazione, per i quali sia sopravvenuto il decorso dei termini di prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di appello, l’ammissibilita’ del ricorso con riguardo ad uno o piu’ capi, con conseguente estinzione dei reati per prescrizione, non comporta l’estinzione per prescrizione anche degli altri reati di cui ai distinti ed autonomi capi per i quali il ricorso risulti, al contrario, inammissibile. L’operativita’ della prescrizione e’, pertanto, preclusa per i reati in ordine ai quali il ricorso per cassazione risulti inammissibile.
22) (OMISSIS) classe (OMISSIS).
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) classe (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 21) e 24) (esclusa per questi ultimi due la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7), con la contestata recidiva, unificati dal vincolo della continuazione, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 10 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato, detto “Gino”, si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con il compito, tra gli altri, di usuraio/esattore per conto della cosca di appartenenza, attivo nell’esercizio abusivo del credito, e nello spaccio di sostanze stupefacenti; si contestava inoltre la commissione di due usure aggravate.

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