Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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24.1. Contro la predetta decisione, ha proposto ricorso l’imputato con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1 – violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego dell’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8.
24.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
242.1. La Corte di appello (f. 181 della sentenza impugnata) ha osservato, a fondamento della contestata statuizione, che “l’appellante si e’ limitato ad ammettere la propria appartenenza al clan e le responsabilita’ per la tentata estorsione”, ed in particolare che “nell’appello non viene dedotto quale altro specifico e decisivo contributo sarebbe stato fornito alla ricostruzione dei fatti e delle responsabilita’ dei concorrenti (si invoca il fatto in se’ dell’acquisizione del verbale di interrogatorio e delle spontanee dichiarazioni rese, contenenti l’ammissione dei fatti, senza fare riferimento agli specifici contenuti del preteso apporto collaborativo)”.
Trattasi, in buona sostanza, di una incensurabile declaratoria di inammissibilita’ in parte qua dell’appello per difetto della specificita’ necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), che le argomentazioni contenute nell’odierno ricorso non esaminano e non contestano compiutamente, e che risulta comunque agevolmente rilevabile sol che si esamini l’atto di appello: per tale ragione, anche l’odierno ricorso pecca della necessaria specificita’.
24.2.2. Solo per completezza, deve aggiungersi che la Corte di appello risulta, nel merito, essersi correttamente conformata al costante orientamento di questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 36570 del 26/06/2012, Rv. 253393; Sez. 1, sentenza n. 48646 del 19/06/2015, Rv. 265851), per il quale l’applicazione della circostanza attenuante della collaborazione, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 8, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, non puo’ essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilita’ o alla descrizione di circostanze di secondaria impc danza, ma richiede una concreta e fattiva attivita’ di collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti.
25) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato ascrittogli al capo 1), con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), nella qualita’ di uomo di fiducia di (OMISSIS), “u’ (OMISSIS)”, gestore del traffico di sostanze stupefacenti, soprattutto nell’area del litorale lametino compreso tra (OMISSIS), per conto della cosca, legato a (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS) anche per reati di spaccio di stupefacenti nonche’ fornitore di autoveicoli in occas one di azioni omicidiarie per conto della cosca, e dedito anche al reato di estorsione.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali ancne in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..
25.1. Contro la predetta decisione, ha proposto ricorso l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1) nullita’ della sentenza per violazione di leggi e vizi di motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’: la Corte di appello non avrebbe esaminato specificamente i motivi di appello, limitandosi a ribadire pedissequamente o quasi quanto affermato dal primo giudice, ignorando le censure mosse in particolare con riguardo alle dichiarazioni rese dalla collaboratrice di giustizia (OMISSIS) (moglie di (OMISSIS)) quarto ad una richiesta di denaro fattale dalla madre di (OMISSIS), rispettivamente moglie e ficlio dell’imputato, all’asserito coinvolgimento dell’imputato nella gestione dell'(OMISSIS), all’asseritamente documentato intento piu’ volte manifestato da (OMISSIS) di uccidere il (OMISSIS), alle discordanze emergenti dal narrato dei pentiti che chiamano in causa il (OMISSIS), ai documentati rapporti del (OMISSIS) con altri gruppi criminali.
In data 3.4.2017 e’ pervenuta memoria difensiva asseritamente recante motivi nuovi ma in realta’ meramente reiterativa della gia’ dedotte doglianze.
25.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
25.2.1. Le doglianze, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto),censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 145 ss. della sentenza impugnata), valorizzando plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e cospicui esiti di intercettazione di conversazioni, incensurabilmente interpretate, oltre che puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando, tutte le censure specifiche costituenti oggetto dell’atto di appello (in particolare, cfr. f. 153 della sentenza impugnata), non anche naturalmente – quelle tardivamente dedotte solo in sede di legittimita’.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
25.2.2. La Corte di appello, in particolare, ha valorizzato plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, incensurabilmente ritenute attendibili, precise e concordi nel riferire che il (OMISSIS) faceva parte del sodalizio enucleato (f. 147 ss. della sentenza impugnata), occupandosi della gestione di traffici di droghe e di estorsioni, ma anche della preparazione di azioni omicide, oltre che corroborate da conversazioni intercettate, dalle quali e’, in particolare, emerso che il (OMISSIS) ed i suoi familiari riscuotevano somme presso i commercianti e godevano del sostengo economico del sodalizio.

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