Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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– la Corte di appello non ha valorizzato soltanto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma in primis gli esiti delle eseguite intercettazioni di conversazioni, incensurabilmente interpretate (cfr. § 4.2.1.2. di queste Considerazioni in diritto); e non ha in alcun modo valorizzato probatoriamente il giudicato cautelare, essendosi unicamente limitata a ricordare (ad estrema, pur se non necessaria, conferma della correttezza delle proprie conclusioni) che l’impianto accusatorio era stato confermato gia’ nell’ambito del subprocedimento cautelare;
– per (OMISSIS), il ruolo di nuncia e di addetta alla gestione delle finanze nell’ambito del sodalizio (che secondo la difesa emergerebbe soltanto dopo l’arresto del marito) e’ comprovato da numerose intercettazioni di colloqui con il marito (in particolare, cfr. quelli riportati a ff. 678 ss. della sentenza di primo grado), con i cui esiti la difesa mostra di non confrontarsi congruamente: da tali colloqui emerge il coinvolgimento della donna in plurime attivita’, anche illecite, d’intesa con il marito detenuto; d’altro canto, molti collaboratori di giustizia hanno ricordato i contributi forniti dalla donna alle attivita’ del sodalizio; quanto alle doglianze riguardanti le pure valorizzate dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in presenza di plurimi ulteriori elementi di accusa, sarebbe stato necessario illustrare convincentemente le ragioni della in ipotesi decisiva incidenza contraria dei presunti vizi lamentati (c.d. prova di resistenza: cfr. § 4.2.1.3. di queste Considerazioni in diritto): ma su cio’ l’odierno ricorso e’ del tutto silente;
– per (OMISSIS), la Corte di appello ha essenzialmente valorizzato in primis le dichiarazioni rese del fratello, oltre a quelle rese anche dagli altri collaboratori di giustizia; il coinvolgimento della donna nelle attivita’ del sodalizio enucleato e’ emerso anche dai colloqui intercettati il 12.1.2010 ed il 28.11.2010 tra (OMISSIS) ed il figlio (OMISSIS), dai quali si e’ incensurabilmente evinto che la donna provvedeva alle esigenze materiali anche spicciole degli affiliati; ulteriori elementi atti a corroborare la conclusiva affermazione di responsabilita’ sono stati motivatamente tratti dai colloqui intercettati il 1.10.2011 ed il 30.11.2010; ad essi vanno, infine, aggiunti le incisive considerazioni svolte dalla Corte di appello e gli elementi di grande rilievo riepilogati a f. 136 ss. della sentenza impugnata, cui nel complesso si rinvia;
– per (OMISSIS) la Corte di appello ha essenzialmente valorizzato ancora una volta plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed esiti di numerose conversazioni oggetto di intercettazione, incensurabilmente ricostruite nel complesso (f. 138 ss. della sentenza impugnata), oltre alla videoripresa che documenta la ricezione di un “pizzino” consegnatole in carcere dal marito (episodio ancora una volta incensurabilmente riepilogato, illustrando quanto documentato in atti, dalla Corte di appello a f. 138 della sentenza impugnata, cui si rinvia), dettagliatamente esaminando, ed incensurabilmente superando, le relative ed insistite censure difensive. Per quanto riguarda la consegna del pizzino da parte di (OMISSIS) alla moglie (OMISSIS), la Corte di appello (f. 16 della sentenza impugnata) ha anche osservato che la consulenza prodotta dalla difesa del (OMISSIS) a confutazione di quanto rilevato dalla PG operante fonda su “immagini parziali, che non rappresentano l’intera sequenza, come si evince dall’orario in minuti e secondi impresso sulle immagini, non relativo a tutti gli istanti in cui la mano e’ stata ripresa, e che proprio per questo non danno la rappresentazione completa del gesto”, concludendo incensurabilmente nel senso che “non vi e’ quindi motivo di disattendere la ricostruzione della PG, che documenta il passaggio di mano del pizzino. Sebbene non si conosca il contenuto di quel messaggio, l’episodio assume obbiettiva valenza indiziaria, riscontrando quanto riferito dai collaboratori sul fatto che nella cosca si usasse il sistema dei pizzini per comunicare con l’esterno (come confermano le stesse dichiarazioni di (OMISSIS)) e confermano che il canale di comunicazione di (OMISSIS) verso l’esterno era rappresentato dai colloqui con i familiari”.
Per tutte, incensurabili appaiono le conclusioni cui la Corte di appello perviene (f. 142 della sentenza impugnata).
5/6/7.2.3.1. Deve aggiungersi che:
– costituisce frutto di mera ed indimostrata affermazione difensiva, contraddetta dalle risultanze acquisite e valorizzate dalla Corte di appello, che (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente moglie e figlia di (OMISSIS)) non abbiano mai trasmesso messaggi del congiunto;
– l’affermazione della difesa di (OMISSIS), secondo la quale (OMISSIS) avrebbe escluso che le donne potessero partecipare all’associazione, travisa quanto affermato dal predetto dichiarante, che aveva fatto riferimento unicamente all’assoggettamento all’affiliazione rituale – asseritamente non prevista per le donne -, non certo alla possibilita’ che una donna facesse parte del sodalizio, la qual cosa va, peraltro, valutata in considerazione delle condotte in concreto accertate, non in applicazione di astratti assiomi. D’altro canto, questa Corte, con orientamento che il collegio condivide e ribadisce (Sez. 5, sentenza n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, Rv. 269207), ha gia’ chiarito che, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso. In applicazione del principio, si e’ ritenuto che detto ruolo potesse evincersi, sulla base di una valutazione complessiva delle risultanze fattuali, in relazione ad un indagato che, pur non raggiunto da indizi circa la sottoposizione a rituale affiliazione e la commissione di specifici reati-fine, godeva della possibilita’ di confrontarsi direttamente con soggetti di comprovata “mafiosita’”, frequentava il “luogo di appuntamenti” dei sodali ed intratteneva con i medesimi movimentazioni di denaro;
– la difesa di (OMISSIS) deduce che diverso, rispetto a quello avvalorato dalla semenza impugnata, sarebbe il significato del colloquio intervenuto il 22.9.2008 tra l’imputata ed il marito, peraltro limitandosi a proporne una mera lettura alternativa, che trascura di considerare i profili valorizzati dalla Corte d’appello, senza peraltro documentarne, come in questa sede necessario, l’eventuale travisamento;
– la difesa di (OMISSIS) a f. 19 s. del ricorso, per confutare l’assunto della partecipazione dell’imputata al sodalizio de quo, asserisce che sarebbe possibile una lettura alternativa degli elementi valorizzati a fondamento dell’affermazione di responsabilita’, con cio’ ammettendo in re ipsa in rito – in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. rilievi di cui al § 1.4.2. di queste Considerazioni in diritto) – le ragioni dell’inammissibilita’ delle proprie deduzioni.
15/6/7.2.4. Per quanto invece riguarda l’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 28, la Corte di appello ha incensurabilmente valorizzato le inequivocabili dichiarazioni della p.o. (secondo al quale gli sconti erano concessi per paura, e se non concessi in misura adeguata, esponevano i commercianti a ritorsioni, come nell’episodio dell’incendio dell’autovettura del commerciante che a (OMISSIS) aveva praticato solo uno sconto del 30%), oltre alla minaccia implicita promanante dal sodalizio ex articolo 416-bis c.p., che non necessita di una condotta ulteriore.
Quanto al fatto che gli sconti – praticati in misura esulante dalle normali prassi di commercio – fossero dovuti, e quindi estorti, si rinvia a quanto osservato dalla sentenza impugnata a f. 133, in particolare con riferimento a quanto emergente dall’intercettazione di una conversazione tra (OMISSIS) e il marito (OMISSIS) (in relazione ad un acquisto in ordine al quale non era stato praticato il dovuto “sconto”, la (OMISSIS) espressamente afferma che della cosa avrebbe dovuto occuparsi lei personalmente; altre conversazioni di notevole rilievo sono ricordate e riportate dalla Corte di appello nella medesima sede, cui si rinvia).
15/6/7.2.4.1. Sempre con riguardo al reato di cui al capo 28, le plurime doglianze delle imputate (in parte contenute anche nel 7 motivo) quanto alla configurazione, in diritto, del reato di estorsione, sono infondate.
Questa Corte, con orientamenti pacifici, che il collegio condivide e ribadisce, e’ ferma nel ritenere che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, puo’ essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che essa risulti in concreto idonea ad incutere timore ed a coartare la volonta’ del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalita’ dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera (Sez. 2, sentenza n. 19724 del 20/05/2010, Rv. 247117).
Si ritiene configurabile come c.d. “estorsione ambientale” quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che e’ immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volonta’ della vittima (Sez. 2, sentenza n. 53652 del 10/12/2014, Rv. 261632).
Si e’, inoltre, chiarito (Sez. 6, sentenza n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258168; Sez. 5, sentenza n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Rv. 269364) che nella c.d. “estorsione contrattuale” – che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti – l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno e’ implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute piu’ confacenti ed opportune. In applicazione del principio, e’ stata annullata con rinvio la sentenza impugnata, che aveva qualificato come minaccia aggravata invece che come tentata estorsione la richiesta di assunzione di un dipendente attuata con modalita’ violente e minacciose di tipo mafioso.
D’altro canto, puo’ ritenersi pacifico che, nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso (L. n. 203 del 1991, articolo 7) l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente” cioe’ privo di richiesta, in tutti i casi nei quali l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (cfr. per tutte Sez. 5, sentenza n. 38964 del 21/06/2013, Rv. 257760, che fa riferimento a tre differenti forme di messaggio intimidatorio: quello esplicito e mirato, quello a forma larvata o implicita, quello con silente richiesta). Il principio e’ stato, tra l’altro, affermato in riferimento a fattispecie riguardanti:
– la richiesta di versamento di canoni per l’utilizzo a fini di riprese cinematografiche di una villa sequestrata ad un esponente di un sodalizio criminale, avanzata non dall’amministratore giudiziario, ma dal proprietario dell’immobile, la cui appartenenza ad un clan camorristico era nota alle vittime (Sez. 2, sentenza n. 20187 del 03/02/2015, Rv, 263570);
– la dazione effettuata senza corrispettivo da parte di un commerciante, consapevole dello spessore criminale degli “acquirenti”, di alcuni “cestini natalizi” destinati ai difensori dei componenti di un sodalizio in occasione delle festivita’ di fine anno (Sez. 5, sentenza n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, Rv. 263701).
5/6/7.2.4.2. Cio’ premesso, e con specifico riferimento al caso di specie, la configurabilita’ della ritenuta estorsione appare evidente, essendosi incensurabilmente accertato che la concessione degli sconti de quibus era coartata (e la mancata concessione in misura ritenuta adeguata dai componenti del sodalizio, esponeva i commercianti a ritorsioni, come nell’episodio dell’incendio dell’autovettura del commerciante che a (OMISSIS) aveva praticato solo uno sconto del 30%), pur in difetto di richieste e minacce esplicite, cio’ anche in forza della minaccia implicita promanante dal sodalizio cui notoriamente appartenevano gli imputati, che incuteva timore coartando la volonta’ dei soggetti passivi, fino ad integrare una vera e propria condizione di c.d. “estorsione ambientale”, perpetrata da soggetti che in loco era notorio fossero inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiavano in quel territorio, e che era immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale del sodalizio di comune appartenenza dei soggetti di volta in volta agenti.
Quella perpetrata era una c.d. “estorsione contrattuale”, poiche’ ai soggetti passivi era imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con le imputate, essendo il commerciante contraente-vittima costretto all’instaurazione del rapporto (con pratica di massicci sconti, fuori da ogni logica di convenienza commerciale, per la verita’ neanche meramente allegata dalle difese) in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute piu’ confacenti ed opportune.
15/6/7.2.4.3. L’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente”, cioe’ privo di richiesta, integra, infine, la circostanza aggravante del c.d. “metodo mafioso”, avendo il sodalizio di riferimento raggiunto in loco una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia.
5/6/7.2.5. Inammissibile perche’ meramente reiterativo, e comunque manifestamente infondato, e’ il quinto motivo (per (OMISSIS), nel cui interesse a f. 18 s. del ricorso si contesta la confisca disposta dal “Giudice di prime cure”, in difetto della necessaria sproporzione tra il valore del patrimonio riconducibile alla donna ed i redditi dichiarati dalla medesima), a fronte degli incensurabili rilievi posti dalla Corte d’appello a fondamento della contestata statuizione (f. 143 s. della sentenza impugnata), con i quali la difesa dell’imputata non si confronta adeguatamente, in concreto limitandosi a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.

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