L’articolo 26-bis c.p.c., comma 1, quando allude alla disciplina di leggi speciali come idonea a stabilire il foro dell’esecuzione forzata per espropriazione di crediti in danno delle pubbliche amministrazioni di cui dell’articolo 413 c.p.c., comma 5, attribuisce alla regola desumibile dalla legge speciale il valore di regola esclusiva rispetto a quella fissata dallo stesso comma 1 con riferimento al luogo in cui il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.

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4. Le argomentazioni che conducono a questa conclusione sono gia’ state espresse da questo Ufficio in altro, analogo, regolamento di competenza, anch’esso proposto dallo stesso odierno ricorrente (R.G. n. 12446/2016), in questi testuali termini per quanto concerne la questione di diritto oggi posta:
“(Omissis)… non puo’ invece condividersi la seconda premessa del ragionamento dell’ordinanza, ossia che, stante la natura della pretesa come sopra indicata (in negativo: per cio’ che non e’), dovrebbe ritenersi la competenza del Tribunale del domicilio del debitore, secondo la regola, che e’ posta dell’articolo 26-bis c.p.c., comma 2. Tale conclusione, infatti, muove da una interpretazione dello stesso articolo 26-bis c.p.c., comma 1 (che e’ norma di eccezione, rispetto a una regola generale posta invece nel secondo comma) secondo la quale detta disposizione di eccezione riguarderebbe soltanto il caso in cui il credito azionato sia costituito da una pretesa patrimoniale derivante da rapporto di lavoro/impiego alle dipendenze di una pubblica amministrazione, e cio’ in virtu’ del richiamo che vi si legge alla ipotesi che il debitore sia, “una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413 c.p.c., comma 5”, ovverosia dalla disposizione che e’ collocata nel titolo 6 del codice, concernente le controversie in materia di lavoro, e che appunto definisce la competenza territoriale per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (individuandola nel giudice nella cui circoscrizione ricade l’ufficio al quale il dipendente e’ addetto al momento della cessazione del rapporto di impiego). Solo in relazione a tali crediti dunque (….) opererebbe la competenza del luogo di riferimento del debitor debitoris, ossia del luogo di residenza, domicilio o dimora (per le persone fisiche) o della sede (per enti e persone giuridiche) del terzo chiamato a rendere la dichiarazione. Fuori da tale, delimitato, caso – credito da lavoro/impiego – opererebbe la competenza generale di cui al comma 2. Questa interpretazione non e’ condivisibile. In primo luogo, in quanto, nell’operare il richiamo all’articolo 413, comma 5, dell’articolo 26-bis, comma 1, si limita ad indicare letteralmente la qualita’ del debitore, cioe’ una “pubblica amministrazione”, senza implicare alcunche’ in ordine alla natura della pretesa ereditaria azionata e tanto meno al suo essere correlata a un credito “di lavoro”. Ne’ potrebbe ritenersi, secondo un orientamento di dottrina, che l’interpretazione delimitativa in discorso sia giustificata in se stessa dalla scelta legislativa di operare un rinvio a una disposizione processuale collocata in ambito “lavoristico”: l’argomento appare, oltre che antiletterale, complessivamente debole, in quanto il richiamo che e’ stato fatto all’articolo 413, comma 5, si spiega per la ragione della applicazione, attraverso il rimando a detta norma, alla nozione – normativa e giurisprudenziale – di “pubblica amministrazione”, una nozione ampia e comprensiva, quindi, e che non sarebbe stato possibile richiamare altrimenti, ad esempio con rimando alla disposizione per cosi’ dire piu’ prossima come l’articolo 25 c.p.c., che concerne, piu’ riduttivamente, le amministrazioni “dello Stato”. In secondo luogo, perche’ l’interpretazione che si analizza conduce, con evidenza, a risultati distonici rispetto a quello che e’ il dichiarato obiettivo della norma introdotta dal legislatore del 2014: quello di evitare “che i tribunali di alcune grandi citta’, tipicamente sedi di pubbliche amministrazioni, siano gravati da un eccessivo numero di espropriazioni presso terzi” (come si esprime la relazione alla legge di conversione del Decreto Legge n. 132 del 2014), obiettivo che risulterebbe frustrato da una lettura limitante l’ambito operativo della noma alle espropriazioni afferenti soltanto a rapporti di lavoro con la P.A.. In terzo luogo, perche’ l’anzidetta interpretazione limitativa porrebbe profili di dubbia ragionevolezza di una disposizione che, oltre a non conseguire il proprio scopo (e la distorsione tra norma e obiettivo e’ un canone del vaglio di razionalita’ della legge, in sede di giudizio costituzionale), non renderebbe ragione della differenziazione per cosi’ dire “interna” alle procedure esecutive presso terzi, non ravvisandosi una diversa – e tanto meno costituzionalmente imposta – ragione per diversificare la dinamica processuale della competenza tra crediti lavorativi e crediti diversi, nella prospettiva che ha animato la riforma del 2014 ossia quella di “avvicinamento” del foro al luogo di insediamento (residenza, domicilio, dimora, sede) del terzo, ancorche’ non parte del giudizio e non piu’ chiamato a rendere materialmente la dichiarazione. Si deve pertanto ritenere, in adesione alla dottrina maggioritaria e in linea con taluni arresti giurisprudenziali finora emersi, che, con il richiamo all’articolo 413 c.p.c., la norma dell’articolo 26-bis c.p.c., non si riferisca a una tipologia di credito ma abbia inteso semplicemente fare richiamo alla qualita’ soggettiva del debitore esecutato; dovendosi poi, per definire l’area delle “pubbliche amministrazioni”, svolgere un riferimento dinamico e non fisso alla normativa che, nel tempo (a partire dal Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 1, per passare al Decreto Legislativo n. 40 del 1998, articolo 40 e pervenite al vigente del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1), ha indicato il perimetro di detta nozione qualificatoria. Sorge tuttavia, su questa premessa, un diverso profilo problematico. Le pubbliche amministrazioni, come nella specie l’Azienda sanitaria, si avvalgono di istituti bancari quali soggetti-terzi gestori di somme di pertinenza degli enti pubblici. La norma che si e’ detta essere applicabile, dell’articolo 26-bis c.p.c., comma 1, individua quanto al terzo non persona fisica, la “sede”. Di conseguenza, giudice competente in materia di espropriazione di crediti presso terzi dovrebbe essere il Tribunale del luogo in cui l’istituto bancario ha la sede legale; nella specie ( (OMISSIS)), il Tribunale di Roma. Una siffatta conseguenza, estensibile in pratica a tutti i casi in cui il debitor debitoris sia rappresentato da un istituto bancario, finirebbe, per altra via, per contraddire esattamente la medesima finalita’ di “decongestionamento” processuale sopra accennata e che si e’ detto essere il principale obiettivo pratico della riforma: essendo le sedi legali della maggior parte degli istituti bancari accentrate presso centri urbani di rilievo, si finirebbe per convogliare tutte le espropriazioni presso terzi presso i Tribunali di detti centri. Cosi’ come si e’ prospettato da parte di questo Ufficio, in un caso analogo, in giudizio per regolamento non ancora definito da codesta Corte di cassazione (R.G. n. 6931/2016), in cui si e’ ritenuto di individuare il giudice competente nella sede “centrale” dell’istituto bancario – in quel caso, la (OMISSIS). Una simile conseguenza non potrebbe, d’altra parte, condurre per ragioni esclusivamente empiriche a nuovamente rimeditare la conclusione di carattere interpretativo circa il significato del richiamo all’articolo 413 da parte dell’articolo 26-bis che sopra si e’ detta, giacche’ quella interpretazione e’ imperniata su ragioni testuali non superabili. Soccorre, allora, un diverso, duplice, ordine di considerazioni. Secondo una possibile ancorche’ non unanime ricostruzione proposta in dottrina, infatti, il riferimento alla “sede” del terzo non preclude che sia fatto riferimento anche alla previsione dell’articolo 19 c.p.c., e cio’ secondo una linea di continuita’ con l’interpretazione e applicazione formatasi nella vigenza del testo anteriore dell’articolo 26 c.p.c., il quale attribuiva in ogni caso la competenza territoriale al “giudice del luogo di residenza del terzo”, con una previsione che, ieri regola, oggi e’ diventata eccezione, ma che non esclude appunto di potere proseguire nel ritenere che la disciplina sulla competenza in materia di espropriazione presso terzi possa essere integrata dall’articolo 19 e dunque dalla previsione che, oltre alla sede, valga anche (“altresi'”) ed in via alternativa il “luogo in cui la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda”. Questa possibilita’ interpretativa non e’ esclusa dalla norma, non ravvisandosi alcuna incompatibilita’ ne’ testuale ne’ logica tra il riferimento alla sede ex articolo 26-bis e la ulteriore possibilita’ aggiuntiva/alternativa ex articolo 19, tanto piu’ in considerazione della sostanziale invarianza della regolazione, avuto riguardo alla formulazione del previgente articolo 26, il quale aveva testualmente riguardo alla “residenza”, formula che pacificamente nella giurisprudenza era stata intesa, quanto alle persone giuridiche, come equivalente di “sede”. In questa linea, in conclusione, varrebbe il riferimento all’indirizzo della Corte regolatrice che, relativamente alla individuazione del giudice competente in base al luogo di residenza rectius sede del debitor debitoris che sia persona giuridica, assegna al creditore procedente la facolta’ di ricorrere al giudice della sede legale o, in alternativa, a quello del luogo in cui il terzo ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio (Cass., n. 11758/2002); e pertanto, qualora il debitore sia un ente pubblico che si avvale del servizio di tesoreria gestito da un istituto bancario, del luogo in cui opera la filiale, la succursale o l’agenzia che ha in carico il rapporto oggetto della dichiarazione da parte del terzo (Cass., n. 8112/2006).
Sotto altro e piu’ specifico profilo, poi, soccorre la disciplina che regola altrove la materia dei pignoramenti a carico delle pubbliche amministrazioni; disciplina la cui incidenza e’ espressamente autorizzata dalla clausola contenuta dell’articolo 26-bis, comma 1, che fa comunque salvo il disposto delle leggi speciali. La L. 29 ottobre 1984, n. 720, istitutiva del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici, dispone, nel vigente articolo 1-bis, che i pignoramenti a carico di detti enti “di cui dell’articolo 1, comma 1” (ossia di quelli elencati nella Tabella A allegata alla legge, tra cui figurano le Aziende sanitarie, da cui la sicura applicazione al caso di specie), si eseguono con atto notificato all’azienda o istituto cassiere o tesoriere dell’ente medesimo, il quale (comma 2) “assume la veste del terzo ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 547 c.p.c.”. Sulla base di questa regolazione, la possibilita’ che si e’ sopra detto essere alternativa risulta in realta’ essere la principale – in via esclusiva -, impegnando il creditore procedente a rivolgersi al giudice del luogo in cui opera la citata filiale o succursale o agenzia, perche’ e’ solo questa che, avendo in gestione il rapporto, e’ abilitata a compiere le operazioni che possono vincolate il relativo ammontare e dunque ad assumere la veste di terzo e a rendere la dichiarazione prescritta. Attraverso tale percorso interpretativo, del resto, viene ad eliminarsi in radice quella alternativita’ che si e’ piu’ sopra accennata ma che pare in definitiva di dubbia razionalita’, dato che, a volerne espandere appieno la portata, essa potrebbe portare alla possibilita’ che uno stesso credito sia pignorato davanti a giudici diversi, con pluralita’ di dichiarazioni e con possibilita’ di conflitti tra creditori in diversi uffici giudiziari per uno stesso credito, possibilita’ che invece viene a essere impedita se si accede alla lettura che qui si propone. Una lettura, in conclusione, che mira sul piano sistematico anche all’obiettivo di avvicinare lo svolgimento del processo esecutivo al luogo di svolgimento del rapporto tra debitore e terzo, in sintonia di principio con l’idea che tale relazione di prossimita’ esprima una esigenza anche di ordine costituzionale sul piano della effettivita’ e della ragionevolezza della legge processuale (e v., per indicazioni in questo senso, la declaratoria di incostituzionalita’ di Corte Cost. n. 231/1994, in tema di pignoramenti presso terzi a carico dei dipendenti dello Stato). In forza di quanto detto, l’affermazione di principio che si chiede alla Corte di volere affermare e’ nel senso che: (a) la speciale competenza in tema di espropriazione di crediti posta dall’articolo 26-bis c.p.c., comma 1, riguarda tutti i crediti verso le pubbliche amministrazioni, oggi individuate, secondo il rinvio dinamico dell’articolo 413 c.p.c., dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, comma 1; (b) ai fini dell’applicazione dell’articolo 26-bis c.p.c., comma 1, in caso di pubbliche amministrazioni che si avvalgono del servizio di tesoreria, deve aversi riguardo al luogo in cui opera la filiale, la succursale o l’agenzia che ha in carico il rapporto che forma oggetto della dichiarazione da parte del terzo”.
5. Le esposte ragioni, che debbono qui essere ribadite, conducono quindi a escludere il presupposto dell’alternativita’ prospettata dal ricorrente quanto a foro competente, e a ravvisare invece la competenza esclusiva del giudice del luogo in cui il rapporto e’ in carico, presso il servizio di tesoreria ex L. n. 720 del 1984; in linea, del resto, con l’enunciato di Cass. n. 15676/2014, citata nel contesto del provvedimento impugnato”.
3. Il Collegio condivide le conclusioni del Pubblico Ministero, ma rilevato che questa Corte non si e’ ancora pronunciata sull’esegesi dell’articolo 26-bis c.p.c. (atteso che il ricorso cui ha fatto riferimento il P.M., quello iscritto al n.r.n. 12446 del 2016, e’ stato deciso da Cass. (ord.) n. 24047 del 2017 con una pronuncia di inammissibilita’, perche’ proposto direttamente contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione dichiarativo della incompetenza, mentre parimenti non ha preso posizione sulla questione l’ordinanza n. 21186 del 2017, resa proprio fra le odierne parti, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto inammissibilmente direttamente contro il provvedimento emesso a chiusura della fase sommaria di un’opposizione ai sensi dell’articolo 617 c.p.c.) – ritiene che il loro approdo debba giustificarsi argomentando in modo diverso sulla seconda questione da esse esaminata.
Il legislatore, con la nuova norma dell’articolo 26-bis c.p.c., introdotta dal Decreto Legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014, ha inteso dettare per la competenza sull’esecuzione forzata di crediti presso terzi una disposizione ad hoc, mentre prima la disciplina risultava inserita nell’articolo 26 c.p.c., il cui comma 2, ancorava la competenza al luogo di “residenza” del terzo debitore.
La nuova disposizione, che e’ intestata “foro relativo all’espropriazione forzata crediti” (formulazione che cosi’ esclude l’espropriazione “di cose del debitore che sono in possesso di terzi”, che resta cosi’, come, del resto, vigente il testo precedente dell’articolo 26 non disciplinata espressamente e deve ricondursi, come si era sostenuto alla stregua di esso, dell’articolo 26, comma 1), ha una struttura singolare, anche se la sua spiegazione risiede nelle ragioni che stanno all’origine della sua adozione e che sono state indicate nelle conclusioni del Pubblico Ministero.
3.1. La singolarita’ e’ data dal fatto che la nuova norma detta la regola generale, come dovrebbe in ragione della sua rubrica, nel suo comma 2 e rovescia quella precedente, ancorando la competenza al luogo di residenza, di domicilio, di dimora o di sede del debitore esecutato e non piu’ al “luogo dove risiede il terzo debitore” (come disponeva il comma 2 del vecchio testo dell’articolo 26).
Com’e’ noto, la nuova regola trova la sua spiegazione nella disciplina delle modalita’ del pignoramento presso terzi, che ormai non esige che all’udienza compaia il debitor debitoris, potendo egli manifestare il suo atteggiamento con una raccomandata (articolo 547 c.p.c.) e dunque senza doversi “scomodarsi” con una comparizione.
3.2. Ora, nella nuova norma il comma 1 risulta, invece, dettare un’eccezione alla regola generale, in realta’ fissata come s’e’ detto, nel comma 2 e tale eccezione e’ espressa con l’affermazione che “quando il debitore e’ una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, comma 5, per l’espropriazione forzata di crediti e’ competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”.
L’eccezione alla (nuova) regola del foro di residenza del debitore esecutato, a ben vedere, comprende due distinte ipotesi.
La prima, a carattere generale, e’ che debitore sia “una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, comma 5”.
La seconda e’ che debitrice sia sempre una di dette amministrazioni, ma sussista una legge speciale che evidentemente abbia l’efficacia, in via espressa o in via di esegesi e, dunque, per implicazione (eventualmente desumibile anche per coerenziare il disposto stesso dell’articolo 26-bis: lo si avverte fin d’ora), di individuare essa la regola di competenza sull’esecuzione.
Ove tale regola si rinvenga, per un verso non opera la regola speciale espressa in termini generali dallo stesso comma 1 e, per altro verso si deve considerare che e’ preclusa parimenti l’operativita’ della regola del secondo comma.
Il significato dell’articolo 26-bis, comma 1, e’, dunque, in ogni caso quello di dettare una lex specialis per il caso che debitore esecutato sia una delle pubbliche amministrazioni ipoteticamente identificate dell’articolo 413, comma 5.
Tale lex specialis, pero’, si scinde in due diverse ipotesi, l’una regolata espressamente dal comma 1 e che ancora la competenza al “luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”, l’altra individuata da eventuali leggi speciali e che individua la competenza in base a quanto in ipotesi preveda una legge speciale.
4. Come rilevato dal Pubblico Ministero e discusso dal ricorrente nel solco, del resto, di quanto emerso nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale di merito, la nuova norma impone in primo luogo di chiarire il senso del rinvio dell’articolo 413, comma 5 quindi comma, ed in proposito il Collegio, fermo che il rinvio non e’ certo un esempio di chiarezza, condivide pienamente la soluzione prospettata dal Pubblico Ministero.
Deve, dunque, affermarsi che dell’articolo 26-bis c.p.c., comma 1, il rinvio dell’articolo 413 c.p.c., comma 5, non concerna l’oggetto del credito per cui le pubbliche amministrazioni sono debitrici, bensi’ solo la qualita’ di tali pubbliche amministrazioni siccome implicitamente supposta dal detto comma 5 con il riferimento “ai rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni” e, dunque, alla norma che a quegli effetti identifica tali pubbliche amministrazioni, che e’ il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, comma 2,.
E’ sufficiente osservare che dell’articolo 26-bis, comma 1, non allude alla posizione debitoria delle amministrazioni pubbliche di cui dell’articolo 413, comma 5, ma al “quando” una delle dette amministrazioni e’ “debitore”, sicche’ il senso della disposizione e, dunque, il suo oggetto di disciplina e’ la generica posizione di debitore rivestita da una delle dette amministrazioni e non la ragione creditoria.
E’ vero che dell’articolo 413, comma 5, non individua direttamente una categoria di amministrazioni pubbliche, ma, attraverso il coordinamento dell’articolo 409 c.p.c., n. 5, con il citato del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, comma 2 (che e’ all’uopo la norma di approdo del processo normativo iniziato con il Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 1), non e’ dubitabile che le pubbliche amministrazioni cui allude l’articolo 413, comma 5, sebbene facendo riferimento alle controversie relative ai rapporti di lavoro con esse, siano proprio quelle individuate dall’articolo 1, comma 2.

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