Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 9 marzo 2018, n. 10765. In tema di sequestro e confisca L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies, l’interessato può dimostrare la proporzione tra redditi impiegati da un lato ed acquisiti e/o investimenti dall’altro mediante la disponibilita’ di redditi non regolarmente dichiarati

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 9 marzo 2018, n. 10765.

In tema di sequestro e confisca L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies, l’interessato può dimostrare la proporzione tra redditi impiegati da un lato ed acquisiti e/o investimenti dall’altro mediante la disponibilita’ di redditi non regolarmente dichiarati, in questo caso e’ suo onere dimostrare in maniera specifica che i beni sequestrati sono stati acquistati con il provento di attivita’ economiche non denunciate al fisco.
Ferma restando l’astratta possibilita’ di giustificare la proporzione tra acquisti e disponibilita’ economiche con redditi ulteriori rispetto a quelli regolarmente dichiarati (ad es. lasciti ereditari, vincite di gioco, redditi derivanti da attivita’ lecita prima della scadenza del termine di dichiarazione), sempre che non costituiscano provento di evasione tributaria tout court, in tale eventualita’ l’interessato non puo’, pero’, limitarsi ad allegarne l’esistenza, dovendo invece dimostrare che l’acquisto e’ avvenuto con impiego di provviste lecite e tracciabili (a mero titolo di esempio: corrispettivi della vendita di beni regolarmente fatturati e iscritti nei registri contabili e successivo reimpiego nell’acquisto dei beni poi confiscati).

Sentenza 9 marzo 2018, n. 10765
Data udienza 6 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. VILLONI Orlando – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 712/16 Corte di Appello di Catanzaro del 03/03/2017;
esaminati gli atti e letti i ricorsi ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere, Dott. VILLONI O.;
sentito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dr. PERELLI S., che ha concluso per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Pronunciando in sede di rinvio, la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Catanzaro il 18/07/2008 nei confronti di (OMISSIS) relativamente alla confisca disposta ai sensi della L. n. 356 del 1992, articolo 12-sexies di due terreni con soprastanti fabbricati nonche’ delle quote e del complesso aziendale della (OMISSIS) s.r.l., accessoria alla condanna dell’imputato per i reati di cui all’articolo 416-bis cod. pen. (capo 1) e L. n. 497 del 1974, articoli 10, 12 e 14 aggravati Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (capo 8).
In considerazione del doppio annullamento della decisione sul punto, la Corte territoriale ha disposto perizia contabile finalizzata a ricostruire, sulla base degli elementi posti a fondamento del provvedimento di confisca nonche’ di quelli desumibili dalle consulenze tecniche della difesa e dei relativi documenti allegati, l’entita’ dei redditi disponibili e del patrimonio dell’imputato all’atto degli acquisti dei beni confiscati, concludendo nel senso di una generalizzata incapacita’ del (OMISSIS) di produrre reddito lecito nel periodo di relativa effettuazione, non smentita dagli elementi di segno contrario allegati dalla difesa e fondati sull’asserita esistenza di reali disponibilita’ economiche derivanti dalla capacita’ delle imprese di famiglia di generare nel corso degli anni consistente fatturato e corrispondente volume di ricavi nonche’ dall’intervenuta adesione dell’imputato al condono tributario tombale di cui L. n. 289 del 2002 per redditi conseguiti nel periodo 1997 – 2002 e dichiarati nell’ammontare complessivo di Euro 7.680.000,00.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che deduce i motivi di censura di seguito indicati.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al cbn. disp. dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera c) per essersi svolto il giudizio rescissorio davanti una Sezione della Corte territoriale gia’ pronunciatasi in precedente grado del giudizio (motivo 2.1).
Violazione di legge in relazione alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-sexies per avere la sentenza impugnata operato un sequestro omnibus di tutto il patrimonio dello imputato (motivo 2.2)
Violazione di legge riguardo alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-sexies per avere la sentenza impugnata applicato il provvedimento ablativo a beni fuori del periodo sospetto ed intestati a terze persone (motivo 2.3), avendo il perito indebitamente ricompreso nelle sue valutazioni beni intestati al coniuge ed ai figli dello imputato, determinando cosi’ un allargamento a suo svantaggio della forbice dei valori ricostruiti.
Vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata omesso di motivare e comunque per avere illogicamente motivato sul punto della sproporzione tra beni e redditi da una parte e disponibilita’ patrimoniali dall’altro (motivo 2.4).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.
2. Prima di affrontare specificamente il tema della legittimita’ della confisca, occorre, pero’, dichiarare l’inammissibilita’ dei primi due motivi d’impugnazione.
Quanto al primo, sembra di comprendere che viene denunciata una incompatibilita’ di tipo formale della Prima Sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, poiche’ trattandosi del secondo rinvio conseguente ad annullamento in sede di legittimita’, la stessa Sezione si era gia’ pronunciata in occasione della prima decisione, che aveva statuito nel senso della legittimita’ della confisca.
La doglianza e’ manifestamente infondata, in primo luogo sul piano formale poiche’ l’articolo 623 c.p.p., comma 3, lettera c) si limita a stabilire che se e’ annullata la sentenza di una corte di appello, il giudizio e’ rinviato a un’altra sezione della stessa corte e in mancanza alla corte piu’ vicina.
Da tale regola si ricava che il caso prospettato di una Corte di appello, come quella di Catanzaro, articolata su due sole sezioni penali, entrambe gia’ pronunciatesi sulla medesima res judicanda e di cui la prima veda nuovamente il caso sottoporsi al suo giudizio, non e’ contemplato dal legislatore come (ulteriore) ipotesi di rinvio alla Corte territoriale piu’ vicina.
La doglianza e’, inoltre, inammissibile per genericita’ rispetto ad un’eventuale incompatibilita’ endoprocessuale di uno o piu’ componenti del collegio (articolo 34 c.p.p., comma 1), non essendo stato in verita’ neppure dedotto che si tratti, in tutto o in parte, degli stessi magistrati che ebbero ad emettere la prima decisione in grado s’appello, successivamente annullata, risalente al 03/05/2010.
Anche il secondo motivo, inoltre, e’ manifestamente infondato, atteso che la confisca impugnata, ammesso e non concesso che possa dirsene vietata una di carattere totalitario concernente tutti i beni del soggetto interessato, riguarda assetti economici precisamente individuati.
3. Passando ora alla trattazione delle censure con cui si deducono specifici profili d’illegittimita’ della misura ablatoria e manifesta illogicita’ delle ragioni svolte dalla Corte d’appello a sostegno della sua conferma, ne va dichiarata l’infondatezza e il conseguente rigetto per le ragioni di seguito indicate.
3.1 Applicazione del provvedimento ablativo a beni acquistati fuori dal periodo sospetto e intestati a terze persone, nella specie moglie e figli del ricorrente.
(OMISSIS) e’ stato ritenuto componente e partecipe della âEuroËœndrina (OMISSIS) di (OMISSIS) per un arco temporale andante dai primi anni 1990 fino al mese di febbraio 2007, su tale punto essendosi formato il giudicato gia’ in occasione del primo annullamento limitato alla confisca.
Quanto ai beni interessati dalla misura, il terreno con soprastante fabbricato ubicato in loc. (OMISSIS), di valore stimato dal perito pari ad Euro 585.000,00 e’ stato, secondo la difesa, acquistato dalla moglie del ricorrente nel 2002 per un controvalore di Euro 66.500,00.
Il terreno con soprastante fabbricato ubicato in loc. (OMISSIS), di valore peritale stimato di Euro 336.000,00 (ma secondo la difesa acquistato al prezzo di Euro 568,10), e’ stato a sua volta acquistato nel 2000.
Il controllo della (OMISSIS) s.r.l., del cui complesso aziendale fa parte uno stabilimento industriale del valore di Euro 1.100.000,00, e’ stato conseguito dal (OMISSIS) nel 2004 per un controvalore dichiarato di Euro 12.000,00, l’imputato avendo in precedenza operato sempre nel settore edilizio mediante altra impresa (la (OMISSIS) s.r.l.) costituita nel 1993 e attiva per l’appunto fino al 2004.
Ne deriva l’infondatezza della prima parte della doglianza, gia’ evidenziata dalla Corte territoriale, poiche’ l’acquisto dei beni e’ avvenuto in un arco temporale (2000-2004) interamente ricadente all’interno del periodo di affermata partecipazione alla cosca mafiosa, avendo dunque fatto la Corte territoriale corretta applicazione del principio, espressamente richiamato a pag. 11 della sentenza ed elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, di cd. ragionevolezza temporale in base al quale in tema di confisca per sproporzione L. n. 356 del 1992, ex articolo 12-sexies “la presunzione di illegittima acquisizione degli stessi da parte dell’imputato deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al reato perche’ acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla commissione di quest’ultimo” (Sez. 1, sent. n. 2634 del 11/12/2012, Capano e altro, Rv. 254250; Sez. 1, sent. n. 11049 del 05/02/2001, Di Bella, Rv. 226051; Sez. 5, sent. n. 2469 del 23/04/1998, Bocca F, Rv. 211763).
La doglianza e’, inoltre, infondata anche la’ dove lamenta che il provvedimento ablatorio avrebbe indebitamente investito un immobile di formale proprieta’ della moglie del ricorrente, (OMISSIS) nonche’ parte delle quote della (OMISSIS) s.r.l. intestate ai figli, (OMISSIS) e (OMISSIS).
Riguardo a tale profilo, infatti, la Corte d’appello ha osservato che pur non gravando a carico del terzo formale intestatario del bene alcuna presunzione – poiche’ resta a carico dell’accusa l’onere di dimostrare il carattere fittizio della titolarita’ – tale onere risulta, tuttavia, attenuato quando il titolare apparente e’ il coniuge o altra persona legata da rapporti di convivenza con l’imputato, in applicazione del criterio indicato dalla L. n. 575 del 1965, articolo 2-bis, comma 3, secondo cui e’ sufficiente dimostrare che il terzo intestatario non svolge un’attivita’ economica tale da procurargli redditi sufficienti per l’acquisizione del cespite, cosi’ da invertire l’onere probatorio e imporre alla parte di dimostrare sia la legittimita’ dei redditi impiegati per l’acquisto sia la veritiera appartenenza del bene in questione (pag. 12 sent.).
La statuizione e’ del tutto conforme all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di Cassazione fondata sull’applicazione di principi ricavati dalla disciplina in tema di misure di prevenzione (L. n. 575 del 1965 e Decreto Legislativo n. 159 del 2011), tanto piu’ rilevanti in quanto l’imputato e’ stato condannato per il reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen. cosi’ da versare in condizione soggettiva anche piu’ pregnante rispetto a quella dei meri indiziati di appartenere ad associazioni di stampo mafioso (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a)).
E’ stato, infatti, espressamente affermato il principio che “in tema di sequestro e confisca di prevenzione, il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui alla L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma 13, (ora Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2), circostanza di fatto significativa della fittizieta’ della intestazione di beni dei quali il proposto non puo’ dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, e’ sprovvisto di effettiva capacita’ economica” (Sez. 6, sent. n. 43446 del 15/06/2017, Cristodaro e altri, Rv. 271222; conf. Sez. 1, sent. n. 5184 del 10/11/2015, Trubchaninova, Rv. 266247 e in negativo Sez. 1, sent. n. 2531 del 16/04/1996, Biron e altri, Rv. 204903).
Correttamente individuato il principio, risulta poi corretta anche l’applicazione fattane dalla Corte territoriale in relazione alla situazione di mancanza di redditi sufficienti da parte degli stretti congiunti dell’imputato, quale puntualmente evidenziata a pag. 12 della sentenza e che esula dal carattere della presente pronuncia esporre in dettaglio.
3.2 Manifesta illogicita’ della sentenza sul tema della sproporzione tra beni e redditi da un lato e disponibilita’ patrimoniali dall’altro.
La tesi di fondo sostenuta dal ricorrente e’ che a giustificare la proporzione tra redditi disponibili e valore degli acquisti valga una generica capacita’ reddituale o meglio la capacita’ di produrre redditi da parte delle societa’ nel tempo da lui gestite ( (OMISSIS) s.r.l. ed (OMISSIS) s.r.l.) desumibile dal volume degli affari ovvero dai saldi attivi tra IVA ricavata e IVA corrisposta riferibili a dette societa’, capacita’ peraltro non tradottasi in redditi regolarmente dichiarati ma emersa solo in occasione del concordato fiscale tombale di cui alla L. n. 289 del 2002. La Corte territoriale ha respinto la tesi difensiva, ponendo in risalto:
a) l’assenza da parte dell’imputato di dichiarazioni dei redditi IRPEF o IVA nel periodo dal 1998 al 1992, anno quest’ultimo antecedente a quello (1993) di avvio dell’attivita’ imprenditoriale edilizia con la (OMISSIS) s.r.l.;
b) il modesto ammontare dei redditi regolarmente dichiarati anche da parte dei prossimi congiunti dell’imputato (pag. 12 sent.);
c) lo scarso significato dell’alto importo dei volumi di affari e cioe’ dei ricavi maturati dalle imprese di famiglia, in assenza di specifica indicazione dei costi sostenuti a vario titolo (salari, stipendi, TFR e altre componenti negative di reddito) in modo da consentire un’attendibile stima del reddito effettivamente prodotto e disponibile a fini di reimpiego e/o reinvestimento;
d) l’impossibilita’ di ricavare dati certi riguardo all’eventuale esistenza di redditi non dichiarati anche dall’allegata adesione al condono tombale, definito strumento volto unicamente ad evitare accertamenti fiscali successivi e nella specie neppure correlato all’emersione di ulteriori redditi imponibili, sebbene auto-certificati, ma riferito a valori calcolati sulla base di una mera percentuale delle “dichiarazioni originariamente presentate” (pag. 14 sentenza);
e) la persistente sperequazione (definita differenziale negativo) tra entrate ed uscite del nucleo familiare dell’imputato nell’arco temporale considerato (pag. 4 sent.).
Osserva il Collegio che trattasi di considerazioni corrette e tutt’altro che illogiche oltre che informate al rispetto di principi affermati della giurisprudenza di legittimita’ formatasi in tema.

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