Mentre l’applicazione della sopravvenuta legge penale piu’ favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova un limite invalicabile nella sentenza irrevocabile, cio’ non puo’ valere per la sopravvenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 21 marzo 2018, n. 13110.

Mentre l’applicazione della sopravvenuta legge penale piu’ favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova un limite invalicabile nella sentenza irrevocabile, cio’ non puo’ valere per la sopravvenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale, che concerne il diverso fenomeno della invalidita’; la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall’ordinamento proprio perche’ affetta da una invalidita’ originaria, cio’ che impone e giustifica la proiezione “retroattiva”, sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi, gia’ da essa disciplinati, della intervenuta pronuncia di incostituzionalita’, la quale certifica la definitiva uscita dall’ordinamento di una norma geneticamente invalida.

Sentenza 21 marzo 2018, n. 13110
Data udienza 30 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 05/02/2016 del GIP TRIBUNALE di GENOVA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GASTONE ANDREAZZA;
lette le conclusioni del PG Dr. Spinaci Sante, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Genova con la quale, in sede di esecuzione, e’ stata rigettata l’istanza di revoca ex articolo 673 c.p.p. della sentenza di applicazione della pena del 24/09/2013 relativamente al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 bis.
2. Con un unico motivo di ricorso, dopo avere premesso di avere provveduto, prima dell’apertura del dibattimento e della conseguente sentenza di applicazione della pena adottata nei propri confronti, a pagare il debito tributario, lamenta la violazione dell’articolo 2 c.p. in relazione all’articolo 673 c.p.p. per avere il Giudice escluso, a seguito della trasformazione per effetto del Decreto Legislativo n. 158 del 2015 del pagamento dei debiti tributari previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13 da circostanza attenuante a causa di non punibilita’ del reato di cui all’articolo 10 bis, di potere accogliere l’istanza di revoca per abolizione del reato stesso, in quanto gia’ formatosi il giudicato. Rileva che, pur non versandosi, nella specie, in un’ipotesi di abolitio criminis, la rigida e restrittiva applicazione dell’articolo 2 c.p., comma 4, su cui la decisione impugnata ha fatto leva, appare porsi in contrasto con gli articoli 3 e 13 Cost., articolo 27 Cost., comma 3 e articolo 117 Cost.) e richiama sul punto la giurisprudenza di legittimita’ laddove si e’ sottolineata la preminente esigenza che la pena da eseguirsi sia convenzionalmente e costituzionalmente legittima (come invece non sarebbe nel caso in questione), non potendosi peraltro qualificarsi come rapporto giuridico esaurito una condanna ancora interamente da eseguire; si’ che lo strumento per attuare il necessario intervento in executivis dovrebbe essere nella specie individuato nell’applicazione analogica dell’articolo 673 c.p.p. quantunque non per disporre la revoca della sentenza bensi’ per procedere alla correzione del contenuto del titolo.
Ove poi cio’ non si ritenesse possibile, si imporrebbe la necessita’ di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2 c.p. nella parte in cui non consente l’intervento del giudice dell’esecuzione al fine di eliminare il contenuto del titolo esecutivo consistente in una pena parzialmente o totalmente illegale.
3. Con successiva memoria ha poi richiamato, a conforto della propria impostazione, la sentenza n. 40314 del 2016 con la quale la Terza sezione ha esteso l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ in oggetto anche al caso in cui il pagamento dei debiti tributari avvenga dopo l’apertura del dibattimento purche’ prima del giudicato, pena la violazione del principio di uguaglianza, e ribadisce come, nella specie, il pagamento del debito sia avvenuto addirittura prima dell’apertura del dibattimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato.
Il novellato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13, comma 1, prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis e 10 ter e articolo 10 quater, comma 1, non sono punibili se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado i debiti tributari, comprensivi di sanzioni amministrative ed interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
La trasformazione del pagamento del debito tributario da circostanza attenuante del reato, quale era prevista dalla norma originaria, a causa di esclusione della punibilita’, quale e’ invece oggi, e la mancanza, all’interno del corpus del Decreto Legislativo n. 158 del 2015, che ha in tali termini riformulato la norma, di disposizioni che regolino gli effetti penali nel tempo della nuova disciplina, conducono a dovere rinvenire nel “sistema” quali siano i margini di applicabilita’ del nuovo comma i in particolare ai pagamenti gia’ intervenuti prima dell’entrata in vigore della modifica normativa e ai quali, in ossequio alla connotazione attribuita dal legislatore, sia seguito a suo tempo un effetto unicamente di attenuazione del trattamento sanzionatorio “cristallizzato”, come nella fattispecie in esame, da pronuncia ormai passata in giudicato.
Se infatti non puo’ dubitarsi che la nuova disciplina sia applicabile anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della novella sino al punto che questa Corte ha ritenuto non determinante il gia’ intervenuto superamento del limite temporale assegnato dalla norma e rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (Sez. 3, n. 15237 del 01/20/2017, dep. 28/03/2017, Volanti, Rv. 269653; Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 267807) solo restando da comprendere se un limite vada, in tali procedimenti, individuato comunque nella prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della norma (cosi’, infatti, sostanzialmente, Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, dep. 15/06/2017, Fegolent, Rv. 270464), diversa e’ invece la situazione in cui, appunto, il procedimento non sia piu’ in corso in quanto ormai irreversibilmente definito (da qui, tra l’altro, derivando, contrariamente alla prospettazione del ricorrente, la non invocabilita’ nella specie di tali arresti giurisprudenziali).
2. Se, dunque, nel “sistema” deve essere rinvenuta la risposta in ordine alla applicabilita’ della nuova disposizione ai pagamenti intervenuti nei procedimenti gia’ definiti, e’ alla fisionomia degli effetti del pagamento del debito tributario, espressamente ricondotti dal legislatore all’interno di una causa di esclusione della punibilita’ (“I reati…non sono punibili…”) e alla relazione di quest’ultima con l’articolo 2 c.p. e articolo 673 c.p.p. che deve guardarsi.
Sennonche’, nessuna delle due disposizioni appare potere condurre all’esito invocato dal ricorrente di revoca della sentenza di applicazione della pena a suo tempo pronunciata nei suoi confronti.
Non anzitutto l’articolo 2 c.p., da cui deve in ordine logico muovere l’analisi, posto che, nella specie, non essendo intervenuta alcuna abolitio criminis con effetto di iper-retroattivita’ della nuova norma, ma unicamente una successione modificativa, e’ al cit. articolo 2, comma 4 (e non al comma 2). che deve farsi riferimento (in tal senso, con riferimento alla causa di esclusione della punibilita’ dell’articolo 131 bis c.p., gia’ Sez. 3, n. 34932 del 24/06/2015, dep. 18/08/2015, Elia, Rv. 264160, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, dep. 15/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308, non massimata sul punto), in tal modo inevitabilmente operando lo sbarramento rappresentato dalla pronuncia di sentenza irrevocabile.
E non, per le stesse ragioni, l’articolo 673 c.p.p., invocato dal ricorrente, che attua sul piano processuale il solo dell’articolo 2, comma 2 prendendo in considerazione, quale causa di revoca della sentenza, la sola “abrogazione o dichiarazione di illegittimita’ costituzionale della norma incriminatrice”: e proprio con riferimento alla causa di esclusione della punibilita’ e’ stato anche di recente chiarito che la stessa, presupponendo l’accertamento del reato e la riferibilita’ soggettiva all’imputato, differisce radicalmente sia dall’abrogazione della disposizione di legge che definisce il reato e le sue implicazioni sanzionatorie, sia dalla pronuncia dichiarativa di illegittimita’ costituzionale, non rientrando dunque tra le situazioni tassative previste dall’articolo 673 citato, dal momento che non produce l’effetto di escludere la configurabilita’ del reato e la sua dimensione storico-fattuale e la responsabilita’ risarcitoria per i pregiudizi cagionati ai terzi, che restano immutate, incidendo soltanto sulla possibilita’ di irrogare la sanzione nei confronti del suo autore (cosi’, con riferimento all’articolo 131 bis c.p., Sez. 7, n. 11833 del 26/02/2016, dep. 21/03/2016, Rondello, Rv. 266169).
Di qui, dunque, la preclusione inevitabilmente rappresentata dal giudicato anche con riferimento alla previsione di cui all’articolo 13, comma 1 in oggetto e l’impossibilita’ evidente di applicare analogicamente, come richiesto in ricorso, la norma processuale in oggetto alla fattispecie in esame attesa la irriducibilita’ di quest’ultima al tassativo ambito contenutistico della norma processuale.
3. Ne’ a conclusioni diverse potrebbero condurre le argomentazioni svolte in ricorso in ordine alla esecuzione, conseguente all’impostazione sin qui ribadita, di pene che sarebbero connotate, alla luce del mutamento successivo, da sostanziale “ingiustizia”.
Se il ricorrente si e’, in proposito, richiamato a pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte, va tuttavia subito osservato come le stesse siano intervenute in relazione al diverso fenomeno della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale. Va rammentato che se effettivamente, come riportato in ricorso, questa Corte a sezioni Unite ha precisato che l’istanza di legalita’ della pena e’ un tema che in fase esecutiva deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolato dal dato formale della cosiddetta “situazione esaurita” (Sez. Un. n. 18821 del 24/10/2013, dep. 07/05/2014, Ercolano, Rv. 268550), un tale assunto non puo’ essere disgiunto dal dato fondamentale che in tanto cio’ valga in quanto si versi in presenza di declaratoria di illegittimita’ costituzionale, nella specie insussistente; infatti, hanno precisato sempre le Sezioni Unite, mentre il succedersi di leggi, che in tutto o in parte disciplinano materie gia’ regolate da leggi precedenti, e l’abrogazione di una norma per effetto di norma successiva sono fenomeni fisiologici dell’ordinamento giuridico, la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale palesa un evento di patologia normativa; se, infatti, il primo fenomeno deriva da una rinnovata e diversa valutazione del disvalore penale di un fatto, fondata sull’opportunita’ politica e sociale, operata dal Parlamento, competente a legiferare in uno Stato democratico di diritto, la declaratoria d’illegittimita’ costituzionale di una norma, rimasta formalmente in vigore fino alla pubblicazione della sentenza costituzionale, ma sostanzialmente invalida, attesta che quella norma mai avrebbe dovuto essere introdotta nell’ordinamento repubblicano, che e’ Stato costituzionale di diritto, cio’ che implica il primato delle norme costituzionali, che non possono percio’ essere violate dal legislatore ordinario.
Di qui, dunque, la conseguenza che a tali distinte situazioni corrispondono diverse conseguenze: mentre l’applicazione della sopravvenuta legge penale piu’ favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova un limite invalicabile nella sentenza irrevocabile, cio’ non puo’ valere per la sopravvenuta declaratoria di illegittimita’ costituzionale, che concerne il diverso fenomeno della invalidita’; la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall’ordinamento proprio perche’ affetta da una invalidita’ originaria, cio’ che impone e giustifica la proiezione “retroattiva”, sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi, gia’ da essa disciplinati, della intervenuta pronuncia di incostituzionalita’, la quale certifica la definitiva uscita dall’ordinamento di una norma geneticamente invalida (Sez. Un., n. 42858 del 29/05/2014, dep. 14/10/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260695).
4. Non puo’, infine, essere condivisa la subordinata prospettazione tesa a richiedere la rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2 c.p. per contrasto, sul punto del limite del giudicato, con gli articoli 3, 13, 27 e 117 Cost..
La Corte costituzionale, pur avendo sottolineato che il principio di retroattivita’ in mitius, non trovando copertura nell’articolo 25 Cost., comma 2, (ex plurimis, sentenze n. 80 del 1995, n. 6 del 1978 e n. 164 del 1974; ordinanza n. 330 del 1995), va ricollegato al principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto la modifica mitigatrice (Corte cost. n. 394 del 2006), ha anche aggiunto che, proprio in ragione di tale esclusivo collegamento, lo stesso deve ritenersi suscettibile di deroghe legittime sul piano costituzionale ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli (Corte cost., n. 215 del 2008, n. 72 del 2008, n. 394 del 2006; n. 330 del 1995, n. 74 del 1980 e n. 6 del 1978), un limite in tal senso dovendo essere rinvenuto proprio nella intervenuta definitivita’ dell’accertamento della responsabilita’ penale, rispondendo l’intangibilita’ del giudicato all’esigenza di salvaguardia della “certezza del diritto e di stabilita’ dell’assetto dei rapporti giuridici” (Corte cost., n. 210 del 2013; vedi anche Corte cost., n. 230 del 2012 e n. 236 del 2011); ed anche la Corte edu, pur individuando nell’articolo 7 della Convenzione l’elemento di “copertura” alla retroattivita’ della norma piu’ favorevole, ha individuato un limite a cio’ nel giudicato (Corte edu, 17/09/2009, Scoppola contro Italia), limite, anche da ultimo, nuovamente invocato dalla stessa Corte Europea (Corte edu, 12/01/2016, Gouarre’ Patte contro Andorra e 12/07/2016, Ruban contro Ucraina).
Sicche’, in definitiva, la scelta del legislatore secondo cui il principio di stabilita’ ed inviolabilita’ della “res iudicata” puo’ subire deroga esclusivamente in presenza di una nuova disposizione eliminatrice del reato, successivamente intervenuta (v. in proposito, Sez. 3, n. 1002 del 17/03/1998, dep. 07/05/1998, P.M. in proc. Priolo, Rv. 210860) e non anche a fronte di modifiche normative in melius, appare non contrastante ne’ con il principio di cui all’art.7 Convenzione edu ne’ con gli invocati principi di ordine costituzionale.
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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