In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 marzo 2018, n. 14001.

In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 3, deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volonta’ dell’agente di divulgare tale materiale, anche sotto il profilo dell’individuazione del dolo eventuale, desumibile dall’esperienza dell’imputato e dalla durata nel tempo del possesso di materiale pedopornografico, dall’entita’ numerica del materiale, e dalla condotta, gia’ illecita ex articolo 600 quater c.p., connaturata da accorgimenti volti alla difficolta’ di individuazione dell’attivita

In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’articolo 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volonta’ dell’agente di divulgare tale materiale.
In tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilita’ del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e’ verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'”iter” e l’esito del processo decisionale, puo’ fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalita’ e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilita’ con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilita’ di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si e’ svolta l’azione nonche’ la possibilita’ di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento.

Sentenza 26 marzo 2018, n. 14001
Data udienza 14 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/12/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso per: “Rigetto del ricorso”;

Udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso per: “Accoglimento del ricorso”.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 5 dicembre 2016, confermava la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, del 4 febbraio 2016 – giudizio abbreviato -, che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, oltre pene accessorie, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti, relativamente ai reati di cui:

capo A, articolo 600 ter c.p., commi 3 e 5, articolo 602 ter c.p., commi 4 e 5; da (OMISSIS);

capo B, articolo 600 quater c.p.. Fino al (OMISSIS).

2. L’imputato ha proposto ricorso, integrato da successiva memoria (con ivi allegata una relazione sul percorso terapeutico del ricorrente), depositata il 28 novembre 2017, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Violazione di legge, articoli 42 e 43, in relazione all’articolo 600 ter c.p..

In relazione al delitto di cui al capo A l’appello del ricorrente aveva sostenuto l’assenza di dolo nella condivisione dei files. La Corte di appello ha invece sostenuto che la sola utilizzazione del programma E.mule e’ sufficiente per la responsabilita’ a titolo di dolo (anche eventuale) in quanto il programma e’ destinato proprio alla condivisione.

Inoltre il programma considerato (e.mule 0.50) non corrisponde al programma usato dal ricorrente (a.mule 2.2.6.), e quindi irrilevanti devono ritenersi le considerazioni della sentenza sul punto. La sentenza della Corte di appello si basa sul presupposto del “non poteva non sapere”.

2.2. Manifesta illogicita’ della motivazione.

La Corte di appello inoltre – sempre sul reato di cui al capo A rileva che il ricorrente era un abituale utilizzatore del P.C., relativamente al suo lavoro di grafico, e quindi con buone conoscenze informatiche. Poi, in contraddizione, afferma che il programma e.mule e’ relativamente semplice nell’utilizzazione.

2.3. Mancata assunzione di una prova decisiva in appello, audizione del perito (OMISSIS); violazione di legge, articolo 603 c.p.p..

La Corte di appello ha ritenuto tardiva la richiesta dell’audizione del perito (OMISSIS), in quanto proposta nei motivi nuovi; la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale invece puo’ essere proposta anche in sede di motivi nuovi. Sussisteva la necessita’ della prova in quanto le pagine di presentazione del programma – utilizzato dal P.M. non corrispondevano al programma usato dal ricorrente.

2.4. Violazione di legge, articolo 600 septies c.p..

La Corte di appello ha respinto l’istanza di dissequestro poiche’ le cose sono di terzi; invece l’imputato puo’ rispondere nei confronti dell’effettivo proprietario, (OMISSIS), e quindi aveva diritto alla restituzione, o all’estrazione di copia dei dati non attinenti al reato di cui al capo A.

2.5. Violazione di legge, articolo 62 bis c.p..

La Corte di appello non ha tenuto conto della situazione soggettiva del ricorrente, in quanto lo stesso ha confessato, e si e’ ravveduto. Inoltre egli non ha piu’ connessione internet nella propria abitazione, e svolge attivita’ di volontariato.

2.6. Violazione di legge, relativamente alle pene accessorie, articolo 600 septies c.p., comma 2.

Le pene accessorie dovrebbero essere comminate solo dopo la valutazione della personalita’, e non automaticamente.

Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.

2.7. L’imputato ha presentato ampia memoria, come sopra visto, nella quale ribadisce ed illustra i motivi del ricorso per cassazione, allega inoltre relazione della comunita’ cooperativa (OMISSIS), sul suo percorso terapeutico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per genericita’. Inoltre ripropone le stesse argomentazioni dell’appello senza critiche specifiche alla motivazione della Corte di appello.

Sul reato sub A dell’imputazione (diffusione del materiale pedopornografico in possesso del ricorrente) la sentenza impugnata (e la decisione di primo grado, doppia conforme) con adeguata motivazione, immune da manifeste illogicita’ e da contraddizioni rileva plurimi elementi dai quali desumere la diffusione dell’ingente materiale in possesso (almeno 194 file video) relativamente all’uso del programma a.mule: “Dal processo sono emersi alcuni dati oggettivi incontroversi: il (OMISSIS) aveva installato sul computer usato nel luogo di lavoro il programma e.mule che consentiva di scaricare files dalla rete internet e condividerli con altri utenti. L’imputato aveva scaricato e detenuto numerosi files di contenuto pedopornografico; detti files erano stati effettivamente condivisi da altri utenti e quindi erano stati divulgati. L’elemento soggettivo del reato contestato al capo A dell’imputazione risulta pertanto pacificamente integrato”.

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