Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza 25 maggio 2017, n. 13246

L’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

ordinanza 25 maggio 2017, n. 13246

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12357-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5057/15/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

RILEVATO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’articolo 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata.

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Varese. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di (OMISSIS) contro un avviso di accertamento IRPEF, per l’anno 2008;

che, nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che il contribuente avrebbe provato di aver introitato, nel 2008, la somma di Euro 120.000 derivante dalla vendita di alcuni immobili – pervenutigli a titolo ereditario – il che avrebbe giustificato l’intera capacita’ di spesa accertata per il periodo d’imposta.

CONSIDERATO

che il ricorso e’ affidato ad un unico rilievo, col quale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, commi 4, 5 e 6 e dell’articolo 2697 c.c., ex articolo 360 c.p.c., n. 3: per contrastare l’accertamento sintetico non sarebbe stata sufficiente la dimostrazione dell’esistenza di disponibilita’ finanziarie, giacche’ il contribuente avrebbe dovuto fornire l’ulteriore dimostrazione dell’utilizzo delle stesse disponibilita’ finanziarie al fine di sostenere le spese poste a fondamento dell’accertamento da parte del Fisco;

che l’intimato si e’ costituito con controricorso;

che il motivo deve essere disatteso;

che questa Corte (Sez. 6-5, n. 1455 del 26/01/2016) ha ritenuto che nessun’altra prova debba dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi”; che neppure potrebbe evincersi “un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilita’ finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente”, in quanto “una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, comma 6, determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non piu’ correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinari e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta”;

che, d’altronde, questa Corte (Sez. 5, n. 8995 del 18/4/2014) ha poi ulteriormente chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, specificando che “a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente e’ costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entita’ di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”;

che, in sostanza, la norma chiede qualcosa di piu’ della mera prova della disponibilita’ di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che cio’ sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entita’ di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalita’ di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilita’ di detti redditi per consentire la riferibilita’ della maggiore capacita’ contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalita’ non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perche’ in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati;

che, nella specie tale prova, come emerge dalla sentenza della CTR, e’ stata fornita dal contribuente e congruamente valutata dai giudici di appello;

che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.000, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%.

Motivazione semplificata.

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