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Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 17 ottobre 2014, n. 22021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCININNI Carlo – Presidente
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23771-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) (avviso postale ex articolo 135), giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 133/2009 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO, depositata il 16/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/09/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 ottobre 2009 la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigetta l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della Ditta (OMISSIS), confermando l’annullamento del recupero del credito d’imposta di 38.016,65 euro (Legge n. 388 del 2000, articolo 8) per gli anni 2000-2005 e della conseguente iscrizione a ruolo avvenuta in corso di causa, atteso il mancato rispetto, da parte dell’Ufficio, del termine dilatorio di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7.
2. Propone ricorso per cassazione, affidato a due mezzi, l’Agenzia delle entrate; la ditta contribuente resiste con controricorso e memorie.
La causa perviene all’odierna pubblica udienza a seguito di ordinanza emessa all’esito dell’adunanza camerale del 14 febbraio 2012.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo mezzo – denunciante violazione di legge (Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7) – non e’ fondato.
L’Agenzia delle entrate per un verso sostiene che il mancato rispetto del termine non comporta alcuna nullita’, atteso che una tale sanzione non e’ prevista dalla legge e che il contraddittorio processuale garantisce adeguatamente le esigenze di contraddittorio e difesa del contribuente. Esigenze di coerenza sistematica comportano la necessita’ di dare continuita’ al piu’ recente e ampiamente condiviso approdo interpretativo delle Sezioni Unite, confermando il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la Legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attivita’, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per se’, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimita’ dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiche’ detto termine e’ posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed e’ diretto al migliore e piu’ efficace esercizio della potesta’ impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensi’ nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013; conf. nn. 1264, 5367, 6666, 8482 del 2014). A tale principio il giudice d’appello si e’ conformato. Spetta, infatti, al Fisco allegare e dimostrare che l’inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine, come ad esempio nell’ipotesi di reiterate condotte penali tributarie del contribuente o di partecipazione a una frode fiscale (Sez. 5, Sentenza n. 2587 del 05/02/2014) oppure nel caso in cui il contribuente versi in un grave stato d’insolvenza (Sez. V, Sentenza n. 9424 del 30/04/2014). Nulla di quanto necessario e’ stato addotto dall’Agenzia ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 7315 del 28/03/2014), nonostante il dovere dell’amministrazione di attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale. (Sez. 5, Sentenza n. 2592 del 05/02/2014).
2. Il secondo mezzo censura la sentenza di secondo grado per omessa pronuncia (articolo 112 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., n. 4).
Nella parte “in fatto” della sentenza d’appello, si narra che la commissione provinciale ha annullato l’atto impugnato “e la conseguente iscrizione a ruolo”; inoltre, ivi si riferisce che l’amministrazione appellante ha denunciato vizio di ultra petizione della sentenza di prime cure, per aver proceduto all’annullamento dell’iscrizione a ruolo susseguente all’atto impugnato, pronuncia che, secondo l’Ufficio impugnante, non costituiva domanda nel ricorso originario. Ciononostante, manca nella “parte motiva”, finanche graficamente, qualsivoglia accenno alla trattazione di tale specifico motivo di gravame.
Il rilievo, pur obiettivamente fondato, non puo’ giovare alla amministrazione per evidente difetto d’interesse. Infatti, l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento divengono illegittime a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l’atto impositivo da esse presupposto, poiche’ tale pronuncia fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell’atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria. (Sez. 5, Ordinanza n. 13445 del 27/07/2012).
3. Disattesi i due mezzi, si ravvisano nel recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimita’ quei giustificati motivi che legittimano la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

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