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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Sentenza 18 settembre 2013, n. 21287

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10513-2009 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA 10, presso lo studio dell’avvocato GIONTELLA MARCO, che la rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 12/2008 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 14/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/2013 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIONTELLA che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 12/4/08, depositata il 14 marzo 2008, la CTR del Lazio, riformando a decisione della CTP di Roma, ha rigettato l’impugnazione proposta da A.L. avverso l’avviso di liquidazione per il recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale, sul presupposto che l’immobile acquistato, registrato con i benefici “prima casa”, aveva caratteristiche “di lusso”, ex D.M. 2 agosto 1969. I giudici d’appello hanno affermato, per quanto ancora interessa, che: a) l’atto impositivo era adeguatamente motivato e consentiva la difesa alla contribuente; b) sussistevano le caratteristiche delle abitazioni di lusso, per essere l’immobile superiore ai 240 mq.; c) l’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7 era manifestamente infondata.

La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza con cinque motivi, illustrati da memoria. L’Agenzia delle Entrate non ha depositato difese.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, e L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente afferma che la CTR ha fatto malgoverno dei principi in tema di obbligo di motivazione dell’atto d’accertamento tributario, avendo ritenuto valida una motivazione priva di riferimento al caso concreto e che rinviava ad un atto dell’Agenzia del Territorio, che non era stato allegato ed era stato prodotto ex adverso, solo, in appello.

2. Col secondo mezzo, la ricorrente denuncia il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR omesso di motivare sul fatto controverso e decisivo relativo “al denunciato vizio di mancata allegazione all’avviso di liquidazione dell’atto da esso richiamato”, i cui contenuti non erano stati riprodotti nell’atto impositivo.

3. Col terzo motivo e quarto motivo, si deduce, nuovamente, il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR sufficientemente motivato, rispettivamente, in ordine: a) alla mancata indicazione di motivi specifici del recupero; b) all’estensione della superficie dell’appartamento acquistato.

4. Col quinto motivo, la ricorrente lamenta la falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici d’appello ritenuto applicabile tale disposizione, relativa ai vizi del procedimento o a vizi formali, in un caso si dibatteva della violazione di elementi sostanziali ed essenziali dell’atto.

5. I primi quattro motivi, che, per le loro connessioni e per comodità espositive, possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

6. La CTR ha ritenuto l’avviso correttamente motivato, in quanto, in esso, si fa “riferimento al contenuto dell’atto di compravendita, dal quale scaturisce la contestazione e nelle 6 pagine di cui è composto sono riportati dettagliatamente i calcoli operati dall’Ufficio”, ed ha perciò concluso che era “facile comprendere l’oggetto della richiesta e prendere le contromisure necessaire per la difesa…”, id est che la richiesta dell’Ufficio era volta alla “disapplicazione delle agevolazioni” godute al momento della registrazione, trattandosi di abitazione di lusso, ai sensi del D.M. del 2 agosto 1969.

7. Il contenuto dell’atto di liquidazione, quale accertato in fatto, è idoneo a soddisfare il controverso requisito motivazionale: l’atto impugnato non costituisce, infatti, un accertamento in rettifica del valore dichiarato in seno all’atto presentato per la registrazione – cui si riferisce l’invocata norma di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 – ma scaturisce dall’inapplicabilità delle disposizioni agevolative connesse all’acquisto della prima casa, sicchè il richiamo al D.M. del 2 agosto 1969, è sufficiente ad esplicitare che la liquidazione è connessa alla dichiarazione mendace della parte acquirente, mendacio da intendersi riferito a qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla legge, di cui alla nota 2 bis comma 4 all’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e, dunque, al godimento indebito dell’agevolazione per la prima casa.

8. Così convenendo, la mancata allegazione all’atto impositivo dell’accertamento tecnico eseguito dall’Agenzia del Territorio non è idoneo ad inficiarne la motivazione, ma attiene alla prova della sua fondatezza (in concreto, la sussistenza delle caratteristiche di lusso dell’immobile compravenduto), prova che può ben essere fornita dall’Ufficio in sede giudiziaria.

9. I vizi motivazionali, dedotti col secondo e terzo motivo, sono inammissibili, perchè denunciano un difetto di motivazione in diritto (necessità di indicazioni ulteriori per la validità della motivazione dell’atto impugnato) che è irrilevante ai fini della cassazione della sentenza.

10. Anche il quarto motivo è inammissibile. Anzitutto, la questione relativa all’asserita natura incontroversa della estensione dell’immobile (in tesi, utile ai fini del godimento dell’agevolazione), per effetto della mancata contestazione della prodotta perizia, difetta di autosufficienza in quanto dall’esame della sentenza impugnata risulta depositata (pare in epoca successiva al deposito della perizia) una memoria illustrativa in cui l’Ufficio si sarebbe riportato al prodotto accertamento tecnico dell’Agenzia del territorio (di segno opposto rispetto alla perizia, cfr. pag. 3 in fine).

11. Nel merito della doglianza, va rilevato che, all’accertamento dei giudici d’appello, secondo cui l’estensione dell’immobile acquistato è superiore ai mq. 240, la ricorrente ne contrappone uno diverso, che sarebbe desumibile dalla perizia prodotta, la cui mancata considerazione non appare, però, decisiva, tenuto conto del principio espresso da questa Corte (Cass. n. 16650 del 2011), secondo cui “il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale”.

12. Va, peraltro, rilevato che la trascrizione dello stralcio della perizia fa riferimento “alla superficie utile di calpestio dei singoli ambienti”. L’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969 qualifica, per contro, abitazioni di lusso – escluse dal beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis-, le unità immobiliari “aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”, e tale norma va interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, i predetti ambienti e non l’intera superficie non calpestabile, come postula la ricorrente.

13. Il quinto motivo è inammissibile per difetto d’interesse. La CTR ha richiamato (in realtà, in modo criptico) la disposizione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 2, dettata in materia di annullabilità del provvedimento amministrativo, nel rigettare l’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in riferimento agli artt. 24, 97 e 104 Cost., eccezione che non è stata riproposta, e che questa Corte non ritiene di dover sollevare, alla stregua di quanto esposto sopra, ai punti 7 e 8, circa il contenuto del requisito motivazionale dell’atto impositivo; requisito che, giova ribadire, è integrato laddove venga enunciato il criterio astratto in base al quale l’atto è stato emesso onde delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, restando riservato a quest’ultima fase l’onere dell’Ufficio di fornire la prova della pretesa.

14. Il ricorso va, in conclusione, rigettato. Non va provveduto sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013

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