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Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria
Sentenza 9 gennaio 2014, n. 245

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – Consigliere
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), in proprio ed in qualita’ di titolare della ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv.to (OMISSIS) in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
e
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.,
– intimato –
avverso la sentenza n. 26/46/2007 della Commissione Tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS), in proprio e quale titolare della ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS), propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo (contenente plurime questioni di diritto), nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 26/46/2007, con la quale – in una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, notificatogli nel dicembre 2001, in relazione a maggiori imposte IRPEF, ILOR e contributo SSN, oltre sanzioni ed interessi, dovuti, per l’anno d’imposta 1995, a seguito di rettifica del reddito d’impresa, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, e Legge n. 472 del 1993, articolo 62 sexies, conseguentemente alla rideterminazione, da lire 210 milioni a lire 552 milioni, del prezzo di vendita, unica operazione finanziaria realizzata nell’anno 1995 dalla ditta, alla moglie del (OMISSIS), di un appartamento, contratto ritenuto dall’Ufficio erariale parzialmente simulato – e’ stata confermata la decisione n. 280/05/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese, che aveva respinto il ricorso del contribuente. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, sulla base della documentazione in atti (“l’esito della verifica e del conseguente p.v. di constatazione della GdF”, “la documentazione acquisita direttamente dall’Ufficio” e “la perizia dell’Agenzia del territorio”), l’accertamento era sufficientemente supportato da “presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1”, in relazione alla vendita, nel 1995, al coniuge del contribuente (OMISSIS), “a prezzo di favore”, di “un appartamento con box, ecc…, la cui differenza attiva di appena 21 milioni appare insufficiente a garantire un utile adeguato, il rischio d’impresa, il capitale investito e l’attivita’ del titolare”, considerato altresi’ che la stima dell’Ufficio aveva tenuto conto “del prezzo praticato per gli altri appartamenti dello stesso complesso immobiliare e del valore millesimale attribuito in sede di relativa tabella”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorrente lamenta, con un unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto, in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, Legge n. 427 del 1993, articolo 62 sexies, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 53, comma 1, lettera a) – TUIR, avendo i giudici della CTR ritenuto corretto un accertamento induttivo, basato sul ricorso ad una doppia presunzione (consistendo il fatto “noto” nel valore di mercato superiore al prezzo di vendita), malgrado la mancata dimostrazione dell’effettivo incasso della maggiore somma contestata da parte del (OMISSIS), e sulla qualificazione del maggior prezzo stimato come “ricavi ai sensi dell’articolo 53, comma 1, lettera a) TUIR”, laddove, trattandosi, al piu’, di un contratto, tra coniugi, di compravendita misto a donazione, esso rappresentava una forma di “autoconsumo” (essendo stata l’unita’ adibita a dimora familiare), ai sensi dell’articolo 53, comma 2, TUIR.
Anzitutto non puo’ essere accolta l’eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilita’ del ricorso e di novita’ delle questioni, in quanto, dalla stessa sentenza impugnata della C.T.R., emerge che dette prospettazioni erano state gia’ avanzate in appello. La censura e’, peraltro, infondata ed inammissibile. Occorre rilevare che, come gia’ chiarito da questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di un’unita’ immobiliare, l’onere di fornire la prova che l’operazione e’ parzialmente (quanto al prezzo di vendita) simulata incombe all’Amministrazione finanziaria, la quale adduca l’esistenza di un maggiori ricavi, e puo’ essere adempiuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purche’ gravi, precise e concordanti, “non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non puo’ quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale” (Cass. 1023/2008; Cass. 10517/2010), rimanendo a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato (Cass. 4057/2007).
Vero che, in tema di imposta sui redditi, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 53, lettera a), TUIR, considera “ricavi… i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio e’ diretta l’attivita’ dell’impresa” e questa Corte (Cass., 2000 n. 14448 e Cass. 16700/2005) ha gia’ chiarito che, tenuto conto dell’inequivoco significato del termine “corrispettivo”, “i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare perche’, quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione“.
Tuttavia, nella fattispecie in esame, non puo’ desumersi il difetto di altri elementi, oltre all’accertamento del valore venale, proposti dall’Ufficio, idonei (per gravita’, precisione e concordanza) a far fondatamente ritenere, prima, che la contabilita’ della Ditta, formalmente regolare, in realta’ fosse inattendibile e, poi, che il corrispettivo ricavato fosse, diverso da quello denunziato, ma pari a quello del valore venale. Nella specie, infatti, nella sentenza si da altresi’ atto, oltre che del maggior valore di mercato del bene oggetto di vendita, rispetto al prezzo dichiarato nell’atto di compravendita, stimato in una perizia redatta dall’Agenzia del Territorio, di altri elementi, a supporto dell’irrisorieta’ del prezzo indicato in fattura e nel rogito notarile di compravendita, quali l’unicita’ dell’operazione rispetto all’attivita’ economica espletata nel 1995, il fatto che “la differenza attiva di appena 21 milioni” fosse “insufficiente a garantire un utile adeguato, il rischio d’impresa, il capitale investito e l’attivita’ del titolare”.
Si deve inoltre rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimita’, e’ incensurabile in sede di legittimita’ l’apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita’ e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (v. tra le altre Cass. n. 10135 del 2005 e n. 16831 del 2003). Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformita’ del Decreto Ministeriale 140 del 2012, attuativo della prescrizione contenuta nel Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 9, comma 2, convertito dalla Legge n. 271 del 2012, (Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi euro 5.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

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