Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 9 settembre 2016, n. 17810

Legittima la rettifica di quanto dichiarato dal notaio che – a fronte di una contestazione di maggiori introiti non contabilizzati – si sia limitato ad affermare che le differenze tra le somme a lui versate e quelle fatturate sarebbero da imputare a spese anticipate per i clienti

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 9 settembre 2016, n. 17810

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28336/2009 proposto da:
(OMISSIS) domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) S.N.C. (avviso postale ex articolo 135) giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI SANTA MARIA CAPUA VETERE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 160/2008 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA, depositata il 14/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/07/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
Udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con processi verbali di constatazione e in particolare a seguito di elementi forniti da clienti del notaio (OMISSIS), la Guardia di finanza appurava che il professionista operava in evasione d’imposta. Su tali presupposti il fisco emetteva atto impositivo per l’anno 2003, dal quale scaturiva contenzioso giudiziario conclusosi in primo grado in senso favorevole al contribuente, giusta decisione della commissione tributaria provinciale di Caserta n. 240-2006-18.
2. Per la parziale riforma di tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto, con successo, appello perche’ fosse confermata la legittimita’ della ripresa fiscale limitatamente ai maggiori compensi non dichiarati e sottoposti a tassazione. L’impugnazione e’ stata accolta giusta decisione della commissione tributaria regionale della Campania n. 160-2008-20.
2.1 In estrema sintesi il giudice di secondo grado ha “…rilevato che la G.d.F. ha provveduto ad interpellare numerosi clienti del notaio (OMISSIS), sia residenti nel distretto di competenza che extra distretto, accertando nella maggior parte dei casi esaminati (quantificabili nel 39%) il versamento di importi superiori a quelli fatturati su/la base di riscontri oggettivi, costituiti da fotocopie di assegni e da matrici di assegni; per un residuo del 26%, inoltre, i clienti interpellati hanno indicato il numero dell’assegno mediante il quale avevano provveduto al pagamento, mentre solo nel residuo 35% dei casi i clienti avevano dichiarato di aver pagato per contanti”. Da tutto cio’ ha tratto il convincimento che “per la maggior parte dei casi, dunque, non si e’ in presenza di semplici informazioni, ma ci si trova di fronte a dichiarazione suffragate da ulteriori riscontri – consistenti in elementi di fatto – che hanno consentito una ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati”, precisando che “la produzione di dichiarazioni terzi (…) non e’ preclusa ma lasciata al vaglio del giudice per quanto possa concorrere alla formazione del proprio convincimento”. Di contro il contribuente “si e’ limitato ad affermare che le differenze tra le somme versategli e quelle fatturate sarebbero da imputare a spese anticipate per i clienti, senza argomentare alcunche’ sulla circostanza che le somme imputate ad onorari risultano sempre molto inferiori alle presunte spese e senza fornire alcun elemento probatorio al riguardo”.
2.2. Sul piano delle forme, il giudice d’appello ha ritenuto che “l’ufficio abbia adempiuto all’onere probatorio su lui gravante, perfezionando tale adempimento con la produzione integrale degli allegati al p.v.c.” e ha osservato che “tale produzione, da ritenersi ammissibile ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 58, comma 2, integra (…) l’obbligo di produrre gli atti richiamati nella motivazione per relationem (…) considerato che nel caso di specie l’atto presupposto (il p. v. c. con i relativi allegati) era gia’ a conoscenza del contribuente per averlo confermato e sottoscritto”.
3. Per la cassazione della decisione d’appello, la parte privata propone ricorso affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

0. Preliminarmente, si rileva la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte, il Ministero dell’economia e delle finanze, che non e’ stato parte nel giudizio di merito (v. sentenza di appello) ed e’ oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. La chiamata ministeriale in sede di cassazione e’, dunque, inammissibile e il ricorso va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia delle entrate che e’ la sola a essere legittimamente intimata.
1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia la violazione di norme di diritto sostanziali (Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 32 e 39, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, articolo 2697 c.c.) censurando la sentenza d’appello laddove non rileva l’asserito difetto di motivazione dell’atto impositivo e ritiene fondata la ricostruzione del reddito mediante l’utilizzo d’informative assunte senza contraddittorio presso clienti e di riscontri costituiti da fotocopie, matrici e numeri di assegni e da asserzioni di pagamenti in contanti, il tutto in assenza di ulteriori elementi volti a conferire certezza al quadro probatorio.
Il motivo non e’ fondato.
Com’e’ noto, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessita’ di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (conf., ex plurimis, Cass. 6946/15). Il diritto interno, tanto in materia di imposte dirette (Decreto del Presidente della Repubblica 600/1973, articolo 39, comma 2, e articolo 41 comma 2) quanto in tema d’imposta sul valore aggiunto (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, e articolo 55, comma 1) consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate (Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 32 e 33; Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51), secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni. Riguardo alla prova dei fatti giuridici la dottrina civilistica ha da tempo chiarito che “un dato incontestabile e’ che tali elementi non sono predeterminati ne’ predeterminabili dalla legge, poiche’ qualunque cosa, documento o dichiarazione puo’ costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa. Si puo’ dunque ravvisare nella categoria delle presunzioni semplici (salvo i limiti di cui all’articolo 2729 cod. civ.), la via attraverso la quale le prove atipiche possono entrare nel processo civile”. Si e’ aggiunto nella dottrina tributaria che “i requisiti tipici di una presunzione semplice non puo’ essere stabilita a priori, ma consegue unicamente alla concreta valutazione del contenuto indiziario degli elementi tipici”, con la precisazione giurisprudenziale che gli elementi assunti a fonte di presunzione non devono essere necessariamente plurimi potendosi il convincimento del giudice fondarsi anche su un elemento unico, purche’ preciso e grave, mentre la valutazione della sua rilevanza, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non e’ sindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione adeguata e non contraddittoria (Cass. 656/2014). A tali principi di diritto s’ispira la sentenza d’appello.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, censura la sentenza d’appello laddove reputa legittimo l’avviso di accertamento ancorche’ esso si sia concretato nell’uso contemporaneo di tre diverse metodologie di rettifica, cioe’ induttiva, analitica e sintetica.
Il motivo va disatteso.
In tesi generale, nulla esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni oppure contemporaneamente delle varie metodologie legali (Cass. 13350/09). Peraltro, nella specie, si tratta d’inammissibile questione nuova non rientrante nel perimetro impugnatorio dell’atto introduttivo del giudizio (v. ricorso fg. 4-5) e priva di autosufficienza non risultando la trascrizione dei passi salienti dell’atto impositivo (Cass. 9356/1i6, 8312/13, 11982/11, 15867/04).
3. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’articolo 58 proc. trib. e dell’articolo 2719 c.c., il contribuente censura la sentenza d’appello laddove trascura la tardivita’ delle produzioni documentali fatte dall’ufficio in appello e per di piu’ senza alcuna attestazione di conformita’ delle copie esibite agli originali.
Il motivo va disatteso.
Premesso che non e’ necessaria l’allegazione di tutti gli atti all’avviso, bastando il richiamo dei contenuti essenziali (Cass. 13110/12, 1906/08), si rammenta che, nel grado d’appello, il deposito di detti documenti come “nuovi” e’ consentito nel rispetto del termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di trattazione, analogamente a quanto fissato per le produzioni documentali in primo grado (Cass. 11249/15; conf. 3661/15, 655/14, 20109/12) 13110/12, 1906/08). In ricorso il contribuente parla genericamente di produzione posteriore all’appello senza migliori specificazioni, ne deriva l’assoluto difetto di autosufficienza del rilievo. Analogamente, sempre in difetto di autosufficienza del ricorso, non consta dalla sentenza che vi sia stato tempestivo disconoscimento della produzione documentale fotocopiata, entro la prima udienza o la prima difesa secondo la prescrizione dell’articolo 2719 cod. civ. (Cass. 13425/14).
4. Con il quarto motivo il ricorrente censura, sotto il profilo della violazione di disposizione statutarie (articoli 6-7), la sentenza d’appello laddove non rileva l’illegittimita’ dell’avviso di accertamento notificato al contribuente senza l’integrale allegazione del p.v.c. e ritiene questo noto al contribuente.
Il motivo e’ infondato dovendosi richiamare le considerazioni gia’ svolte in punto di allegazione nel terzo motivo.
Quanto al resto si osserva che “nel caso di specie l’atto presupposto (il p.v.c. con i relativi allegati) era gia’ a conoscenza del contribuente per averlo confermato e sottoscritto”, cosi’ come ha appurato il giudice di merito con insindacabile accertamento di fatto. Pertanto le disposizioni statotene, laddove prevedono che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trovano applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia gia’ avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione e sottoscrizione (Cass. 407/15).
5. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza d’appello per omessa motivazione laddove, “limitandosi ad indicare mere percentuali di pretesi ricavi non contabilizzati dal contribuente sganciate da qualsiasi analisi contabile e da qualsiasi riscontro probatorio per sostenere la legittimita’ nel merito dell’atto impositivo, non da’ contezza de/le carenza di riscontri probatori, ammessa da/lo stesso ufficio, in merito all’accertamento del 35% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpellati extra distretto e del 60% dei pretesi maggiori introiti riferiti ai soggetti interpellati intra distretto”.
Il motivo non e’ fondato.
Esso non coglie il senso dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di secondo grado laddove ha “…rilevato che la G.d.F. ha provveduto ad interpellare numerosi clienti del notaio (OMISSIS), sia residenti nel distretto di competenza che extra distretto, accertando nella maggior parte dei casi esaminati (quantificabili nel 39%) il versamento di importi superiori a quelli fatturati sulla base di riscontri oggettivi, costituiti da fotocopie di assegni e da marcia di assegni; per un residuo del 26%, inoltre, i clienti interpellati hanno indicato il numero dell’assegno mediante il quale avevano provveduto a/ pagamento, mentre solo nel residuo 35% dei casi i clienti avevano dichiarato di aver pagato per contanti”. Da cio’ ha tratto il convincimento, insindacabile sul piano logico, che “per la maggior parte dei casi, dunque, non si e’ in presenza di semplici informazioni, ma ci si trova di fronte a dichiarazione suffragate da ulteriori riscontri – consistenti in elementi di fatto – che hanno consentito una ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati”, precisando che “la produzione di dichiarazioni terzi (…) non e’ preclusa ma lasciata al vaglio del giudice per quanto possa concorrere alla formazione del proprio convincimento”.
Di contro il contribuente nel ricorso non impugna la statuizione della sentenza laddove si afferma che egli “si e’ limitato ad affermare che le differenze tra le somme versategli e quelle fatturate sarebbero da imputare a spese anticipate per i clienti, senza argomentare alcunche’ sulla circostanza che le somme imputate ad onorario risultano sempre molto inferiori alle presunte spese e senza fornire alcun elemento probatorio al riguardo”. Quanto poi all’efficacia di prova presuntiva delle dichiarazioni dei terzi anche se prive di riscontri esterni, si richiama quanto gia’ argomentato sul punto nella disamina del primo motivo.
6. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a favore dell’agenzia controricorrente; nessun’altra statuizione in punto di spese va adottata, non avendo l’intimato ministero svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.

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