Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 25 gennaio 2017, n.3831

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’espressione “mezzi di sussistenza” di cui all’art. 570, 2 co., n. 2, esprime un concetto diverso dall’”assegno di mantenimento” stabilito dal giudice civile, essendo in materia penale rilevante solo ciò che è necessario per la sopravvivenza del familiare dell’obbligato nel momento storico in cui il fatto avviene. L’ipotesi aggravata non ha carattere meramente sanzionatorio dell’obbligo civile, occorrendo perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA 25 gennaio 2017, n.3831 

Ritenuto in fatto

La Corte d’appello di Genova ha, con la sentenza impugnata, confermato il giudizio di responsabilità formulato dal giudice di prima cura a carico di D.G.M.A. per i reati di cui agli artt. 612/bis e 570 cod. pen. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha, su appello dell’imputato, limitato temporalmente la penale responsabilità dello stesso – quanto al reato di cui all’art. 570 cod. pen. – ritenuto commesso solo fino al luglio 2013, e ridotto la pena a lui irrogata.

Secondo quanto si legge in sentenza l’imputato, separato dalla moglie (G.I. ) fin dal 2002, tenne costantemente verso di lei un atteggiamento aggressivo e prevaricatore, generato dalla gelosia e dalla pretesa di impedirle l’allaccio di nuovi rapporti sentimentali, oltre che dal malanimo nutrito verso di lei. Per questo la tempestò di SMS e telefonate, la ingiuriò e minacciò ripetutamente, operò numerose incursioni nei luoghi da quella frequentati e tenne ‘comportamenti controllanti’. Inoltre, fino al luglio del 2013 fece mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore e alla moglie separata, omettendo il versamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal Giudice.

Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l’imputato con tre motivi.

2.1. Col primo lamenta l’errata applicazione dell’art. 612/bis cod. pen., derivante dal fatto che – a suo giudizio – è stata attribuita una immeritata credibilità alla persona offesa e agli altri testi dell’accusa (la madre e la sorella della persona offesa e tre colleghi di lavoro della stessa) e sono state inopinatamente svalutate le dichiarazioni rese dai testi della difesa (la madre dell’imputato; i terzi estranei P.D. e C.M. ), i quali avrebbero parlato di rapporti ‘normali’ intrattenuti dall’imputato e dalla persona offesa almeno fino al 2011, sebbene separati, nonché del fatto che avevano avuto, dopo la separazione, momenti di riconciliazione (fatto riferito, oltre che dall’imputato, dalla di lui madre). I giudici avrebbero, inoltre, omesso ogni valutazione della documentazione prodotta dall’imputato, dalla quale emergerebbe che i contrasti tra i due erano originati dalla pretesa della donna di allontanare il padre dal figlio, fino al punto che si era rivolta al giudice civile chiedendo l’affidamento esclusivo del figlio e la sospensione degli incontri settimanali tra figlio e genitore.

2.2. Col secondo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 570 cod. pen. derivante dal fatto che non sono state tenute in considerazione le condizioni personali dell’imputato, malandato in salute e disoccupato dal 2005, tant’è che ha dovuto chiedere ospitalità alla madre e alla sorella, con le quali convive. Inoltre, non è stata tenuta ín cale la documentazione prodotta, la quale dimostrerebbe che l’inadempimento riguarda un mese del 2010, quattro mesi del 2011 e otto mesi del 2012: vale a dire, un periodo in cui non gli è stato possibile trovare alcuna occupazione lavorativa, nemmeno in nero.

2.3. Col terzo lamenta l’immotivato diniego della sospensione condizionale della pena.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato.

Il primo motivo è inammissibile, perché proposto fuori dei casi consentita dalla legge. Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – col richiamo delle testimonianze assunte nel procedimento – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal ricorrente, benché inscenati sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicché, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. Al riguardo, mette solo conto evidenziare che la testimonianza della persona offesa è stata adeguatamente vagliata, rilevandone le caratteristiche di congruenza e linearità, oltre al fatto che risulta adeguatamente riscontrata non solo da quelle della madre, ma anche da quelle delle compagne di lavoro, che ebbero modo di ascoltare in viva voce le telefonate concitate dell’imputato, ovvero di leggere i messaggi – ingiuriosi e sprezzanti – diretti alla ex-moglie; come mette conto evidenziare che nemmeno i testi a difesa – cui ha fatto riferimento il ricorrente e le cui dichiarazioni sono state riportate in ricorso – hanno riferito circostanze realmente eversive del ragionamento sviluppato dal giudicante, essendosi limitati a parlare di rapporti apparentemente normali tenuti dai due fino al 2011: fatto che, data la limitatezza della visuale propria dei testi suddetti, non intacca gli argomenti addotti a sostegno della tesi fatta proprio da entrambi i giudici di merito.

È fondato, invece, il secondo motivo di ricorso. A D.G. è contestato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore e alla moglie separata, omettendo il versamento dell’assegno divorzile, fissato in Euro 350 mensili. Orbene, occorre al riguardo considerare che:

a) la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro, in quanto le condotte incriminate dal 2 co. tutelano, accanto all’unità familiare, anche specifici interessi economici dei singoli (nello specifico, la loro sopravvivenza economica: C., S.U., 20.12.2007, n. 8413);

b) in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’espressione ‘mezzi di sussistenza’ di cui all’art. 570, 2 co., n. 2, esprime un concetto diverso dall’’assegno di mantenimento’ stabilito dal giudice civile, essendo in materia penale rilevante solo ciò che è necessario per la sopravvivenza del familiare dell’obbligato nel momento storico in cui il fatto avviene (C., Sez. VI, 21.10.2015 – 8.1.2016, n. 535; C., Sez. VI, 10.1.2011; C., Sez. VI, 13.11.2008; C., Sez. VI, 6.7.2005, n. 36593; C., Sez. VI, 11.7.2001);

c) in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’ipotesi aggravata consistente nel far mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, non ha carattere meramente sanzionatorio dell’obbligo civile derivante dalla sentenza di separazione, occorre perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato. In tal caso infatti la indisponibilità di mezzi, se accertata e verificatasi incolpevolmente, esclude il reato in parola, valendo come esimente, purché si tratti di una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Cass., n. 33997 del 24/6/2015).

Alla stregua di tanto non è appagante la sentenza impugnata, che ha ravvisato la ‘colpa’ dell’imputato nell’aver omesso il versamento dell’assegno divorzile, senza interrogarsi sugli effetti della condotta (il venir meno dei ‘mezzi di sussistenza sia alla moglie che al figlio minore, tenuto conto del fatto che la moglie separata, come è stato accertato, lavorava e guadagnava Euro 1.500 mensili) e senza tener conto della concreta capacità patrimoniale dell’imputato, che, come pure è riconosciuto dalla Corte d’appello, aveva perso il lavoro già nel 2005 ed era stato costretto a ricorrere all’ospitalità della madre, che l’aveva accolto in casa. Non serve, quindi, affermare che l’imputato aveva svolto ‘diverse, seppur saltuarie e interrotte, attività di lavoro’, laddove il giudice di primo grado aveva evidenziato che D.G. aveva lavorato per poco più di due mesi nel 2009, per un mese nel 2010, per 29 giorni nel 2012 e non aveva mai lavorato nel 2011; infine, che il CUD del 2013 attestava un reddito di appena 1.231 Euro. Né è corretto imputare a D.G. di non aver provato, ‘a prescindere dallo stato di disoccupazione’, la ‘totale impossibilità di adempiere’, posto che, in osservanza dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, all’imputato competeva un onere di allegazione, mentre era compito della pubblica accusa dimostrare che egli aveva, invece, la ‘concreta possibilità di adempiere’, e pur tuttavia a quell’obbligo si era volontariamente sottratto.

Assorbito il terzo motivo di doglianza, la sentenza va, pertanto, annullata sul punto con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 570 cod. pen. con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Genova. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso

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