Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 5 gennaio 2017, n. 523

Il giudice non può condannare i privati per concorso in atto pubblico in relazione al reato di concussione, commesso dal pubblico ufficiale, senza la prova che abbiano istigato o rafforzato il proposito di stilare il falso verbale con il quale si attestava di aver eseguito in dogana controlli di merce con la procedura semplificata, in realtà mai fatti

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 5 gennaio 2017, n. 523

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antoni – Presidente

Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 02/04/2015 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udito in PUBBLICA UDIENZA del 27/06/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZULLO ROSA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. BIRRITTERI LUIGI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per l’imputata (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), che ha illustrato i motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;

udito per l’imputato (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), che ha illustrato i motivi di ricorso chiedendo l’annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata;

udito per gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avv.to (OMISSIS) che ha illustrato i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 2.4.2015 la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Treviso del 23.04.2014, impugnata dal Procuratore della Repubblica di Treviso, ha dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili del reato loro ascritto e, riconosciute a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche valutate prevalenti sulla contestata aggravante, li ha condannati alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno.

1.1. Agli imputati e’ stato ascritto il reato di cui agli articoli 110 e 479 c.p., perche’, previo concerto ed in accordo con i funzionari doganali in servizio presso l’ufficio Area Verifica e Controlli della Dogana di (OMISSIS) ( (OMISSIS) od, in alternativa, (OMISSIS), come risultanti dai singoli atti compiuti e riassuntivamente riportati nella attivita’ di investigazione svolta dai Carabinieri, entrambi pubblici ufficiali), (OMISSIS) e (OMISSIS) nella qualita’ di delegati della ditta (OMISSIS), rappresentante in dogana della (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) nella qualita’ di procuratrice doganale della (OMISSIS) e (OMISSIS) nella qualita’ di spedizioniere doganale per la (OMISSIS) s.p.a., sottoscrivevano falsi verbali da cui risultavano compiuti controlli di merce in procedura semplificata, ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 13, comma 3, e articolo 15, comma 3, laddove in realta’ nessun controllo era stato effettuato; (OMISSIS) e (OMISSIS), i due funzionari in servizio presso la dogana di (OMISSIS), Ufficio Area Verifica e Controlli, sono stati giudicati separatamente e condannati, con applicazione della pena su richiesta, per i reati di concussione, falsita’ in atti pubblici e truffa aggravata, per avere indotto alcuni spedizionieri incaricati di diverse ditte soggette a controlli a redigere una falsa documentazione relativa a verifiche non compiute ed a fornire vantaggi vari, come pranzi e trasferte in auto.

1.2. Ha rilevato la Corte territoriale che l’analisi del traffico telefonico riguardante le utenze e la localizzazione della posizione dell’utente, di volta in volta consentivano di stabilire con certezza che i due funzionari non potevano avere effettuato i controlli che erano stati verbalizzati nei singoli casi individuati, perche’ i loro movimenti non avrebbero consentito agli stessi di trovarsi presso le aziende per i controlli nei giorni e negli orari indicati; in tale contesto, la motivazione del primo giudice – che ha escluso la coscienza e volonta’ del reato perche’ gli imputati “erano costretti ad operare in tal modo” – non si presenta condivisibile perche’ fa appello ad una situazione di forza maggiore, che, non solo non e’ sussistente, ma neppure puo’ escludere l’elemento soggettivo.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, tutti gli imputati.

2.1. (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso affidato a due motivi, lamentano:

– con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), circa l’elemento psicologico del reato, in relazione al concorso ex articolo 110 c.p. nel falso del P.U., atteso che la sentenza impugnata, in riforma di quella di assoluzione del Tribunale di Treviso, con una motivazione stringata, mancante e/o apparente, non ha tenuto conto dei principi affermati dalla S.C., secondo cui in materia di falso ideologico in atto pubblico, anche quando l’atto sia solo del pubblico ufficiale, della falsa attestazione rispondono a titolo di concorso coloro che abbiano agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto, sia istigando il pubblico ufficiale, o rafforzandone il proposito delittuoso; in particolare, la Corte territoriale ha ignorato l’intera istruttoria incentrata quasi esclusivamente sul “dolo” del “concorso” degli imputati concussi, che non avevano posto in essere contributi agevolatori/rafforzatori nelle possibili diverse fasi di ideazione, od esecuzione dell’altrui proposito, cadendo in una erronea applicazione della norma penale, nonche’ in una mancanza di motivazione, avendo ignorato de plano le risultanze probatorie acquisite e decisive omettendo di motivare sul punto; la sentenza impugnata incorrendo in evidente vizio motivazionale, oltre a non aver motivato sul dolo, non ha neppure preso in considerazione le memorie depositate dagli imputati, con le quali si deduceva l’irrilevanza della sottoscrizione dello spedizioniere nel verbale;

– con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione del concorso ex articolo 110 c.p. nel falso del P.U., in relazione al fatto concussivo ex articolo 317 c.p., essendo, invece, nel caso di specie, gli imputati vittime della concussione posta in essere dai p.u., sicche’ deve escludersi la volonta’ degli stessi, liberamente determinatasi, in applicazione dei principi affermati dalla pronuncia n. 9529/2009;

2.2. La (OMISSIS), con ricorso affidato a quattro motivi, lamenta:

– con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione degli articoli 110-479 c.p.p., atteso che correttamente il primo giudice, nell’applicare i principi espressi dalla S.C., ha escluso la sussistenza in capo agli imputati dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 479 c.p., applicando la giurisprudenza della Suprema Corte in materia di concorso del privato nel reato di falso ideologico in atto pubblico; inoltre, il primo giudice, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, aveva valorizzato una pronuncia che faceva riferimento proprio al concorso ex articolo 110 c.p. del privato nel reato di cui all’articolo 479 c.p.;

– con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) e l’inosservanza degli articoli 522 e 604 c.p.p., con violazione della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo; la Corte d’Appello, oltre a riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado, e’ giunta a ritenere integrata l’ipotesi aggravata di cui all’articolo 479 c.p., comma 2, nonostante tale circostanza non risultasse minimamente contestata nel capo d’imputazione, ritenendo trattarsi di atti pubblici fidefacenti; emerge, dunque, la violazione della legge processuale operata dalla Corte d’Appello di Venezia, in quanto, la stessa, ove sussistente un’aggravante non contestata nel capo di imputazione, avrebbe dovuto annullare la sentenza di primo grado e ordinare la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per la modifica dell’imputazione; nel caso di specie, nel capo di imputazione, oltre a non essere contestato l’articolo 476 c.p., comma 2, non vi e’ alcun tipo di riferimento alla natura del verbale;

– con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), atteso che la motivazione a sostegno della sentenza impugnata appare palesemente contrastante con gli atti del processo, che, invece, conducono a risultati totalmente opposti rispetto a quelli riassunti dalla Corte territoriale, che ha utilizzato nella motivazione argomentazioni che contraddicono e stravolgono palesemente le risultanze probatorie (cfr. 8 della sentenza), specie a fronte del fatto che i giudici d’appello non hanno speso una sola parola per confutare gli esiti dell’istruttoria, o quantomeno, spiegare le ragioni della ritenuta inattendibilita’ delle emergenze processuali;

– con il quarto motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per insufficienza ed illogicita’ della motivazione, atteso che la motivazione della sentenza impugnata, oltre che viziata, si presenta del tutto insufficiente ed inidonea a riformare la sentenza assolutoria del primo grado, in quanto, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass. pen., Sez. Un. Sent. n. 33748/2005), con la cd. “motivazione rafforzata”; orbene, quanto all’elemento oggettivo del reato, la sentenza impugnata non ha dato sufficiente peso alla problematica inerente l’apporto causale del privato nel reato proprio di cui all’articolo 479 c.p.; invero, tanto nel processo di primo grado, quanto nella memoria depositata in appello, l’assenza di disposizioni normative che impongano la sottoscrizione del privato ai fini della validita’ della procedura di accertamento sommario Decreto Legislativo n. 374 del 1990, ex articolo 13, comma 3 o articolo 15, comma 3 e’ il primo criterio alla luce del quale valutare se l’azione posta in essere possa ritenersi eziologicamente efficiente rispetto alla perpetrazione del reato, sicche’ non essendo la firma del privato condizione richiesta per legge ed essendo, quindi, irrilevante ai fini dell’ottenimento dei rimborsi, occorreva considerare che se la (OMISSIS) non avesse redatto il verbale, il (OMISSIS) vi avrebbe, comunque, provveduto; quanto all’elemento soggettivo, a fronte di una esauriente e persuasiva motivazione, con la quale il Tribunale di Treviso ha ritenuto l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la Corte con una motivazione erronea in diritto ha in poche righe operato il ribaltamento della decisione, in violazione dei principi espressi in proposito dalla S.C.;

2.3. Il (OMISSIS), con ricorso affidato a tre motivi, lamenta:

– con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione degli articoli 110-479 c.p., atteso che la motivazione assolutoria del primo giudice risulta immune da vizi, essendo fondata, in sostanza, su quanto evidenziato con la sentenza n. 23176/2004, che si riferisce espressamente alle ipotesi di concorso di cui all’articolo 110 c.p..

– con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non avendo la Corte territoriale dato compiutamente conto delle ragioni del ribaltamento, anche con riguardo specifico agli orari interessati al controllo, che si fondano su dati incerti;

– con il terzo motivo, l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) per violazione degli articoli 522 e 604 c.p.p. atteso che nel riformare in peius la sentenza assolutoria resa in primo grado, la Corte territoriale ha violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, pronunciando una sentenza di condanna per l’ipotesi aggravata di cui all’articolo 479 c.p., comma 2 (cosi’ si legge nella motivazione della sentenza impugnata), nonostante l’originario capo di imputazione non facesse alcun riferimento alla relativa circostanza aggravante (ossia alla natura fidefacente dell’atto asseritamente falso); i giudici del gravame, infatti, avrebbero dovuto annullare la sentenza di primo grado, ordinando la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per la conseguente modifica dell’imputazione, che avrebbe permesso all’imputato di difendersi sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono fondati per quanto di ragione.

1. Tutti gli imputati pongono con i rispettivi ricorsi la questione preliminare dell’erronea motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato di concorso nel falso ideologico – commesso dai pubblici ufficiali, (OMISSIS) e (OMISSIS), nei verbali rispettivamente compiuti in procedura semplificata, ai sensi del Decreto Legislativo n. 374 del 1990, articolo 13, comma 3 o articolo 15, comma 3 – ed alla violazione della regola della cd. “motivazione rafforzata” nel caso di ribaltamento della decisione.

2. Tali doglianze sono condivisibili nei limiti di cui si dira’. Il primo giudice aveva escluso l’elemento psicologico del reato in contestazione, richiamando gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, secondo i quali anche nel caso di atto proprio del p.u. il privato concorre nel reato posto in essere da costui in presenza di tre elementi alternativi o comunque concorrenti: 1) il perseguimento del medesimo fine del P.U.; 2) l’istigazione del P.U. a dichiarare il falso; 3) il rafforzamento del proposito delittuoso del P.U. (gia’ presente ed esternato da questi) di commettere il falso, laddove dall’esame di quanto emerso in sede di istruttoria, nessuno dei tre elementi era da ritenersi effettivamente integrato nelle condotte degli odierni imputati. In particolare, il primo giudice aveva illustrato compiutamente le ragioni per le quali era da escludere la sussistenza della “istigazione”, da parte dei dipendenti delle ditte interessate, dei Pubblici Ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS) a formare i falsi verbali di verifica ispettiva oggetto delle imputazioni, essendo gli stessi funzionari dell’Ufficio Doganale ad indurre, se non a costringere, gli impiegati a controfirmare i verbali, pur nella consapevolezza di questi che il controllo non era avvenuto, prospettando un ritardo nella esecuzione delle operazioni di sdoganamento (di cui i dipendenti – e non certo i funzionari – avrebbero poi dovuto rispondere al datore di lavoro) a fronte dell’interesse, invece, affinche’ il controllo avvenisse rapidamente (ma regolarmente). Neppure riteneva il primo giudice sussistente il presupposto del “rafforzamento del proposito delittuoso del PU.”, anche in considerazione del fatto che la tesi della accusa, sulla sussistenza del concorso, si incentrava fondamentalmente solo sul fatto che i falsi verbali, senza la controfirma degli impiegati, non potevano essere compilati e quindi i funzionari dell’Ufficio doganale avrebbero avuto la necessita’ della loro collaborazione, senza la quale non avrebbero potuto agire in quel modo.

3. A fronte di tali argomentazioni, la Corte territoriale ha operato il ribaltamento della sentenza del primo giudice, mettendo in risalto, da un lato, come essa abbia fatto appello ad una situazione di forza maggiore – che non solo non e’ sussistente, ma neppure puo’ escludere l’elemento soggettivo – e dall’altro come abbia impropriamente richiamato l’articolo 117 c.p..

4. In tale contesto, risulta agevole rilevare, dal mero confronto delle motivazioni delle due sentenze di merito, come i giudici di appello non si siano confrontati, nell’emettere la decisione impugnata, con l’ampio ed articolato iter argomentativo del primo giudice, incentrando l’attenzione su aspetti della decisione oggetto di gravame, estrapolati da un contesto molto piu’ ampio, o comunque, poco significativi. Tale e’, infatti, il caso del richiamo, contenuto nella sentenza del primo giudice, all’articolo 117 c.p., ritenuto inconferente, laddove tale richiamo non risulta nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice particolarmente significativo, posto che e’ stato evocato nel contesto di plurime sentenze di legittimita’, tra cui quella – senz’altro conferente al caso di specie – n. 23176 del 20/01/2004, secondo cui il privato ben puo’ essere chiamato a rispondere con il pubblico ufficiale, ai sensi dell’articolo 110 c.p., del reato proprio da costui commesso (cfr., Cass. 9 febbraio 1999, n. 3552, RV. 213364; Sez. 1, n. 23176 del 20/01/2004) e, specificamente, concorre nel delitto di falso ideologico in atto pubblico, proprio del pubblico ufficiale, il privato che abbia agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto, sia istigando il pubblico ufficiale o rafforzandone il proposito delittuoso.

5. La sentenza di appello, di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza di essa, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679), dimostrando puntualmente l’insostenibilita’ sul piano logico e giuridico degli argomenti piu’ rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve, quindi, corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005; Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Rv. 257332). Ed in tal senso, non puo’, dunque, ritenersi assolto tale obbligo ove la sentenza d’appello si limiti a sostituire la propria valutazione a quella coltivata dal giudice di primo grado ritenendola preferibile (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005). Inoltre, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, non puo’ limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte.

7. In base a tali principi deve, quindi, concludersi che la sentenza impugnata non essendosi attenuta a tale protocollo valutativo deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Venezia per nuovo esame.

8. Restano assorbiti in tale valutazione ovviamente gli ulteriori motivi di ricorso proposti dai ricorrenti, ivi compreso quello relativo al riconoscimento dell’aggravante di cui all’articolo 476 c.p., comma 2.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte

d’appello di Venezia per nuovo esame

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