Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 6 luglio 2017, n. 32960

I momenti di ravvicinamento con il persecutore non escludono lo stalking

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 6 luglio 2017, n. 32960

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Anton – Presidente

Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere

Dott. SABEONE Gerardo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 25/01/2016 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2016, la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DI LEO Giovanni, che ha concluso per l’annullamento con rinvio in accoglimento del terzo motivo di ricorso ed il rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25.1.2016 la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza del locale Tribunale del 18.10.2013 assolveva (OMISSIS) dal reato di cui al capo A) in danno di (OMISSIS), perche’ il fatto non sussiste, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo C) (lesioni commesse il (OMISSIS)) per essere il medesimo fatto gia’ giudicato con sentenza irrevocabile e confermava la sentenza per i residui reati di atti persecutori nei confronti di (OMISSIS) (con la quale l’imputato aveva avuto una relazione sentimentale interrotta nel (OMISSIS)), lesioni, molestie e danneggiamento, per l’effetto, rideterminando la pena in ordine a tali residui reati, in mesi 10 e giorni 20 di reclusione.

2. Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, con i quali lamenta:

– con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’articolo 612 bis c.p., (capo A di imputazione); invero, la Corte territoriale dopo aver elencato i vari episodi espressione delle condotte persecutorie del (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) ha ritenuto che tali situazioni avessero determinato forte stress ed ansia per la denunciante che, viveva nel terrore di incontrare l’imputato, mettendo in pratica le minacce di morte nei confronti dei familiari; le condotte poste in essere dall’imputato, tuttavia, dovrebbero essere suddivise in due momenti diversi: quelle avvenute prima dell’estate del 2012 e quelle dopo il settembre 2012, laddove quelle relative al primo periodo non hanno comportato quale evento giuridico quella condizione di stress, tensione, paura propria del reato di stalking, atteso che se la p.o. avesse subito dalle condotte del (OMISSIS) un effetto destabilizzante nel suo equilibrio psicologico, di certo non avrebbe cercato di ricucire il rapporto con il suo persecutore; l’esclusione della rilevanza penale per quanto riguarda il primo periodo, sino al settembre del 2012 comporta una necessaria rivalutazione della pena inflitta, in quanto la condotta che puo’ essere presa in considerazione ha una durata temporale inferiore e, quindi, una minore gravita’;

– con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606, primo comma, lettera e) c.p.p. per quanto concerne il reato di cui all’articolo 582 c.p., (capo B); invero la Corte d’Appello ha ravvisato la penale responsabilita’ dell’imputato anche ordine alla condotta di reato di cui al capo b) per aver colpito la (OMISSIS) con una manata all’addome, cagionandole lesioni giudicate guaribili in sette giorni, ma, per la concitazione del momento e la tipologia della lesione denunciata, e’ ben possibile che la condotta lesiva contestata, stante la rapidita’ di esecuzione, non sia stata distintamente percepita dai militari e conseguentemente, la circostanza che gli operanti ne abbiano dato atto non significa necessariamente che quanto denunciato corrisponda a verita’, ne’ che lo sia la versione data dalla persona offesa;

– con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, per violazione del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 52 e ss., in riferimento all’applicazione della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, per il reato di cui all’articolo 582 c.p., atteso che la Corte d’Appello per il fatto di cui al capo B) ha applicato, in continuazione, un mese di reclusione, nonostante il reato contestato preveda solamente una pena pecuniaria, essendo di competenza del Giudice di Pace ai sensi del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 52, comma 2, lettera c.);

– con il quarto motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), dell’articolo 606 c.p.p., in riferimento all’articolo 660 c.p. atteso che con riguardo a tale reato, viene semplicemente fatto richiamo alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), il quale, in sede di sommarie informazioni, aveva evidenziato la ricezione nel periodo 21 giugno al 27 giugno di telefonate e sms da parte dell’imputato; tuttavia la condotta contestata ha avuto una durata di appena sei giorni e, quindi, non puo’ aver provocato una reale molestia alla persona offesa dal reato; l’imputato tuttavia non era il solo a fare frequenti telefonate;

– con il quinto motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), dell’articolo 606 c.p.p., in riferimento all’articolo 635 c.p., comma 2, atteso che aldila’ dell’effettiva realizzazione della condotta di danneggiamento, in ogni caso, non sussiste l’aggravante contestata, essendo stata trovata l’autovettura parcheggiata in una proprieta’ privata e, quindi, sottoposta ad una particolare tutela; la condotta di danneggiamento non aggravato, invero, non e’ piu’ prevista dall’Ordinamento quale reato e, pertanto, doveva essere dichiarato il non doversi procedere in ordine al reato in questione, per essere lo stesso non piu’ previsto dalla legge come reato;

– con il sesto motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dell’articolo 606 c.p.p., per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, pur avendo il ricorrente con l’appello evidenziato di provenire da un difficile contesto familiare, che la condotta di reato dipendeva dalla forte conflittualita’ con la famiglia della persona offesa e che lo stesso e’ stato colpito nel marzo 2013 da ictus che ha comportato una invalidita’ del 75%, fatti questi che avrebbero dovuto portare alla concessione delle invocate attenuanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.

1. Il primo motivo di ricorso – con il quale l’imputato deduce l’irrilevanza penale delle condotte poste in essere prima dell’estate del 2012 e la conseguente necessaria rivalutazione della pena inflitta, dovendo essere considerata una durata della condotta inferiore a quella ascrittagli – e’ manifestamente infondato. Ed invero, il ricorrente ripropone in questa sede analogo tema dedotto in appello, senza confrontarsi con quanto evidenziato dalla Corte territoriale che ha decritto le condotte dell’imputato minacciose (anche a mezzo di sms e telefonate), violente (anche a mezzo di aggressioni verbali e materiali alla p.o. e ai suoi beni), nonche’ moleste nei confronti della ex convivente (OMISSIS), desumibili dalle attendibili dichiarazioni di quest’ultima e di quanto caduto in gran parte nella diretta percezione della P.G.. Tali comportamenti, secondo quanto denunciato dalla p.o. e secondo quanto ragionevolmente desumibile dalle modalita’ ed entita’ di essi, hanno determinato nella p.o. un forte stress e stato d’ansia, integrando essi in se’ e unitamente ai successivi il delitto di atti persecutori ascritto all’imputato.

1.1. A fronte della congrua ed esauriente motivazione della sentenza impugnata, l’imputato si e’ limitato a dedurre il riavvicinamento della p.o. all’imputato nell’estate del 2012, laddove sul punto e’ sufficiente richiamare i principi piu’ volte affermati da questa Corte, secondo cui i momenti di riavvicinamento non possono escludere la configurabilita’ di comportamenti persecutori nell’ambito delle relazioni di coppia, caratterizzate dall’indecisione e dall’ambiguita’ di comportamenti della persona offesa – interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale col suo persecutore – che, poi, rendendosi conto del vicolo stretto in cui si e’ cacciata, matura, non importa per quale motivo (per la violenza dell’uomo o per la sterilita’ del loro rapporto, ma certamente con la sofferenza testimoniata dall’indecisione), la risoluzione di interrompere la relazione (Sez. 5, 25/10/2013 n. 46446).

Lo scopo della norma dell’articolo 612 bis c.p., infatti, e’ quello di tutelare la persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalita’, cosicche’ atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla liberta’ di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumita’, integrano la fattispecie criminosa contestata. Tanto deve affermarsi anche nel caso che gli atti persecutori siano favoriti dall’atteggiamento equivoco della vittima, che, pur quando e’ avviluppata in un coacervo di pensieri e di sentimenti (talvolta indotti dallo stesso persecutore), ha diritto alla tutela apprestata dalla norma, giacche’ il rispetto della personalita’ individuale e della liberta’ morale della persona esigono che “l’altro” non approfitti della debolezza caratteriale, o degli stati di momentaneo o perdurante disorientamento cognitivo o affettivo, per indurre nella vittima, con metodi assillanti e violenti, stati di ansia e di timore funzionali al conseguimento dei suoi obiettivi (Sez. V, n. 46446 del 25/10/2013).

2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale l’imputato sostiene l’insufficienza delle fonti di prova a suo carico per il delitto di lesioni di cui al capo b), essendo ben possibile che la condotta lesiva contestata, attesa la rapidita’ di esecuzione, non sia stata distintamente percepita dai militari, ne’ che sia credibile la versione data dalla persona offesa (OMISSIS). Sul punto, si osserva che, a prescindere dalla genericita’ delle deduzioni effettuate, la Corte preliminarmente rileva che con il primo motivo di ricorso, si tende a sottoporre al giudizio di legittimita’ aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo il costante orientamento di questa Corte, e’ invero inammissibile il ricorso che si fondi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), riguardanti la motivazione dei giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153).

3. Infondato si presenta il terzo motivo di ricorso, con il quale l’imputato censura l’applicazione della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, per il reato di cui all’articolo 582 c.p., in continuazione con il reato di cui al capo b), in violazione del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 52, comma 2, lettera c.). Invero, la Corte territoriale ha fatto in proposito corretta applicazione dei principi, secondo cui, la continuazione, quale istituto di carattere generale, e’ applicabile in ogni caso in cui piu’ reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa (Sez. 5, n. 35999 del 17/03/2015, Rv. 265002) sicche’ e’ corretto il riconoscimento della continuazione tra delitto punito con la pena della reclusione e reato contemplante la pena della multa o dell’ammenda, con conseguente determinazione della pena complessiva mediante aumento dell’entita’ della reclusione.

4. Infondato si presenta, altresi’ ” quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente censura la idoneita’ di un arco temporale riconducibile al periodo 21 giugno al 27 giugno – nel quale sarebbero stati effettuate alla p.o. telefonate ed inviati sms da parte dell’imputato ad integrare il reato di cui all’articolo 660 c.p.. Sul punto e’ sufficiente rilevare che piu’ volte questa Corte ha evidenziato come integri il reato di molestie un numero elevato di contatti telefonici indesiderati, quantunque effettuati in un circoscritto arco temporale (Sez. 1, n. 20200 del 07/03/2013) cosi’ come l’invio di sms (Sez. 1, n. 10983 del 22/02/2011). Inoltre l’invio di messaggi SMS di contenuto ingiurioso integra la contravvenzione di molestie con il mezzo del telefono e non avendo il reato di molestia o disturbo alle persone natura di reato necessariamente abituale, puo’ essere realizzato anche con una sola azione (Sez. 6, n. 43439 del 23/11/2010) o mediante contatti telefonici per un arco temporale non ampio.

5. Va respinto, inoltre, il quinto motivo di ricorso riguardante l’insussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in relazione al reato di danneggiamento di cui al capo e), la cui elisione determina l’inconfigurabilita’ del reato all’esito dell’abrogatio di cui al Decreto Legislativo n. 7 del 20016, e della nuova formulazione dell’articolo 635 c.p..

In proposito, la motivazione della corte territoriale, che ha ritenuto ricompresa l’autovettura oggetto di danneggiamento tra le cose indicate nell’articolo 625 c.p., n. 7, non appare in alcun modo censurabile, avendo fatto corretta applicazione dei principi piu’ volte affermati da questa Corte, secondo cui integra l’ipotesi di cui al n. 7 dell’articolo 625 dell’esposizione alla pubblica fede della cosa la condotta di chi sottragga (o danneggi) un’autovettura parcheggiata in luogo privato liberamente accessibile, atteso che la natura, privata o pubblica, del luogo di esposizione del bene e’ irrilevante ai fini della configurabilita’ della citata aggravante (Sez. 4, n. 21285 del 08/05/2009). La Corte territoriale all’uopo ha dato atto dell’agevole accesso dell’imputato con la moto al luogo di cui si trovava l’auto dallo stesso danneggiata, cosi’ risultando pienamente integrata l’aggravante in questione.

6. Manifestamente infondato si presenta il sesto motivo di ricorso con il quale l’imputato contesta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Invero, la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato in ricorso, ha dato espressamente atto che gli elementi addotti per un piu’ mite trattamento sanzionatorio non si presentano meritevoli, a fronte della gravita’ dei fatti contestati e della pena irrogata dal primo giudice, congrua e proporzionata in relazione all’entita’ degli addebiti.

Tale ragionamento, non illogico, non merita censura alla luce di quanto piu’ volte evidenziato da questa Corte, secondo cui le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ a delinquere dello stesso, sicche’ il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Cassazione penale, sez. 3, 27/01/2012, n. 19639), che nella fattispecie, all’evidenza, non sono stati addotti. Peraltro, la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalita’ del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737).

7. Il ricorso va, dunque, respinto e l’imputato va condannato al pagamento delle spese processuali.

Non vanno liquidate le spese in favore delle parti civili, avendo le stesse fatto pervenire a mezzo fax solo conclusioni corredate da nota spese senza una concreta attivita’ difensiva. In ogni caso, questa Corte ha evidenziato come nel giudizio di legittimita’ l’imputato soccombente vada condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile a condizione che questa sia intervenuta all’udienza di discussione (Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016 e Sez. 2, n. 52800 del 25/11/2016).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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