GIORNALI

La massima

In tema di diffamazione a seguito di pubblicazione di una intervista, va esclusa la responsabilità del giornalista quando un personaggio, che occupa una posizione di alto rilievo nell’ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica, culturale, rilasci dichiarazioni, pure in sè diffamatorie, nei confronti di altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti sopra indicati. In tal caso è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V

SENTENZA 2 luglio 2013, n. 28502

Ritenuto in fatto

Con sentenza dei Tribunale di Perugia del 16 aprile 2008 gli imputati erano condednnati alla pena di giustizia per diffamazione a mezzo stampa in danno del presidente e dei membri dei comitato provinciale della Croce Rossa Italiana in relazione agli articoli del 24 aprile 2002 (intitolato “C.R.I., tre se ne vanno via”), 25 aprile 2002 (intitolato “C.R.I., il vero problema è la presidenza”) e 19 maggio 2002 (intitolato “La C.R.I. ha denunciato i tre ispettori”). In particolare F.F. era ritenuto responsabile per l’omesso controllo, a norma dell’articolo 57 c.p., nella qualità di direttore responsabile de “La voce di Romagna” per tutti e tre gli articoli; G.M. quale redattrice dei primo articolo e P. E. quale relatore del terzo articolo.

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 13 aprile 2010, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati, ma confermava l’impugnata sentenza relativamente alle statuizioni civili.

Ricorrono per cassazione gli imputati, con unico ricorso del proprio difensore F.F., affidato a due motivi.

Con il primo motivo sono articolate quattro censure:

al) violazione dell’articolo 506 c.p.p., lettera 8, in relazione agli artt, 129 e 530 c.p.p,, perché la sentenza, in ossequio alla giurisprudenza formatasi in ordine all’art. 578 c.p.p. (Sez. Un. 35490/2009, ric. Tettamanti) avrebbe dovuto applicare la formula assolutoria nel merito, anche per contraddittorietà o insufficienza della prova, che prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;

a2) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera 6, in relazione agli artt. 51, 595, 596 bis c.p., poiché nel caso di specie ricorrevano i presupposti del legittimo esercizio del diritto di cronaca, quali la veridicità della notizia, l’interesse pubblico alla diffusione e la continenza delle espressioni utilizzate;

a3) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera E, in relazione alla carenza e/o manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento del giudizio di responsabilità penale del ricorrente, poiché la motivazione da una parte rilevava che l’opinione riportata negli articoli proveniva da fonte autorevole e notoria (i tre ispettori dimessisi), ma dall’altra In maniera del tutto apodittica, escludeva la sussistenza della scriminante, poiché i tre dimissionari si trovavano in una posizione di parità rispetto alle parti civili e non di supremazia, sicché i giornalisti avrebbero dovuto verificarne la verità. Viene richiamata la nota decisione di questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001, Galiero, Rv, 219651), secondo la quale “In tema di diffamazione a mezzo stampa, la condotta del giornalista che, pubblicando il testo di un’intervista, vi riporti, anche se “alla lettera”, dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite, Tuttavia, essa è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sè dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca, l’individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito che, se sorretta da adeguata e logica motivazione sfugge al sindacato di legittimità”.

a4) violazione dell’articolo 21 Cost. e 10 C.E.D.U., con riferimento al diritto della collettività a ricevere informazioni.

Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera B, in relazione agli artt. 43 comma 3, 57 e 595 c.p. e violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera E, in relazione alla carenza e/o manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento dei giudizio di responsabilità penale dei Fregni, direttore dei giornale, poiché la colpa, richiesta dall’art, 57 c.p., è presunta, essendone affermata la sussistenza dalla circostanza che all’omesso controllo è seguita la verificazione dei fatti diffamatori. Di fatto la responsabilità del direttore è fondata sola sulla qualifica apicale ricoperta.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento dei secondo.

1.1 Non è qui in discussione l’offensività dei tenore di articoli, quali quelli oggetto dei processo, in cui si presenti un soggetto, diventato presidente di un Comitato provinciale della Croce Rossa Italiana, come responsabile di un “totale sfacelo”, perchè promotore di “una gestione basata su interessi personali”. La difesa del ricorrenti e gli odierni motivi di ricorso si sono infatti dispiegati esclusivamente sulla operatività delle cause di giustificazione le quali, come anche una parte della dottrina riconosce, presuppongono l’accertamento di una o più condotte antigiuridiche quali sono risultate essere – senza doglianza al riguardo negli atti di gravame – quelle contestate agli imputati, a titolo di diffamazione e di omesso controllo.

Orbene, In tema di esimenti dei diritto di critica e di cronaca la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell’individuare i requisiti caratterizzanti nei requisiti dell’interesse sociale, della continenza dei linguaggio e della verità dei fatto narrato e in tale ottica ha evocato il parametro della attualità della notizia: nel senso cioè che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione è vista nell’interesse generale alla conoscenza dei fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, nel campo della formazione culturale e scientifica. Con riferimento al temer dell’intervista giornalistica, richiamato dai ricorrenti in quando in due degli articoli si faceva riferimento ad un comunicato stampa inviato dai tre ispettori dimissionari a più redazioni di giornale, si registra un importamte arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001, Galiero, Rv. 219651), con il quale è stato abbandonato l’indirizzo giurisprudenziale piuttosto rigoroso, fino a quel momento prevalente, secondo il quale la pubblicazione di un intervista, dal contenuto diffamatorio, rilasciato da un terzo ai giornalista, non solleva quest’ultimo dalla responsabilità per il delitto di diffamazione quando non siano stati rispettati i requisiti della verità, dell’interesse sociale della notizia e della continenza; si è infatti osservato che la casistica offre esempi eclatanti in cui uno dei tre requisiti suddetti, e cioè l’interesse sociale della notizia, può acquistare un’importanza tale da importare anche la prevalenza – nel controllo della sussistenza della scriminante del diritto di cronaca – sugli altri due,

Ciò può verificarsi – hanno osservato le Sezioni Unite – quando un personaggio, che occupa una posizione di alto rilievo nell’ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica, culturale, rilasci dichiarazioni, pure in sè diffamatorie, nei confronti di altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti sopra indicati. In tal caso è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate. Notizia che, se anche lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell’interesse della collettività all’informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall’art. 21 della Costituzione. Ciò perchè la notizia è costituita dal fatto in sé della dichiarazioni del personaggio altamente qualificato, risultando l’interesse del pubblico ad apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e dalla continenza dei linguaggio adottato, pretendere che il giornalista intervistatore controlli la verità storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa; pretendere che il pubblicista si astenga dal pubblicare l’intervista perché contenente espressioni offensive ai danni di altro personaggio noto, significherebbe comprimere il diritto-dovere di informare l’opinione pubblica su tale evento, non potendo, tra l’altro attribuirsi ai giornalista Il compito di purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive, sia perché gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete, sia perché la notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un personaggio noto all’indirizzo di altro personaggio noto, verrebbe ad essere svuotata del suo reale significato,

In casi del genere, allora, il problema che sì pone attiene alla qualificazione da dare al personaggio che rilascia l’intervista, ai fine di accertare se effettivamente trattasi di personaggio noto e affidabile, le cui dichiarazioni siano comunque meritevoli di essere pubblicate, poichè in caso di posizione di rilievo dell’intervistato vi è l’interesse della collettività ad essere informata del suo pensiero sull’argomento che forma oggetto dell’intervista medesima, e si potrà dunque ritenere operante la scriminante. Detta valutazione è ovviamente demandata al giudice del merito, ll quale dovrà tener conto, in primo luogo, dell’effettivo grado di rilevanza pubblica dell’evento dichiarazione, considerando poi – al fine di verificare se davvero il giornalista si sia limitato a riferire l’evento piuttosto che a divenire strumento della diffamazione – in quale contesto valutativo e descrittivo siano riportate le dichiarazioni altrui, quale sia la plausibilità e l’occasione di tali dichiarazioni, infine dovrà accertare, attraverso una puntuale interpretazione dell’articolo, se il giornalista abbia assunto una posizione imparziale, limitandosi a riportare alla lettera le dichiarazioni del soggetto intervistato, sempre però che il fatto “in sé” dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto dell’intervista presenti profili di interesse pubblico all’informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo; diversamente, in mancanza di tutte queste condizioni, il giornalista diventa un dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria e trova applicazione la normativa sul concorso delle persone nel reato di cui all’art. 110 c.p..

Orbene, applicando questi principi alla fattispecie concreta, emerge l’erronea applicazione dell’art. 51 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della scriminante. Da una parte, infatti, la sentenza riconosce che il contenuto dei primi due articoli fosse sostanzialmente corrispondente al testo del comunicato stampa e che “il contenuto

delle pubblicazioni risulta riportare una serie di giudizi formulati ai danni delle parti civili da persone che operavano nella C.R.I., e quindi senz’altro note ed autorevoli in tale contesto lavorativo”; dall’altra, però, esclude che possano applicarsi i principi della decisione delle Sezioni Unite Galiero, “perché gli articoli riportavano le opinioni espresse dai tre dimissionari, che si trovavano su un piano paritario rispetto a quello su cui si muovevano le parti civili”.

La motivazione riprende analoga affermazione della decisione di primo grado, che parimenti esclude la scriminante, “dovendosi invece ravvisare una posizione almeno paritaria tra dichiaranti e soggetti lesi dalle dichiarazioni, tale per cui sarebbe stato onere del giornalista svolgere un’attenta verifica sia sul fatto siasul linguaggio usato”.

In tal modo la decisione ha introdotto un ulteriore elemento (la posizione sovraordinata dell’intervistato) del tutto illogico, poiché invece proprio la paritaria posizione delle parti interessate rileva ai fini dell’interesse pubblico all’informazione, In altri termini, anche la notorietà della persona offesa, al pari di quella del dichiarante, è posta a fondamento del diritto-dovere di informare l’opinione pubblica sul contenuto delle dichiarazioni offensive.

Poiché la decisione della Corte di appello di Perugia, in punto di fatto, riconosce la sussistenza dei presupposti della scriminante, individuati nell’importanza per la comunità locale delle dichiarazioni riportate negli articoli di stampa e nella corrispondenza dei testo degli articoli di stampa con il comunicato emesso dai tre ispettori dimissionari, è possibile per questa Corte, a norma dell’art. 620 lettera L c.p.p., procedere ad annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché i fatti addebitati non costituiscono reato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché i fatti addebitati non costituiscono reato.

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