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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 2 luglio 2015, n. 28199


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria – Presidente

Dott. BEVERE Antonio – Consigliere

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 4/2013 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 29/11/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

lette le conclusioni del PG Dott. CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

esaminata la memoria depositata nell’interesse dei ricorrenti.

RITENUTO IN FATTO

1. Decidendo a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla sentenza n. 35634 del 2013 della 1 sezione di questa Corte, la Corte d’appello di Reggio Calabria, con provvedimento del 29/11/2013, ha liquidato i compensi spettanti all’avv. (OMISSIS) e ai dott. (OMISSIS) e (OMISSIS), nominati custodi/amministratori nella procedura di prevenzione n. 2/2008. La Corte d’appello, prendendo atto delle indicazioni della sentenza di annullamento con rinvio, quanto alla necessita’ di applicare le tariffe professionali degli avvocati (nella specie, quelle di cui al Decreto Ministeriale Giustizia 8 aprile 2004, n. 127), con riguardo al (OMISSIS), e dei dottori commercialisti (nella specie, quelle di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 1994, n. 645), con riguardo al (OMISSIS) e al (OMISSIS), ha rilevato: a) che, alla luce dei criteri di cui alla Legge n. 575 del 1965, articolo 2-octies, lettera a), b), c) e d) al Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 3, comma 4, e al Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 1, comma 2 i compensi dovevano essere fissati intorno al minimo, in quanto l’attivita’ svolta dai ricorrenti si era sviluppata secondo linee di sostanziale ordinarieta’ amministrativa, mantenendosi in una prospettiva prevalentemente conservativa con assenza di profili realmente gestori; b) che, in particolare, gli unici profili di difficolta’ erano quelli derivanti dalla quantita’ dei beni assoggettati alla misura, dalla loro variegata tipologia, dalla loro allocazione in piu’ Comuni della Locride, che, tuttavia, erano stati largamente compensati proprio dalla nomina di quattro custodi/amministratori, sicche’ il valore e l’importanza dell’attivita’ prestata potevano ritenersi assorbite dall’ammontare del valore del patrimonio, indicato in circa dodici milioni di euro; c) che, in definitiva, l’attivita’ svolta non aveva prodotto per l’Amministrazione giudiziaria committente utilita’ e vantaggi aggiuntivi rispetto a quelli impliciti nella comunque certo scrupolosa, efficiente ed osservante esecuzione del munus; d) che, peraltro, la scelta di fissare i compensi intorno al minimo si giustificava anche per bilanciare gli effetti del progressivo ridimensionamento del valore del compendio oggetto di attivita’, in ragione dei successivi provvedimenti di dissequestro intervenuti in corso di amministrazione.

La Corte ha, quindi, valorizzato il carattere collegiale dell’attivita’ non in vista dell’aumento percentuale del compenso singolarmente spettante ad ogni custode, ma come criterio di determinazione del compenso globale del collegio (Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 11, comma 2), aggiungendo, con riferimento alla posizione dell’Avv. (OMISSIS) che egli era stato nominato unitamente, non solo ai due commercialisti, ma anche all’avv. (OMISSIS), non ricorrente, con mandato generico ed unitario, con conseguente applicazione analogica dell’articolo 3, comma 2, della tariffa avvocati in materia stragiudiziale.

Ancora, il provvedimento impugnato ha ritenuto di fare applicazione, con riferimento ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), dell’articolo 15 della tariffa professionale, che riguarda il caso in cui all’attivita’ professionale concorrano il cliente (nella specie, i giudici delegati) o terzi (i due avvocati), individuando la percentuale della riduzione dell’onorario nella misura massima del 30%, in ragione della qualita’ dell’apporto ricevuto.

La Corte territoriale ha, infine, considerato che “i piu’ dei beni oggetto di custodia/amministrazione” erano gia’ stati assoggettati a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies conv. con Legge n. 356 del 1992, e affidati alle cure dei medesimi custodi/amministratori, i quali, per tali attivita’, avevano percepito dei compensi, dei quali occorreva tener conto.

2. Nell’interesse del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e’ stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi, tutti accomunati dalla preliminare censura di violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, per inosservanza dei criteri indicati dai decreti con i quali sono state approvate le rispettive tariffe professionali, la cui applicazione e’ stata ritenuta necessaria dalla sentenza di annullamento con rinvio.

2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 29, comma 2 che prevede, per il caso di sequestro, che gli onorari dei commercialisti siano determinati con una maggiorazione compresa tra il 20% e il 50%

I ricorrenti rilevano: a) che la collegialita’ dell’incarico non puo’ spiegare rilievo al fine di determinare la misura della maggiorazione, giacche’, come chiarito nel successivo terzo motivo, altra disposizione del citato Decreto del Presidente della Repubblica regola il caso che sia conferito incarico ad un collegio di dottori commercialisti; b) che il valore del patrimonio in sequestro risultava certo; c) che la maggiorazione minima dovrebbe operarsi nel casi di speciale modestia dell’opera, laddove la stessa Corte territoriale aveva indicato le ragioni di difficolta’ dell’incarico e la sua scrupolosa esecuzione.

2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 15 che prevede una riduzione del compenso tra il 10% e il 30%, quando si pervenga alla definizione della pratica, oltre che con l’opera del commercialista, anche con il concorso effettivo del cliente o di terzi.

Si osserva, ai riguardo: a) che i terzi ai quali fa riferimento l’articolo 15 si identificano nei soggetti estranei al rapporto professionale e non nei soggetti estranei al commercialista del cui compenso si discute, come dimostrato dal fatto che, altrimenti opinando, non avrebbe significato precettivo l’articolo 11 del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica, a mente del quale quando un incarico e’ affidato a piu’ professionisti iscritti ad albi professionali diversi, ciascuno di essi ha diritto, nei confronti del cliente, ai compensi per l’opera prestata secondo la tariffa della rispettiva categoria professionale; b) che neppure poteva assumere rilievo l’apporto dei giudici delegati, dal momento che, come dimostrato dal capoverso del citato articolo 15, l’apporto del cliente assume rilievo solo quanto questi svolga l’attivita’ del commercialista e non quando, come compete ordinariamente al committente, egli si limiti ad impartire direttive; c) che, in ogni caso, a fronte di un’attivita’ scrupolosa, efficiente ed osservante, non era dato identificare, nella motivazione del provvedimento impugnato, alcun momento di criticita’ che avesse giustificato un intervento surrogatorio dei giudici delegati.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 11 per avere la Corte territoriale applicato la maggiorazione del 40% prevista da tale disposizione non al compenso previsto per ciascun membro del collegio, ma al compenso liquidato all’intero collegio.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’articolo 111 Cost., commi 2 e 6, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 12 e della Legge n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, comma 8.

In particolare, si critica la riduzione operata alla stregua del cit. articolo 12, sul presupposto della coincidenza della maggior parte dei beni interessati dalla custodia/amministrazione della quale si tratta con quelli assoggettati a precedente sequestro preventivo finalizzato alla confisca Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies conv. con L.. n. 356 del 1992.

Al riguardo, i ricorrenti, dopo avere premesso che il tema non era mai stato sottoposto al contraddittorio degli interessati, sottolineano che dei centosessantadue beni sottoposti complessivamente a sequestro, cinquantaquattro furono attinti solo dalla misura di prevenzione, venti dalla sola misura cautelare e soltanto i restanti ottantaquattro formarono oggetto di entrambe le misure.

In tale contesto fattuale, non considerato nella motivazione del provvedimento impugnato, l’applicata riduzione del 35%, rispetto ad una percentuale massima di abbattimento del 40%, si sarebbe potuta giustificare, a voler seguire il ragionamento della Corte, qualora si fosse registrata una coincidenza quasi totale dei beni.

In ogni caso, i ricorrenti aggiungono che la figura dell’amministratore chiamato a provvedere alla custodia e alla conservazione dei beni sottoposti a sequestro ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies cit. e’ diversa da quella dell’amministratore di patrimoni sequestrati ai sensi della Legge n. 575 del 1965, giacche’ quest’ultimo esercita poteri propri dell’attivita’ di gestione anche al fine di incrementarne la redditivita’.

Sotto un ultimo profilo, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 12 per avere il provvedimento impugnato utilizzato, al fine di operare la criticata riduzione in misura pari quasi al massimo, gli stessi argomenti gia’ spesi per fissare intorno al minimo i compensi spettanti ai ricorrenti.

2.5. Con il quinto motivo, si lamenta violazione del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 1, comma 2 e articolo 7, comma 1, del capitolo 3 .

In particolare, con riguardo all’applicazione delle percentuali minime fissate dal punto n. 6 della tabella cui rinvia l’articolo 1 del capitolo 3 citato, il ricorso critica sia la mancata considerazione della durata dell’incarico, che assume implicita, ma non equivoca rilevanza nella struttura del successivo articolo 7, sia l’applicazione delle percentuali minime, sviluppando argomenti sovrapponibili a quelli ricordati supra nell’esame del primo motivo di ricorso.

2.6. Con il sesto motivo, si lamenta violazione del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 3 del capitolo 3 criticando l’abbattimento del 50% applicato dalla Corte al compenso dell’avv. (OMISSIS), dal momento che, a differenza di quanto previsto dalla disposizione citata, non era mai sussistito – ne’, del resto, la Corte territoriale lo aveva ipotizzato – alcun rapporto societario tra il ricorrente e l’avv. (OMISSIS).

2.7. Con il settimo motivo, si lamenta violazione dell’articolo 111 Cost., commi 2 e 6, del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 1, comma 2 e articolo 5, comma 5, del capitolo 3 nonche’ della Legge n. 575 del 1965, articolo 2-sexies, comma 8 rilevando che l’articolo 5 cit. concerne i criteri di determinazione del valore della pratica, nella specie fissati dalla stessa Corte territoriale, nonostante le perplessita’ manifestate, in dodici milioni di euro, mentre l’articolo 1 assume rilievo, ai fini della determinazione del compenso.

Il ricorso, pertanto, sottolinea l’illegittimita’ dell’ulteriore abbattimento del 30% operato dal provvedimento impugnato, erroneamente invocando l’articolo 5 appena cit. e utilizzando gli stessi argomenti censurati nel quarto motivo di impugnazione.

Sotto altro profilo, si lamenta violazione dell’articolo 1 cit., per avere la Corte d’appello operato la indicata riduzione del 30%, pur essendo partita dalla misura minima consentita.

3. Ai sensi dell’articolo 611 c.p.p., comma 1, e’ stata depositata, memoria nell’interesse dei ricorrenti, in replica alle conclusioni del P.G..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso e’ infondato, dal momento che le argomentazioni che hanno indotto la Corte d’appello a fissare intorno al minimo i compensi spettanti si sottraggono alle critiche sviluppate in ricorso, giacche’: a) il fatto che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 11 disciplini nello specifico la determinazione del compenso, nel caso che la pratica sia svolta da piu’ dottori commercialisti, non esclude che dall’esistenza di una pluralita’ di professionisti incaricati della custodia e dell’amministrazione di un compendio immobiliare possa trarsi argomento per apprezzare l’entita’ del contributo prestato dal singolo professionista, in ragione dell’apporto fornito dagli altri; b) le perplessita’ espresse dalla Corte territoriale, quanto al valore dei beni non hanno avuto alcuna incidenza sulla concreta decisione assunta, dal momento che proprio in ragione di tale valore, comunque tenuto fermo, e dei conseguenti riflessi sul calcolo degli onorari si e’ tenuto conto per sostenere che esso era idoneo a compensare l’attivita’ svolta, alla luce della quantita’, della tipologia e della allocazione dei beni; c) del tutto razionalmente, il provvedimento impugnato ha considerato, accanto alla ordinarieta’ dell’attivita’ svolta, il fatto che le modeste difficolta’ derivanti da quantita’, tipologia e allocazione dei beni fossero altresi’ compensate dall’avere assunto come valore di riferimento quello inizialmente riferito alla generalita’ degli stessi, nonostante il loro progressivo ridimensionamento, in ragione di successivi provvedimenti di dissequestro.

2. Il secondo motivo e’ fondato, in quanto: a) in effetti, se i terzi, il cui effettivo concorso nella prestazione del professionista giustifica, a mente del cit. articolo 15, comma 1 la riduzione del compenso, fossero identificabili anche in altri professionisti, iscritti in diversi albi, si finirebbe per elidere ingiustificatamente la portata del precedente articolo 11, che appunto per tale specifica ipotesi, prevede che ciascun professionista ha diritto al compenso per l’opera prestata, secondo la rispettiva tariffa professionale; b) l’effettivo concorso del cliente nella prestazione del professionista non puo’ essere identificato nelle mere direttive impartite a quest’ultimo, ma deve ravvisarsi in un apporto di contenuto professionale specifico, rientrante nelle competenze del commercialista, che giustifichi, sul piano della sinallagmaticita’, la riduzione del compenso.

3. Fondato e’ anche il terzo motivo di ricorso, giacche’ il Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 11, comma 2, (e della sussistenza dei presupposti di applicabilita’ della previsione la Corte reggina non dubita), prevede, per il caso di incarico conferito ad un collegio di commercialisti, che il compenso spettante al collegio e’ calcolato, aumentando il compenso spettante al singolo professionista del 40% per ciascun membro del collegio, con la conseguenza che, nel caso di collegio costituito da due professionisti, il compenso del collegio e’ determinato dal compenso spettante al singolo commercialista maggiorato dell’80%, cio’ che rappresenta un vantaggio comunque per il cliente che non e’ tenuto al versamento di compensi individualmente calcolati per ciascun professionista.

4. Fondato e’ anche il quarto motivo di ricorso, giacche’ l’elevatissima riduzione operata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1994, articolo 12 (in misura prossima a massimo del 40%) avrebbe richiesto una penetrante motivazione sulla sostanziale sovrapponibilita’ dell’incarico oggetto del presente procedimento rispetto a quello scaturito dal procedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni, ai sensi del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies conv. con Legge n. 356 del 1992.

Al contrario, con affermazione non verificabile sul piano oggettivo e puntualmente contrastata in ricorso, si sostiene nel provvedimento impugnato semplicemente che la coincidenza delle procedure riguarderebbe “i piu’ dei beni” dei quali si discute nel presente procedimento.

5. Il quinto motivo di ricorso e’ infondato.

Ed, infatti, e’ certamente esatto che il Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 7 del capitolo 3 prevede che l’onorario debba essere calcolato in percentuale calcolata sull’ammontare delle entrate lorde dei beni amministrati, in tal modo rendendo irrilevante, per gli incarichi di durata annuale o superiore, il tempo di svolgimento dell’incarico.

Ma, una volta che si assuma come base di riferimento il valore dei beni amministrati e non quella rappresentata dai redditi prodotti da questi ultimi, ove il ricorrente non censuri, come nella specie, siffatta base di calcolo (per evidenti ragioni di convenienza), non puo’ pretendere di interpolare la norma con riferimenti temporali che le sono estranei.

Quanto poi alle critiche che investono la determinazione delle percentuali minime, il rinvio alle censure sviluppate nel primo motivo di ricorso consente di rimandare alle considerazioni svolte supra sub 1 del Considerato in diritto.

6. Fondato e’, invece, il sesto motivo, giacche’ la riduzione applicata dalla Corte d’appello, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 127 del 1994, articolo 3, comma 2, del citato Capitolo 3 presuppone che l’incarico professionale sia stato affidato ad una societa’ tra avvocati, che non viene neppure indicata come sussistente tra il ricorrente e l’avv. (OMISSIS) non ricorrente.

7. Fondato e’ anche il settimo motivo, sia perche’ il Decreto Ministeriale n. 127 del 1994, articolo 5, comma 5 del citato Capitolo 3 assume rilievo non come titolo legittimante un abbattimento del compenso, ma come criterio di determinazione del valore della pratica, sia perche’ il riferimento ad un precedente e sovrapponibile incarico di custodia/amministrazione in distinto procedimento va incontro alle medesime censure ritenute fondate, nell’esame del superiore quarto motivo di ricorso.

8. In conclusione, il provvedimento impugnato va annullato, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo esame.

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