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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 21 agosto 2013, n. 35269

Fatto e diritto

Con ordinanza 16.10.12, il tribunale di Siena ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato il decreto di sequestro, emesso il 25.9.2012 dal P.M., a norma dell’art. 252 c.p.p., di due computer, posti nello studio degli avvocati D.B.G. e D.B.S. . In tali computer erano contenuti i files, ritenuti rilevanti, ai fini dell’accertamento dell’attendibilità delle certificazioni mediche, utilizzate dai legali, per ottenere il differimento di udienze penali, per impedimento, sebbene fosse poi risultato che in quello stesso giorno i predetti avevano svolto regolarmente altra attività professionale.
Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1.violazione di legge in riferimento all’art. 103 co. 3 e 4 cpp; vizio di motivazione: le garanzie previste dalle norme sono applicabili anche nel caso in cui gli avvocati siano indagati, in quanto esse vanno osservate in tutti i casi in cui la perquisizione e il sequestro vengano effettuati nello studio in un professionista iscritto nell’albo degli avvocati, a causa del riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa, come diritto fondamentale, ex art. 24 Cost. L’obbligo del rispetto delle garanzie va osservato specialmente quando perquisizione e sequestro siano effettuati in uno studio professionale, intestato ad altro avvocato, non coinvolto nelle indagini;
2. violazione di legge in riferimento agli artt. 200,253, 256 cpp; mancanza di nesso di pertinenzialità con alcuni dei beni sequestrati e violazione delle norme a tutela del segreto professionale: il tribunale si è posto il problema del segreto professionale, che è opponibile dal testimone e non dall’indagato: ma l’art. 200 cpp indica le categorie di soggetti (tra cui gli avvocati) che non possono deporre su quanto è a loro conoscenza in ragione della propria professione e l’art.256 cpp, nel disciplinare l’acquisizione di atti e documenti nella disponibilità di particolari categorie, potenzialmente tutelate dal segreto professionale, richiama le persone indicate nell’art. 200 cpp: questo richiamo è naturalmente a persone,in qualità di esercenti di alcune professioni e non certo a persone nella qualità di “testimoni”. Una diversa interpretazione condurrebbe a svuotare di contenuto il segreto professionale, attraverso l’espediente di iscrivere il titolare del segreto professionale non come testimone, ma come indiziato.
È invece evidente che l’avvocato può opporre il segreto professionale, anche se indagato, specie nel caso in esame, in cui il sequestro non riguarda cose pertinenti al reato, ma atti relativi a rapporti con la propria clientela;
3. quanto al nesso di pertinenzialità tra i beni in sequestro e il reato oggetto di indagini, il tribunale si è limitato,in termini ipotetici, a rilevare la necessità di futuri, complessi accertamenti tecnici sui computer in sequestro.
Il ricorso non è fondato.
L’ordinanza ricostruisce e valuta le emergenze delle indagini in corso, nei confronti di due avvocati che hanno ottenuto il rinvio di udienze penali, producendo un certificato del medesimo medico curante, attestante impedimento dovuto a ragioni salute, impedimento che è invece risultato inesistente.
Il sequestro dei due computer contenenti documenti afferenti alla loro attività è stato effettuato con lo scopo – esplicitato nel decreto di coercizione reale- di individuare i files rilevanti per accertare se i due legali, nei giorni in cui hanno prodotto i certificati attestanti l’impossibilità di svolgere attività lavorativa nelle udienze di cui hanno ottenuto il differimento per assoluto impedimento di presenziare, abbiano altrove svolto regolarmente attività lavorativa. Di qui l’evidente pertinenzialità tra beni in sequestro e i reati che sono oggetto delle indagini in corso. Da questo non contestato esame del provvedimento di sequestro, emerge:
a) l’impossibilità di riconoscere agli avvocati D.B. le invocate garanzie di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 103 cpp, essendo essi interessati nelle indagini non nella qualità di difensori di altri cittadini indagati, ma nella qualità di cittadini essi stessi indagati e, come tali, non meritevoli di privilegiata posizione difensionale: le guarentigie previste dall’art. 103 cod. proc. pen., non introducendo un principio immunitario di chiunque eserciti la professione legale, sono applicabili unicamente se devono essere tutelate la funzione difensiva o l’oggetto della difesa(sez. 2 n. 32909 del 16.5.2012,rv 253263).
Ugualmente non è opponibile il segreto professionale, in quanto:
a) oggetto e finalità del sequestro sono limitati ai files concernenti non il merito dell’attività professionale svolta dagli indagati, ma il se e il dove tale attività sia stata svolta, nei giorni in cui risultava uno stato patologico incompatibile con l’esercizio delle professione nelle udienze differite per questa causa;
b) il provvedimento coercitivo reale non riguarda comunicazioni o messaggi di posta elettronica tra i legali e i loro assistiti, che potrebbero trovarsi nei computer. Comunque non può porsi il problema del divieto di sequestro della corrispondenza fra difensore e assistito, poiché tale divieto riguarda solamente quei mezzi di comunicazione che siano riconoscibili,grazie ai contrassegni specificati dall’art. 35 disp. att. cpp..
Il ricorso va quindi rigettato con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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