minaccia

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 21 febbraio 2014, n. 8431

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana – Presidente –
Dott. OLDI Paolo – Consigliere –
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –
Dott. SETTEMBRE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto dal difensore di:
M.C., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 1/10/2012 del Giudice di Pace di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PISTORELLI Luca;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GALASSO Aurelio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente al calcolo della pena e rigetto nel resto.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 ottobre 2012 il Giudice di Pace di Caltanissetta condannava M.C. alla pena di giustizia per i reati di ingiuria aggravata e minacce commessi ai danni della moglie separata nel corso di una lite sull’affidamento della figlia minore.

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando due motivi.

Con il primo deduce l’inosservanza della legge penale e correlati vizi motivazionali in merito al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione in relazione al reato di ingiuria e della corrispondente attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, in relazione a quello di minacce, evidenziando come le intemperanze verbali contestate erano state la reazione dell’imputato all’indebito rifiuto della moglie a fargli esercitare il proprio diritto di visita nei confronti della figlia minore, circostanza risultante dagli atti. Con il secondo invece il ricorrente lamenta l’assoluto difetto di motivazione della sentenza impugnata in merito alla commisurazione della pena ed alla determinazione dell’aumento della stessa per il reato posto in continuazione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Con riguardo al primo motivo deve infatti osservarsi che dalla stessa sentenza emerge l’acquisizione nel corso dell’istruttoria dibattimentale della prova che la lite tra i due coniugi era stata innescata dal rifiuto della moglie dell’imputato di consegnargli la figlia accampando il suo stato di ubriachezza e che gli agenti di polizia intervenuti per sedare la lite avevano riscontrato l’alito vinoso del M., pur escludendo che lo stesso fosse palesemente ubriaco.

A fronte di tale quadro probatorio il giudice si è limitato a ritenere in maniera apodittica non comprovata la sussistenza di un fatto ingiusto integrante gli estremi della provocazione, escludendo la configurabilità dell’invocata esimente di cui all’art. 599 c.p., comma 2, (il cui eventuale riconoscimento avrebbe inevitabilmente comportato l’applicazione anche dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, in relazione al reato di minaccia), senza spiegare, come invece necessario, per quale motivo il rifiuto opposto all’imputato di vedere la propria figlia non dovesse ritenersi tale.

Deve infatti ricordarsi che certamente incombe sull’imputato, il quale deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente. Ma una volta che tale onere rimane assorbito, come nel caso di specie, dall’acquisizione nell’istruttoria dibattimentale di elementi idonei a rivelare l’astratta configurabilità dell’esimente, spetta al giudice, eventualmente ricorrendo ai suoi poteri di integrazione probatoria, compiere i necessari accertamenti tesi ad escludere la sua sussistenza.

Nella fattispecie, per sostenere la propria decisione, il Giudice di Pace avrebbe quantomeno dovuto illustrare le ragioni per cui il rifiuto di consegnare la bambina al padre – per come emerso dalle prove acquisite – non poteva ritenersi ingiusto ovvero avrebbe dovuto approfondire il tema di indagine qualora avesse ritenuto insufficiente il quadro probatorio acquisito, atteso che l’eventuale dubbio sull’esistenza di una causa di giustificazione, per prova insufficiente o per un mero principio di prova, e quindi al di fuori di casi in cui la causa di giustificazione sia soltanto allegata dalla parte e non provata, comporta l’assoluzione dell’imputato (Sez. 1^, n. 20867 del 13 maggio 2010, P.M. in proc. Serroni, Rv. 247569).

2. Quanto alla commisurazione del trattamento sanzionatorio deve rilevarsi che il giudice si è limitato a determinare soltanto la pena complessiva, impedendo così di apprezzare l’entità dell’aumento applicato per il reato meno grave posto in continuazione.

Nel caso di specie quest’ultimo sembrerebbe essere stato individuato in quello di minacce, le cui pene edittali assai esigue rendevano però ancor più necessario l’esplicitazione dei passaggi intermedi seguiti nella commisurazione di quella finale a fine di consentire un effettivo controllo di legalità sull’esercizio del potere sanzionatorio da parte del giudice.

La sentenza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame al Giudice di Pace di Caltanissetta, il quale si atterrà ai principi illustrati, pur conservando autonomia di giudizio e rimanendo dunque libero di giungere alle medesime conclusioni assunte nella sentenza annullata, purchè provvedendo a colmare le evidenziate lacune motivazionali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di Pace di Caltanissetta per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2014.

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