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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 24 novembre 2014, n. 48696

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26 ottobre 2012 il Tribunale di Livorno, in riforma della pronunzia assolutoria di primo grado e su appello della sola parte civile, condannava I.B. alla pena di giustizia e al risarcimento dei danno per il reato di lesioni commesso in danno di F.P.
2.1 Avverso la sentenza ricorre l’imputata, deducendo in via principale la violazione di legge ex art. 606, lett. c), in relazione agli artt. 576 e 591 cod. proc. pen., con riferimento all’ordinanza del Tribunale di Livorno che ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello. Rileva in proposito la ricorrente come la sentenza assolutoria di primo grado sia stata appellata dalla sola parte civile e dunque, ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., ai soli effetti civili, con preclusione per il giudice dell’impugnazione di pronunciare condanna anche agli effetti penali, come invece fatto dal Tribunale di Livorno.
2.2 Per gli stessi motivi la ricorrente deduce, altresì, la violazione del cosiddetto principio del divieto di reformatio in peius.
2.3. La ricorrente con altro motivo lamenta inoltre l’inadeguatezza dell’apparato motivazionale perché il giudice dell’appello perviene ad un ribaltamento della pronunzia assolutoria in mancanza di una congrua argomentazione logico – giuridica. A tal fine la ricorrente deduce specificamente vizi della motivazione nella valutazione delle prove.
3. La parte civile ha presentato memoria difensiva, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso e la conferma dell’impugnata sentenza. Ha dedotto l’ammissibilità dell’appello proposto avverso la sentenza di primo grado con specifico riferimento alle richieste riguardanti le sole statuizioni civili. Ha inoltre dedotto che non v’è alcuna illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella valutazione delle prove acquisite.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato con riferimento al motivo dedotto in via principale.
E’ indiscusso insegnamento di questa Corte – maturato sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, P.C. in proc. Lista, Rv. 236539) – che, pur dopo le modificazioni introdotte dalla legge n. 46 del 2006, art. 6, all’art. 576 cod. proc. pen., la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza assolutoria pronunciata nel giudizio di primo grado. Tale facoltà le deriva dalla regola generale dettata dall’art. 576 cod. proc. pen., in tema di impugnazione della parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso le sentenze di proscioglimento: norma, certamente, applicabile al processo davanti al giudice di pace in forza del richiamo di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 2 (Sez. 5, n. 38699 del 18/06/2008, Buratti, Rv. 242021; Sez. 5, n. 23726 del 31/03/2010, P.O. in proc. Serpi, Rv. 247509).
L’attuale assetto normativo, ricostruito dalla decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 8/2/2013, Buccino), prevede in via generale che la parte civile non possa impugnare i capi penali della sentenza di primo grado se non indirettamente, attraverso il potere di sollecitazione del pubblico ministero previsto dall’art. 572 cod. proc. pen., mentre le è riconosciuto il potere di impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardino l’azione civile, nonché, ai soli effetti della responsabilità civile, contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, così come espressamente previsto dall’art. 576 cod. proc. pen.; per quanto concerne i procedimenti dinanzi al giudice di pace, infine, la parte civile, in applicazione della regola generale, è legittimata ad impugnare le sentenze di proscioglimento, ai soli effetti civili, nonché, anche agli effetti penali, la sentenza di proscioglimento relativa a procedimento instaurato con il ricorso immediato previsto dall’art 21 del citato decreto legislativo, così come disposto dall’art. 38 dello stesso (cfr. Sez. 5, sentenza n. 50578 del 07/11/2013 Ud. – dep. 13/12/2013- imp. Bucci – Rv. 257841).
2. Nel caso di specie, decidendo sull’appello della parte civile, il Tribunale di Livorno non si è limitato ad accertare la responsabilità dell’imputata ai fini della decisione della domanda risarcitoria, ma ha altresì provveduto agli effetti penali, irrogandole una pena pecuniaria e travalicando così in modo evidente i confini della cognizione devolutagli attraverso l’impugnazione, la quale, si osserva per completezza, sarebbe peraltro stata inammissibile se estesa ai capi penali della sentenza di assoluzione emessa dal giudice di pace, atteso che la parte civile non era in relazione ai medesimi legittimata a proporre appello non avendo instaurato autonomamente il procedimento nelle forme di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21, unica ipotesi – come si è detto- in cui alla parte privata è consentito impugnare la sentenza dibattimentale anche agli effetti penali ai sensi del successivo art. 38 del cit. decreto.
3. Infondato è invece il ricorso in ordine alle censure mosse alla sentenza relativamente all’accertamento dei presupposti per la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Il giudice di appello, riformando totalmente la decisione di primo grado, ha delineato le linee portanti dei proprio, alternativo, ragionamento probatorio e ha confutato specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificarne la riforma.
4. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata senza rinvio solo nella parte relativa alle statuizioni penali in essa contenute, ferme restando quelle civili, in relazione alle quali -come si è detto- v’è adeguata motivazione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nelle sue disposizioni penali, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.

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