Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 4 giugno 2015, n. 23987

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. LIGNOLA Ferdinan – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3391/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 25/03/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA;

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, Dott. PINELLI Mario Maria Stefano, ha concluso per l’inammissibilita’ e, in subordine, per il rigetto del ricorso;

il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), ha concluso per l’inammissibilita’ e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 gennaio 2011 del Tribunale di Monza, confermata dalla Corte d’appello di Milano, in data 25 marzo 2013, (OMISSIS) era condannato alla pena-ritenuta di giustizia per i reati di bancarotta, semplice, bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale perche’, quale amministratore unico della ” (OMISSIS)” s.r.l. (dichiarata fallita il (OMISSIS)), distraeva risorse aziendali eseguendo prelevamenti privi di giustificativi contabili, in parte utilizzati per pagare l’acquisto di due appartamenti con box in (OMISSIS) e di una villetta con box in (OMISSIS); sottraeva la cassa risultante dalla contabilita’; distraeva quattro macchinari, due dei quali acquistati con patto di riservato dominio; sottraeva od occultava parte della contabilita’ ed altresi’ la teneva per la parte residua consegnata in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; ometteva di richiedere il fallimento in proprio nonostante il conclamato stato di insolvenza della societa’.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), con atto affidato a due motivi.

2. Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione alle norme di cui ai capi di imputazione ed all’articolo 192 c.p.p., e articolo 530 c.p.p., comma 2.

2.1 Quanto alle condotte distrattive del denaro, si ribadisce, come gia’ fatto in sede di prima impugnazione, che i prelievi ed i bonifici rappresentavano emolumenti personali – per giunta anche tracciati – per l’attivita’ amministrativa della societa’, della quale l’imputato era socio unico; inoltre si censura l’affermazione del Tribunale secondo la quale la confusione tra patrimonio sociale e personale rappresenta un indice della distrazione, perche’ invece essa era del tutto naturale, considerato il fatto che (OMISSIS) era unico azionista della societa’ e che utilizzava denaro sociale (che comunque avrebbe percepito come emolumento) per esigenze personali.

2.2 In ordine all’utilizzo di denaro per pagare immobili personali o di altri soggetti, si osserva che gli assegni furono utilizzati solo a garanzia, poiche’ i beni furono pagati grazie a mutui regolarmente e personalmente stipulati.

2.3 Quanto alla distrazione di beni strumentali, il primo macchinario era stato in realta’ solo collocato temporaneamente presso la legatoria del fratello ed era stato successivamente recuperato dalla curatela; altri due erano stati acquistati con patto di riservato dominio, per cui la restituzione degli stessi alla societa’ venditrice, senza completare il pagamento (per ben 240.000 euro), era stata addirittura una operazione conveniente, a fronte di una nota di accredito a titolo di acconto sui maggiori danni ex articolo 1526 cod. civ. per oltre 919.000 euro; la transazione per 70.000 euro raggiunta dal curatore con la societa’ cessionaria dei macchinari non sarebbe dimostrativa di alcun pregiudizio per il compendio attivo della societa’.

2.4 Con riferimento, alla bancarotta documentale, si contestarla genericita’ del capo di imputazione, poiche’ non vengono precisate le scritture contabili sottratte e si osserva che la curatela ha potuto agevolmente ricostruire la situazione patrimoniale al 30 settembre 2007. Inoltre si deduce carenza di motivazione rispetto alla volonta’ di rendere impossibile la ricostruzione delle operazioni e movimentazioni, allo scopo di ingiusto profitto ed al pregiudizio concreto per i creditori.

2.5 Infine si contesta l’applicabilita’ al caso concreto dell’aggravante di cui all’articolo 219, comma 2, n. 1 della L.F., richiamando una decisione di questa Sezione (Sez. 5, n. 8403 del 03/02/2011, Signori, Rv. 249722), secondo la quale l’aggravante e’ applicabile solo quando sia provata la reciproca autonomia degli episodi che hanno portato al fallimento (l’indipendenza strutturale e modale degli episodi criminosi) e non quando sia constatata l’omogeneita’ delle condotte violatrici della legge fallimentare, l’identita’ del bene leso e la sostanziale contestualita’ delle stesse.

3. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione all’articolo 81 c.p., comma 2, per il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con altra condanna del Tribunale di Milano in violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2; il ricorrente evidenzia il collegamento esistente tra i fatti, commessi nell’esercizio della medesima impresa (la ” (OMISSIS)”), per l’incidenza sugli stessi bilanci del 2005 e 2006 e per essere stati accertati nell’ambito della medesima indagine condotta dalla luogotenenza di Gorgonzola della Guardia di Finanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato, al limite dell’inammissibilita’, poiche’ in larga parte riproduttivo dell’atto d’appello, che viene testualmente riprodotto in ampi brani, con alcuni adattamenti resi necessari dall’oggetto dell’impugnazione (sostituendo i riferimenti alla sentenza di primo grado con quelli alla sentenza di appello).

Un simile argomentare risulta per un verso generico, limitandosi a riproporre pedissequamente il corrispondente motivo d’appello senza confrontarsi con le argomentazioni con cui il provvedimento impugnato lo ha confutato, e per l’altro si risolve in censure in fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita in questa sede di legittimita’.

1.1 La Corte d’appello, infatti, ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione a tutte le doglianze prospettate: i prelievi per euro 311.264,15 non costituivano emolumenti, tra l’altro, poiche’ questi erano corrisposti con bonifici versati dal marzo 2003 al febbraio 2007, mentre tali somme scaturiscono da prelievi sul conto corrente tra il 31 ottobre 2005 e il 19 settembre 2007, senza alcun supporto contabile; i tre assegni di euro 25.000 furono utilizzati per pagare acquisti immobiliari personali, ma gia’ la funzione di garanzia costituisce una distrazione di risorse societarie alla loro naturale destinazione; il macchinario temporaneamente collocato presso la legatoria del fratello era stato in realta’ ceduto, con fattura per un valore di circa 100.000 euro ad un intermediario e, con un doppio passaggio, era pervenuto alla legatoria (OMISSIS) s.r.l. senza alcun versamento di corrispettivo; i due macchinari retrocessi alla (OMISSIS) sarebbero divenuti di proprieta’ della societa’ solo con esborso della somma di euro 240.000.

1.2 Quest’ultimo punto merita un approfondimento, poiche’ la decisione impugnata, a proposito dei beni soggetti a patto di riservato dominio, richiama il regime dei beni in leasing, rispetto ai quali la sottrazione costituisce una lesione all’integrita’ patrimoniale della societa’ in rapporto alle rate gia’ pagate ed in relazione alla compromissione della facolta’ di riscatto, esercitabile dal curatore.

Come chiarito da alcune decisioni di questa Sezione (Sez. 5, n. 3392 del 14/12/2004 – dep. 02/02/2005, Curaba, Rv. 231407; Sez. 5, n. 4655 del 24/01/2006, Cresci, Rv. 233607) e’ configurabile la bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’imprenditore, nella imminenza della dichiarazione di fallimento, consegni al venditore i beni acquistati con patto di riservato dominio.

Occorre infatti ricordare che i beni sui quali grava la riserva di proprieta’ creano a favore del compratore possessore, in caso di risoluzione del contratto a norma dell’articolo 1526 cod. civ., un diritto di credito in relazione alle rate gia’ corrisposte e, cio’ che piu’ conta, i beni stessi possono essere acquisiti al fallimento, essendo prioritaria – ex articolo 73 L.F. – la scelta del curatore di subentrare nel contratto con l’autorizzazione del giudice delegato (salva la facolta’ del venditore, di chiedere cauzione). Solo nel caso di mancato esercizio di tale facolta’ da parte del curatore il venditore potra’ ottenere la restituzione della cosa con la risoluzione del contratto a norma dell’articolo 1526 cit, ma dovra’ restituire al fallimento le rate riscosse e insinuare al passivo il credito chirografario per l’uso della cosa, salva la compensazione ex articolo 56 L. fall., qualora ne ricorrano le condizioni.

La restituzione di beni non costituisce attivita’ distrattiva solamente laddove in concreto non ne sia derivata una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della societa’ fallita, ma la circostanza e’ chiaramente esclusa dalla transazione raggiunta dal curatore con il venditore, con un introito di circa euro 70.000 per il fallimento.

1.3. Con riferimento alla bancarotta documentale, si sottolinea che la ricostruzione della situazione patrimoniale e’ avvenuta grazie a documenti o tracce di pertinenza esterna all’organismo di impresa, il che non esclude evidentemente il reato e specificamente l’elemento soggettivo dello stesso.

1.4 Quanto all’aggravante dei piu’ fatti di bancarotta, che il ricorrente contesta, negando che tra i diversi episodi possa ravvisarsi l’indipendenza strutturale e modale richiesta dalla norma sostanziale, gia’ la concorrenza delle due ipotesi di bancarotta fraudolenta (documentale e patrimoniale) sarebbe di per se’ sufficiente all’aumento di pena; inoltre tra le diverse ipotesi di distrazione l’autonomia degli episodi e’ resa evidente dalla diversita’ dell’oggetto (denaro in due casi, macchinari negli altri) e degli scopi perseguiti con la distrazione.

Per il resto va ribadita l’affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte secondo la quale nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’articolo 219, comma 2, n. 1, Legge Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione, derogatoria di quella ordinaria di cui all’articolo 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665)

L’articolo 219, comma 2, n. 1, Legge Fall., disciplina, nella sostanza, un’ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante; qualificazione che, se non e’ certo sufficiente per imprimere alla fattispecie descritta nell’articolo 219, comma 2, n. 1, Legge Fall., la natura sostanziale delle circostanze, e’ pero’ funzionale al suo assoggettamento alla disciplina generale dettata per queste ultime.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principi in tema di continuazione nel reato, escludendo che tra i fatti giudicati e i reati fiscali commessi in prossimita’ temporale con le condotte contestate vi fosse il vincolo di ideazione previsto dall’articolo 81 cod. pen., poiche’, diversamente da quanto affermato dal ricorrente e non specificamente contestato, queste ultime iniziano in un momento successivo a quello di accertamento dei reati fiscali, a loro volta risalenti all’anno 2004.

3. In conclusione il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. Il ricorrente va altresi’ condannato alla rifusione delle spese sostenute, nel grado della parte civile che si liquidano in euro 2.500, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese del grado della parte civile, liquidate in euro 2500, oltre accessori di legge.

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