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Suprema Corte di Cassazione 

sezione V

sentenza n. 21262  del 17 maggio 2013

Fatto e diritto

Propone ricorso per cassazione D.R.O. avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila in data 6 ottobre 2011 con la quale è stata riformata, su impugnazione del pubblico ministero, la sentenza di primo grado, di assoluzione per non aver commesso il fatto, dal reato di furto in abitazione, contestato come commesso il (omissis), con l’aggravante della recidiva specifica e reiterata.
Deduce:
1) l’inosservanza dell’articolo 468 c.p.p. e la violazione dell’articolo 6 CEDU, per non avere, il giudice dell’appello, disposto il rinvio dell’udienza fissata al 6 ottobre 2011, nonostante che fosse stato dedotto, da parte del difensore, lo stato di gravidanza con data presunta del parto al giorno successivo a quello di udienza, parto poi verificatosi il (omissis);

2) la violazione di legge e il vizio di motivazione sulla responsabilità.
Il giudice di primo grado aveva assolto l’imputato ritenendo che l’unico elemento indiziario a disposizione, e cioè la sua presenza insieme ad altro soggetto, nei pressi dell’abitazione della persona offesa, in circostanze di tempo prossime a quelle del commesso un reato, fosse un elemento insufficiente per la condanna.
Era stato anche segnalato il fatto che la persona offesa non aveva effettuato una positiva ricognizione ex articoli 213 e 214 c.p.p. e altresì, che non erano state rilevate tracce di effrazione della porta. Ancora, la persona offesa, non aveva riconosciuto l’imputato neppure in udienza come il soggetto che si era avvicinato alla sua abitazione e non poteva dirsi provato in modo rassicurante che i gioielli le fossero stati sottratti proprio quel giorno, dal momento che non vi erano segni di forzatura della porta d’ingresso o degli altri serramenti.
Il ricorso è infondato deve essere rigettato.
Il primo motivo è infondato.
La decisione del giudice a quo risulta in linea con il principio affermato in giurisprudenza secondo cui è legittima la decisione con cui il giudice di appello affermi – in conformità alla pronuncia del Tribunale – l’insussistenza del legittimo impedimento del difensore, ex art. 420 ter, comma quinto, cod. proc. pen., qualora esso sia dovuto allo stato di avanzata gravidanza dello stesso difensore, in quanto il solo stato di avanzata gravidanza non può di per sé costituire, in assenza di specifiche attestazioni sanitarie indicative del pericolo derivante dall’espletamento delle attività ordinarie o professionali, causa di legittimo impedimento (Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 14/02/2007 Ud. (dep. 27/02/2007) Rv. 236526).
Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte di cassazione non può essere chiamata a scegliere fra due alternative ricostruzioni del fatto accreditate dai giudici di primo e secondo grado perché il suo compito è esclusivamente quello di valutare se la motivazione esibita dal giudice dell’appello si presenti logica ed esaustiva ed anche completa nel senso di contenere l’esame delle opposte considerazioni del giudice di primo grado.
Nel caso di specie la sentenza impugnata si presenta rispettosa di tutti tali parametri e tale completezza ed esaustività vengono semplicemente tralasciate dall’imputato nel suo ricorso personale, essendosi limitato, lo stesso, a chiedere a questa Corte di legittimità di far prevalere gli argomenti del primo giudice.
Ed invero la Corte d’appello ha fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato su una serie di indizi gravi e convergenti, ritenuti capaci, in maniera univoca, di delineare la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli.
In particolare ha posto in evidenza il fatto che l’imputato si trovasse nei pressi dell’abitazione della persona offesa in un momento nel quale, essendosi la stessa allontanata per soli 20 minuti, il furto era stato appena perpetrato; il fatto che tale presenza sia stata giustificata dall’imputato con argomenti (ricerca di una casa in affitto) contraddetti dalla realtà dei fatti (non risultavano presenti, nel luogo, case offerte in locazione); il fatto che, mancando tale causale, la presenza dell’imputato sul posto non trovasse alcuna giustificazione diversa da quella ipotizzata dall’accusa, tenuto conto che si trattava di un luogo in campagna e isolato e che l’imputato è residente a Pescara; il fatto che l’imputato, richiesto dalla persona offesa delle ragioni della sua presenza, aveva addotto la falsa scusa della ricerca di casi in abitazione, aggiungendo di “non avere preso nulla” ed infine allontanandosi a passo veloce.
Si tratta di una valutazione in fatto, dal carattere plausibile anche quanto alle conclusioni e pertanto non ulteriormente censurabile.
D’altra parte, l’osservazione dell’imputato secondo cui non sarebbe stato riconosciuto in udienza dalla persona offesa, riguarda circostanze assolutamente irrilevanti ai fini della tenuta della motivazione dal momento che il punto della sua effettiva presenza nei pressi dell’abitazione della persona offesa e del suo colloquio con essa risulta accertato in maniera univoca sia in ragione del rilievo che la persona offesa aveva annotato il numero della targa dell’auto a bordo della quale l’imputato si era allontanato, sia in ragione del fatto che l’imputato, in udienza, ha ammesso di essersi trovato in loco (pagina due la sentenza impugnata).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

avvocato in cinta

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