Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 22 giugno 2017, n. 15605

Nei casi in cui il giudice dell’esecuzione dichiari l’improcedibilita’ (o l’estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via ne’ sommaria ne’ provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, e’ impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c.; diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta percio’ pendente, e’ impugnabile con il reclamo ai sensi dell’articolo 624 c.p.c.. Al fine di distinguere tra le due ipotesi deve ritenersi decisivo indice della natura definitiva del provvedimento la circostanza che con esso sia disposta (espressamente, o quanto meno implicitamente, ma inequivocabilmente) la liberazione dei beni pignorati.

In entrambi i casi, quando e’ stata proposta una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che sospende o chiude il processo, deve contestualmente fissare il termine per l’instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione (salvo che l’opponente stesso vi rinunzi) e, in mancanza, sara’ possibile per la parte interessata chiedere l’integrazione del provvedimento ai sensi dell’articolo 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito (Cass. n. 22033/2011 e successive conformi). Peraltro, solo se il processo esecutivo non e’ stato definito, ma resta pendente, e’ eventualmente possibile, all’esito dell’opposizione, la riassunzione dell’esecuzione. Se, invece, il processo esecutivo e’ stato definito con liberazione dei beni pignorati e non vi e’ stata opposizione accolta agli atti esecutivi, il giudicato sull’opposizione all’esecuzione potra’ fare stato tra le parti solo ai fini di futuri eventuali nuovi processi, ma non sara’ possibile la riassunzione dell’esecuzione, definitivamente chiusa

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 22 giugno 2017, n. 15605

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 2733 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del rappresentante per procura, (OMISSIS) rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Foggia n. 2318/2015, pubblicata in data 29 ottobre 2015 e notificata in data 23 novembre 2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 9 maggio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Foggia ha dichiarato improcedibile il procedimento esecutivo da essa promosso (nelle forme dell’espropriazione di crediti presso terzi) nei confronti dell’INPS, ritenendo estinto il credito fatto valere e disponendo la liberazione delle somme pignorate.

L’opposizione e’ stata accolta dal Tribunale di Foggia, che ha dichiarato nulla l’ordinanza impugnata e ha condannato l’INPS al pagamento delle spese e competenze del processo esecutivo, per Euro 942,13, oltre accessori, nonche’ alle spese del giudizio di opposizione, liquidate in Euro 4.600,00 per onorario ed Euro 141,00 per esborsi, oltre accessori.

Ricorre l’INPS, sulla base di tre motivi.

Non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’intimata (che ha peraltro fatto pervenire una informale istanza di riunione dei procedimenti iscritti al n. 2733/2016 e 2738/2016 del R.G., in data 21 aprile 2017).

Il ricorso e’ stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere accolto.

L’istituto ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., comma 2.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ma la suddetta istanza non puo’ neanche essere presa in considerazione, non provenendo da una parte regolarmente costituita.

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione degli articoli 616, 617 e 618 c.p.c., in relazione all’articolo 289 c.p.c., (articolo 360 c.p.c., n. 4)”.

Il motivo e’ in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato.

Emerge dagli atti che il giudice dell’esecuzione, avendo rilevato l’avvenuto integrale pagamento dell’importo di cui al titolo esecutivo in epoca anteriore alla notificazione dell’atto di precetto, la conseguente inesistenza del credito portato dal titolo esecutivo stesso e quindi l’assoluta inefficacia di quest’ultimo, ha dichiarato improcedibile l’esecuzione, disponendo lo svincolo dei crediti pignorati.

Secondo l’istituto opponente, si tratterebbe di un provvedimento emesso nella fase sommaria di una opposizione all’esecuzione da esso proposta ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., come tale non definitivo e non impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi.

In proposito si osserva quanto segue.

Il giudice dell’esecuzione ha il potere/dovere di verificare di ufficio, e a prescindere da una opposizione del debitore, l’esistenza del titolo esecutivo e la corrispondenza degli importi pretesi dal creditore con quelli dovuti in base al titolo stesso (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11021 del 19/05/2011, Rv. 617431 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16610 del 28/07/2011, Rv. 618698 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4491 del 26/03/2003, Rv. 561469 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9293 del 09/07/2001, Rv. 548027 – 01; Sez. L, Sentenza n. 8559 del 23/06/2000, Rv. 537956 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 10/09/1996, Rv. 499547 – 01).

In caso di mancanza o inefficacia, parziale o totale, del titolo (ipotesi che comprende anche quella in cui risulti dagli atti il pagamento integrale o parziale del credito portato dal titolo e dei relativi accessori), il giudice dell’esecuzione ha dunque il potere/dovere di procedere all’assegnazione in favore del creditore solo degli importi effettivamente dovuti e, nel caso in cui risulti che il creditore e’ gia’ stato integralmente soddisfatto, non deve ovviamente assegnare alcunche’, ma dichiarare l’esecuzione non piu’ proseguibile per difetto di valido titolo esecutivo (talvolta in tali casi viene dichiarata, impropriamente, l’estinzione del processo esecutivo; si tratta al piu’ di una estinzione cd. “atipica”, e cioe’ di un provvedimento che nulla ha a che fare con l’istituto regolato dagli articolo 629 e ss., e che piu’ correttamente andrebbe qualificato come dichiarazione di improcedibilita’ dell’esecuzione, trattandosi di un provvedimento con cui il processo esecutivo viene chiuso in quanto definito, per l’avvenuta completa realizzazione del suo scopo o per la riconosciuta impossibilita’ di realizzare tale scopo e quindi per l’impossibilita’ della sua prosecuzione; il termine estinzione andrebbe invece riservato alla sola estinzione cd. tipica, di cui all’articolo 629 c.p.c. e ss., e cio’ anche per evitare i frequenti equivoci cui puo’ dar luogo la confusione terminologica).

E’ pacifico che il relativo potere del giudice dell’esecuzione, certamente esercitabile al di fuori di ogni contestazione del debitore (anche laddove il debitore non si sia neanche costituito), e’ censurabile mediante l’opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c..

Puo’ peraltro accadere che esso venga esercitato in ipotesi in cui il debitore si sia costituito nel processo esecutivo e abbia sollevato contestazioni, o abbia addirittura proposto opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c. (e cio’ tenuto conto che il debitore ha anche la facolta’ di costituirsi nel processo esecutivo senza proporre opposizione all’esecuzione, eventualmente limitandosi a sollecitare l’esercizio dei poteri di ufficio del giudice).

In mancanza di una vera e propria opposizione all’esecuzione non vi e’ dubbio che il creditore potra’ proporre esclusivamente l’opposizione ai sensi dell’articolo 617 c.p.c. avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione.

Laddove invece sia stata proposta una vera e propria opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., con la quale il debitore abbia contestato, in tutto o in parte, il diritto di procedere ad esecuzione forzata per il credito fatto valere, il giudice dell’esecuzione ha due possibilita’.

Puo’ prendere atto dell’opposizione e, senza esercitare i propri poteri officiosi, limitarsi a sospendere l’esecuzione (in tutto o in parte) nei limiti in cui ritenga probabilmente fondata l’opposizione del debitore, fissando il termine per l’inizio del giudizio di merito; in tal caso il suo provvedimento sara’ reclamabile dal creditore opposto ai sensi dell’articolo 624 c.p.c., per ottenere la revoca della sospensione e (secondo l’indirizzo seguito da questa Corte, a partire da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22033 del 24/10/2011, Rv. 620286 – 01, e poi sempre confermato), se manca la fissazione del termine per iniziare il giudizio di merito, le parti potranno chiedere l’integrazione ai sensi dell’articolo 289 c.p.c., e/o comunque instaurare direttamente il merito dell’opposizione; in mancanza, il processo esecutivo si estinguera’ ai sensi dell’articolo 624 c.p.c., comma 3, e il provvedimento che dichiari tale successiva estinzione sara’ reclamabile ai sensi dell’articolo 630 c.p.c.. In caso di instaurazione del merito dell’opposizione di cui all’articolo 615 c.p.c., e comunque fino all’eventuale estinzione ai sensi dell’articolo 624 c.p.c., comma 3, il processo esecutivo – pur sospeso – rimarra’ pendente (resteranno in particolare fermi gli effetti del pignoramento: in caso di pignoramento presso terzi, le somme pignorate resteranno vincolate). In tale ipotesi non vi e’ spazio per alcuna opposizione ai sensi dell’articolo 617 c.p.c..

Il giudice dell’esecuzione, pero’, non perde i suoi poteri officiosi solo perche’ e’ stata proposta una opposizione all’esecuzione; egli potra’ quindi anche decidere di esercitarli ugualmente, a prescindere dall’opposizione del debitore, assegnando al creditore gli importi effettivamente dovuti, o nessun importo, laddove ritenga il titolo inefficace o il credito integralmente estinto, ed in entrambi i casi definendo il processo esecutivo. Ovviamente in tal caso non vi sara’ luogo a provvedere, per evidente difetto di interesse, sull’istanza di sospensione dell’esecuzione, e il giudice dell’esecuzione potrebbe – come sarebbe opportuno – dichiararlo espressamente (ma anche laddove non lo faccia, la situazione sostanziale rimane la medesima). Resta ferma peraltro l’opposizione gia’ proposta, e quindi dovrebbe comunque ugualmente essere assegnato il termine per l’instaurazione del merito di essa, a meno che il debitore non vi rinunzi. In una siffatta ipotesi, non vi e’ un provvedimento di sospensione reclamabile; il creditore potra’ dunque proporre esclusivamente l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che assegna gli importi ritenuti dovuti e/o non assegna alcunche’ e dichiara improcedibile l’esecuzione. Entrambe le parti (se il debitore non ha rinunziato alla sua opposizione) potranno instaurare il merito di essa (previa eventuale istanza di integrazione ai sensi dell’articolo 289 c.p.c.). In tal caso il processo esecutivo e’ da ritenersi definito e non piu’ pendente. In mancanza di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che ha definito il processo esecutivo, cessano gli effetti del pignoramento (in caso di pignoramento presso terzi, le somme pignorate sono definitivamente – e irreversibilmente – svincolate). L’esito stesso dell’opposizione all’esecuzione di cui all’articolo 615 c.p.c., eventualmente coltivata dalle parti (in mancanza di opposizione ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso il provvedimento di improcedibilita’, o che ha comunque definito il processo esecutivo liberando i beni pignorati) non consentira’ di riaprirlo, e avra’ effetti solo per future eventuali nuove esecuzioni promosse sulla base del medesimo titolo o nei nuovi giudizi di cognizione relativi al medesimo credito.

Al fine di individuare i rimedi, dunque, cio’ che e’ decisivo non e’ tanto la circostanza che il debitore abbia o meno proposto una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., ma la natura del provvedimento emesso dal giudice dell’esecuzione. Onde individuare il rimedio esperibile occorre cioe’ stabilire se il giudice dell’esecuzione ha semplicemente sospeso o se ha al contrario definito il processo esecutivo.

Si tratta evidentemente di due provvedimenti di natura incompatibile, che si escludono a vicenda: la sospensione comporta la perdurante pendenza del processo esecutivo e quindi la conservazione degli effetti del pignoramento; l’improcedibilita’ (o comunque la chiusura dell’esecuzione a seguito dell’assegnazione dei soli importi dovuti) invece esclude tale perdurante pendenza, e soprattutto determina la cessazione degli effetti del pignoramento. Se il giudice dell’esecuzione definisce il processo esecutivo, dichiarandone l’improcedibilita’ (o se, con definizione impropria, ne dichiara la cd. estinzione atipica, o comunque lo chiude di fatto a seguito dell’avvenuta assegnazione degli importi dovuti al creditore; e cio’ soprattutto laddove, ad es. nel pignoramento presso terzi, dichiari espressamente lo svincolo delle somme pignorate e quindi liberi il terzo dai suoi obblighi di custodia), questo provvedimento e’ sul piano logico del tutto incompatibile con un provvedimento implicito di sospensione dell’esecuzione. Al tempo stesso e’ evidente che un provvedimento di sospensione dell’esecuzione e’ logicamente incompatibile con la dichiarazione di estinzione o di improcedibilita’ del processo esecutivo, e a fortiori con la liberazione dei beni pignorati.

Laddove il processo esecutivo sia stato definito dal giudice dell’esecuzione, quindi, non potra’ esservi alcuno spazio per ravvisare un provvedimento (neanche implicito) di sospensione reclamabile.

Il creditore potra’ proporre esclusivamente l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che ha definito il processo (sia esso espresso come dichiarazione di improcedibilita’, di estinzione cd. atipica o di assegnazione degli importi dovuti al creditore e di chiusura della procedura), ma non certo il reclamo ai sensi dell’articolo 624 c.p.c., che e’ riservato al provvedimento cautelare di sospensione emesso in un processo esecutivo che resta pendente.

Cio’ non toglie che, se era stata proposta una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c. (e non vi era stata rinunzia ad essa), le parti possano coltivarla (secondo le modalita’ illustrate nella gia’ citata Cass. n. 22033/2011, i cui principi restano validi anche in tale ipotesi). Il suo esito, pero’ (almeno in mancanza di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., avverso il provvedimento che ha definito l’esecuzione), non potra’ consentire la riapertura o la riassunzione del processo esecutivo ormai definito (anche perche’ i beni pignorati sono stati ormai irreversibilmente liberati dagli effetti conservativi del pignoramento), e avra’ efficacia solo per ulteriori e futuri rapporti tra le parti (ad. es. un nuovo pignoramento sulla base del medesimo titolo, o un nuovo giudizio di cognizione con riguardo al medesimo rapporto obbligatorio).

Vanno dunque affermati i seguenti principi di diritto.

“Nei casi in cui il giudice dell’esecuzione dichiari l’improcedibilita’ (o l’estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via ne’ sommaria ne’ provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, e’ impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 617 c.p.c.; diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta percio’ pendente, e’ impugnabile con il reclamo ai sensi dell’articolo 624 c.p.c.. Al fine di distinguere tra le due ipotesi deve ritenersi decisivo indice della natura definitiva del provvedimento la circostanza che con esso sia disposta (espressamente, o quanto meno implicitamente, ma inequivocabilmente) la liberazione dei beni pignorati.

In entrambi i casi, quando e’ stata proposta una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che sospende o chiude il processo, deve contestualmente fissare il termine per l’instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione (salvo che l’opponente stesso vi rinunzi) e, in mancanza, sara’ possibile per la parte interessata chiedere l’integrazione del provvedimento ai sensi dell’articolo 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito (Cass. n. 22033/2011 e successive conformi). Peraltro, solo se il processo esecutivo non e’ stato definito, ma resta pendente, e’ eventualmente possibile, all’esito dell’opposizione, la riassunzione dell’esecuzione. Se, invece, il processo esecutivo e’ stato definito con liberazione dei beni pignorati e non vi e’ stata opposizione accolta agli atti esecutivi, il giudicato sull’opposizione all’esecuzione potra’ fare stato tra le parti solo ai fini di futuri eventuali nuovi processi, ma non sara’ possibile la riassunzione dell’esecuzione, definitivamente chiusa”.

Alla luce dei principi sopra esposti, nel caso di specie per un verso va rilevata l’inammissibilita’ del motivo di ricorso in esame, per difetto di specificita’, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui esso non richiama espressamente il contenuto dell’atto di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., che a dire dell’istituto ricorrente esso avrebbe avanzato nel corso del processo esecutivo, nonche’ quello del provvedimento del giudice dell’esecuzione, nella parte in cui abbia eventualmente manifestato l’intenzione di provvedere esclusivamente in ordine a tale ricorso, senza esercitare i propri poteri officiosi di rilievo del difetto del titolo esecutivo.

Per altro verso, il motivo di ricorso e’ comunque manifestamente infondato, in quanto l’avvenuta liberazione del beni pignorati (espressamente disposta dal giudice dell’esecuzione, secondo quanto dichiarato dallo stesso istituto ricorrente: cfr. pag. 5 del ricorso), e’ indice inequivocabile ed incontrastabile della definitivita’ del provvedimento impugnato, della cui assoggettabilita’ all’opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’articolo 617 c.p.c., non puo’ quindi dubitarsi.

3. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’articolo 480 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”. Il motivo e’ inammissibile, per difetto di specificita’, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Risulta dagli atti che, prima della notificazione dell’atto di precetto, l’INPS aveva provveduto al pagamento delle somme portate dal titolo esecutivo (nella specie costituito da sentenza di condanna al pagamento delle spese di un precedente giudizio, distratte in favore del procuratore costituito della parte ai sensi dell’articolo 93 c.p.c.), oltre a spese successive per Euro 63,62, e che la (OMISSIS) ha intimato precetto per ottenere il pagamento del residuo importo di Euro 124,25 a titolo di spese successive, non coperto dalla cifra a tal fine corrisposta dall’istituto.

Il Tribunale – contrariamente a quanto statuito dal giudice dell’esecuzione – ha ritenuto legittima l’intimazione del pagamento di tali ulteriori spese.

Nel ricorso, peraltro, l’istituto ricorrente non specifica ne’ quali siano le spese successive alla formazione del titolo riconosciute e pagate prima dell’intimazione, ne’ quali siano le spese di cui la creditrice ha intimato il pagamento. La trascrizione dell’atto di precetto risulta sul punto incompleta: il ricorrente omette di trascriverne in ricorso i decisivi passaggi nei quali la creditrice, dopo avere dato atto dei pagamenti parziali ricevuti, doveva verosimilmente avere indicato i motivi per i quali non li riteneva satisfattivi e si era indotta ad intimare il pagamento di ulteriori somme.

Di conseguenza, la tecnica o modalita’ di redazione del ricorso priva questa Corte della stessa possibilita’ di esaminare la fondatezza della doglianza in rapporto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che si incentra sostanzialmente sul carattere non esaustivo dei pagamenti effettuati dall’istituto intimato e riconosciuti dalla precettante (ratio decidendi che fonda la reiezione dell’analoga censura avanzata dall’istituto ricorrente in sede esecutiva e riconosciuta fondata in quella stessa sede dal giudice dell’esecuzione col provvedimento oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi definita con la sentenza oggi gravata).

Poiche’ il ricorso sul punto difetto di specificita’, non e’ consentito alla Corte di pervenire all’esame nel merito del secondo motivo.

4. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’articolo 91 c.p.c., e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Il motivo e’ manifestamente fondato.

La liquidazione dell’importo di Euro 4.600,00 a titolo di onorario di avvocato, per una causa il cui valore era inferiore ad Euro 1.100,00 (considerato che l’importo precettato ammontava ad Euro 327,59) risulta certamente violare i valori massimi previsti dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.

La pronuncia impugnata va pertanto cassata con riguardo al capo relativo alla liquidazione delle spese di lite, la cui regolazione andra’ nuovamente effettuata in sede di rinvio, e in ogni caso mantenuta nell’ambito dei valori previsti dal suddetto decreto ministeriale.

5. Il primo motivo del ricorso e’ rigettato, il secondo e’ dichiarato inammissibile, mentre e’ accolto il terzo motivo. La sentenza impugnata e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Foggia, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il primo motivo del ricorso; dichiara inammissibile il secondo; accoglie il terzo e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Foggia, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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