Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 6 settembre 2017, n. 20858

In tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, una nullita’ per violazione di norme imperative ex articolo 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicita’, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonche’ con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributarla con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998.

E’ opportuno sottolineare che, secondo quanto espressamente precisato nella decisione appena richiamata, quella della nullita’ del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella (presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 – 01) che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussista cioe’ tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all’entita’ del canone, onde ad essa non e’ comunque applicabile la L. 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, invocato dal ricorrente, e riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie.

Ne consegue la manifesta infondatezza della domanda del ricorrente di ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di canoni per il periodo anteriore alla registrazione del contratto, sulla base della pretesa nullita’ del rapporto per tale periodo, e la correttezza della decisione impugnata, che tale domanda ha rigettato.

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Ordinanza 6 settembre 2017, n. 20858
Data udienza 27 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 13766 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto da:

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

(OMISSIS) S.a.s. in liquidazione (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n. 6274/2015, pubblicata in data 24 novembre 2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 27 giugno 2017 dal consigliere Tatangelo Augusto.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) S.a.s. ha agito in giudizio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per ottenere il rilascio di un proprio immobile ed il pagamento di un’indennita’ per l’occupazione senza titolo dello stesso.

Il (OMISSIS) e la (OMISSIS), nel resistere alla domanda, hanno dedotto l’esistenza di un contratto di locazione formalmente stipulato per la durata di dodici mesi, per esigenze transitorie, a decorrere dal 1 dicembre 2007, sebbene in realta’ l’immobile fosse destinato alle stabili esigenze abitative del nucleo familiare del conduttore (OMISSIS), contratto registrato solo nel gennaio 2014 da esso convenuto, ai sensi del Decreto Legge 14 marzo 2011, n. 23, articolo 3, comma 8.

In via riconvenzionale hanno quindi chiesto accertarsi che il rapporto era regolato dalle disposizioni di cui al suddetto del Decreto Legislativo n. 23 del 2011, articolo 3, comma 8, (e per gli altri aspetti dalle L. n. 431 del 1998), onde la locazione aveva decorrenza dal 16 gennaio 2014 ed il canone dovuto era pari al triplo della rendita catastale, nonche’ condannarsi la locatrice a restituire tutte le somme percepite in precedenza a titolo di canoni in assenza di valido titolo ed il deposito cauzionale eccedente quello dovuto per legge.

Il Tribunale di Roma, dichiarate improponibili le domande avanzate da e contro (OMISSIS) per difetto di legittimazione attiva e passiva, in accoglimento di quelle della societa’ attrice, ha condannato il (OMISSIS) al rilascio dell’immobile ed al pagamento di una indennita’ per l’occupazione dello stesso.

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, e su appello del (OMISSIS), nel confermare il rigetto delle domande da quest’ultimo proposte, ha rigettato anche quelle avanzate dalla societa’ attrice.

Ricorre il (OMISSIS), sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la (OMISSIS) S.a.s. in liquidazione.

Il ricorso e’ stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380 – bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere rigettato.

Il ricorrente (OMISSIS) ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 380 – bis c.p.c., comma 2.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo e’ manifestamente infondato.

La corte di appello ha espressamente pronunziato, rigettandole, su tutte le domande avanzate dal ricorrente (OMISSIS) (anche quella di ripetizione delle somme versate a titolo di canoni anteriormente alla registrazione del contratto, come del resto quest’ultimo riconosce chiaramente: cfr. i primi 5 righi del primo motivo del ricorso, a pag. 13 dello stesso).

Il ricorrente si duole in sostanza dell’erronea interpretazione della propria domanda, che assume di avere proposto non solo sulla base delle previsioni di cui al Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, articolo 3, comma 8, (disposizione dichiarata incostituzionale, cosi’ come quella di cui al Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47, articolo 5, comma 1 ter, convertito in L. 23 maggio 2014, n. 80, che ne aveva fatti salvi transitoriamente gli effetti), ma anche sulla base dei principi generali in tema di nullita’.

E’ peraltro sufficiente, in proposito, richiamare il costante indirizzo di questa Corte, per cui “in sede di legittimita’ occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su una domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere – dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini delle pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attivita’ integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 20373 del 24/07/2008, Rv. 604671 – 01; nel medesimo senso, ex multis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7932 del 18/05/2012, Rv. 622562 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2630 del 05/02/2014, Rv. 630372 – 01; Sez. L, Sentenza n. 21874 del 27/10/2015, Rv. 637389 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12259 del 20/08/2002, Rv. 556969 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16596 del 05/08/2005, Rv. 584751 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 15603 del 07/07/2006, Rv. 592485 – 01).

D’altra parte – come meglio si vedra’ esaminando gli ulteriori motivo del ricorso – la pretesa nullita’ del contratto di locazione (anche al di la’ dell’applicabilita’ delle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23) e’ stata implicitamente, ma inequivocabilmente, esclusa dai giudici del merito.

Le censure del ricorrente, sotto il profilo in esame, non possono dunque trovare seguito.

2. Con il secondo motivo si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1421 c.c. e della L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.

Anche questo motivo e’ manifestamente infondato.

Come emerge dallo stesso ricorso, il giudice di primo grado aveva ritenuto nullo il contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti, in quanto non registrato, affermando che la registrazione operata dal conduttore nel 2014 non era ad esso riferibile, ma ad un diverso contratto, a sua volta nullo per difetto di forma scritta.

La corte di appello – in accoglimento peraltro del gravame dello stesso (OMISSIS) – lo ha, al contrario, espressamente considerato valido, dichiarando nulla (in quanto simulata) solo la clausola relativa alla sua transitorieta’.

Ha di conseguenza accertato la sussistenza di una “locazione abitativa ordinaria” con decorrenza dal 1 dicembre 2007 (e scadenza al 30 novembre 2015), avendo escluso la stipulazione di un diverso successivo contratto verbale, e avendo ritenuto configurabile un “contratto unico, pur non registrato (se non successivamente, nel gennaio 2014, subito dopo l’introduzione del presente giudizio) all’epoca”.

Ha cioe’ (implicitamente, ma inequivocabilmente) ritenuto che la registrazione tardiva del contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti non fosse di ostacolo all’accertamento della sua validita’.

Sotto questo aspetto, la decisione e’ conforme al recente indirizzo di questa Corte (specificamente riferito alle locazioni per uso commerciale, ma in base ad un principio valido anche in relazione a quelle per uso abitativo) secondo cui “in tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, una nullita’ per violazione di norme imperative ex articolo 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicita’, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonche’ con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributarla con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998″ (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 28/04/2017, Rv. 644006 – 01).

E’ opportuno sottolineare che, secondo quanto espressamente precisato nella decisione appena richiamata, quella della nullita’ del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella (presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 – 01) che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussista cioe’ tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all’entita’ del canone, onde ad essa non e’ comunque applicabile la L. 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, invocato dal ricorrente, e riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie.

Ne consegue la manifesta infondatezza della domanda del ricorrente di ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di canoni per il periodo anteriore alla registrazione del contratto, sulla base della pretesa nullita’ del rapporto per tale periodo, e la correttezza della decisione impugnata, che tale domanda ha rigettato.

3. Con il terzo motivo si chiede la “decisione nel merito della controversia ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2”.

La richiesta di decisione della controversia nel merito, a seguito di cassazione della decisione impugnata, e’ evidentemente assorbita dal rigetto dei primi due motivi di ricorso.

4. Il ricorso e’ rigettato.

I mutamenti giurisprudenziali e legislativi intervenuti nel corso del giudizio giustificano la integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 – quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

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