La massima
Ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera, si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668, comma 2, c.c. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l’art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, e ciò in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del creditore.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 

SEZIONE VI

ORDINANZA 18 maggio 2012 7942

Considerato in fatto

La CERRUTI CONTRACT s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 26 marzo 2010 che nell’ambito del giudizio promosso dalla stessa società CERRUTI per ottenere la condanna di A..C. al pagamento in suo favore della somma di Euro 83.181,91 a titolo di corrispettivo per mobili ed arredi per la casa eseguiti su misura, spiegata dal convenuto domanda riconvenzionale alternativa ex art. 1457 c.c. ovvero ex art. 1453 c.c. oppure la riduzione del corrispettivo, in riforma della decisione del giudice di prime cure che aveva accolto solo parte delle eccezioni di parte convenuta, riteneva la parziale fondatezza dell’appello principale e in accoglimento della spiegata riconvenzionale dichiarava la risoluzione del contratto, disponendo le restituzioni. Il ricorso è affidato a tre motivi di impugnazione.

Si è costituito con controricorso il C. .

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.

Ritenuto in diritto

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Con la prima censura la società ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione per essere la corte di merito incorsa in errore nel ritenere non eseguita parte della fornitura (il letto matrimoniale) risultata invece adempiuta e non eseguita colposamente altra fornitura (i comodini della stessa camera da letto) che invece era stata esclusa dalle stesse parti, circostanze tutte chiaramente esposte nella relazione dal c.t.u..

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge in relazione all’art. 1457 c.c., nonché il vizio di motivazione essendo di tutta evidenza l’illogicità ed inadeguatezza della motivazione frutto di una falsa valutazione delle risultanze processuali, posto che il termine fissato dalle parti era stato rinunciato dallo stesso C. che nulla aveva opposto alla tardiva esecuzione del contratto.

Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., nonché il difetto di motivazione per non avere la corte di merito tenuto conto del comportamento della parte ritenuta non inadempiente al fine di stabilire la rilevanza (oggettiva e soggettiva) dell’inadempimento medesimo ex art. 1455 c.c..

I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la sostanziale reiterazione degli argomenti, appaiono privi di pregio.

In realtà, con i motivi proposti, con i quali viene prospettata una parcellizzazione della prestazione commissionata, la ricorrente pretende di accreditare una diversa lettura degli elementi probatori acquisiti che mostra di non cogliere la ratio complessiva della decisione impugnata e non può trovare ingresso in questa sede, atteso che la interpretazione fornita dalla corte territoriale risulta supportata da argomentazioni del tutto adeguate ed immuni da vizi logici e giuridici.

Occorre premettere che, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668, comma 2, c.c. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l’art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, e ciò in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del creditore. Pertanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidano in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima si da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre, se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell’articolo 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore. A tal fine, la valutazione delle difformità o dei vizi deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia considerando la destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone, mentre deve essere compiuta con criteri subiettivi quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano dedotti in contratto (in tali sensi, tra le tante, sentenze 15/5/2002 n. 7061; 29/11/2001 n. 15167; 2/8/2001 n. 10571; 4/11/1994 n. 9078; 20/9/1990 n. 9613; 4/8/1990 n. 7872).

Incombe poi al committente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi dedotti a fondamento della domanda di risoluzione del contratto di appalto, mentre compete all’appaltatore addurre l’esistenza di eventuali cause che impediscano al committente di far valere il suo diritto. Se poi le parti hanno chiesto utili mezzi di prova a sostegno delle rispettive tesi, il giudice deve prendere in considerazione le relative richieste qualora l’espletamento dei mezzi di prova possa fornire elementi per un più completo accertamento delle situazioni di fatto influenti sul giudizio. E ciò che hanno fatto i giudici di merito, allorché, nel valutare complessivamente la prestazione fornita dalla società ricorrente, che al momento della richiesta di emissione di decreto ingiuntivo per il saldo del prezzo non aveva ancora completato l’arredo commissionato, hanno accertato sulla scorta degli elementi obiettivi, specificamente elencati nella consulenza tecnica di ufficio, che la mobilia realizzata era di una tipologia affatto diversa rispetto a quella concordata con il committente. Del resto il prezzo complessivo pattuito con riferimento all’intero arredo, particolarmente elevato per la tipologia di mobili, ha indotto la corte di merito a considerare che la prestazione sostanzialmente fornita, nell’ambito dell’unitaria prestazione, oltre al mancato completamento dell’opera e all’inosservanza dei specificati termini di consegna, ha reso l’opera del tutto inadeguata alla finalità a cui era preordinata, in quanto la eliminazione dei vizi riscontrati non consentirebbe comunque di assicurare all’arredo la pregevolezza programmata.

Una volta assunta la inadeguatezza della prestazione, la risoluzione del contratto per inadempimento non può che essere conseguente”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio e, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

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