Il testo integrale

Suprema Corte di Cassazione

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 20 ottobre – 23 novembre 2011, n. 24748

Svolgimento del processo

È stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti:

“1. – A..F. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1368/09 della Corte di Appello di Bologna, pubbl. il 18.11.09 e non notificata, resa in secondo grado sull’appello proposto da lei avverso la sentenza del Tribunale di Bologna, pronunciata anche nei confronti della Winterthur assicurazioni (poi divenuta Aurora Assicurazioni) e di M.E. e P., relativa ad un sinistro stradale in dipendenza del quale la F. aveva patito serie lesioni; nessuno degli intimati resiste.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio – ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., nonché dell’art. 360-bis c.p.c. (inserito dall’art. 47, co. 1 lett. a) della legge 18.6.09 n. 69) – ed essere rigettato, per manifesta infondatezza, alla stregua delle considerazioni che seguono.

La ricorrente si affida a quattro motivi, con cui censura: la valutazione della preponderanza del concorso di colpa di essa danneggiata (quantificato dai giudici di merito in due terzi, sicché il risarcimento spettante era già coperto dal pagamento dell’assicuratrice), invece ritenuto insussistente; un vizio di motivazione sulla condotta di guida del conducente del veicolo investitore; un vizio di motivazione sulla non corrispondenza dello stato dei luoghi (la presenza di una folta siepe che rendeva poco visibile l’immissione dal cortile privato da cui era uscita la danneggiata) rispetto al tempo del sinistro; la violazione di legge sulla liquidazione del danno, per insufficienza delle tabelle del Tribunale di Bologna – oltretutto nemmeno aggiornate – ed erroneità del conteggio delle spese mediche, inidoneità della quota di danno morale riconosciuta, omesso riconoscimento di interessi e rivalutazione, come pure di spese successive dedotte in grado di appello.

La complessiva censura ricavabile dai primi tre motivi tende a dare ingresso a profili manifestamente incensurabili in sede di legittimità, in quanto intende ricostruire causale e dinamica del sinistro per cui è causa in senso differente da quanto operato dai giudici di merito con la diretta valutazione del materiale probatorio acquisito; ben al contrario, nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2007 n. 7972, Cass. 14 giugno 2007 n. 7972 e Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Del resto, tali censure non potrebbero neppure essere apprezzate, visto che, in violazione tra l’altro del principio di autosufficienza, non si deduce in quale specifico passo di quale particolare atto del giudizio di merito e con quali specifiche istanze istruttorie o deduzioni pretermesse (sul punto, tra le molte, v. Cass. sez. un. 28 luglio 2005 n. 15781, Cass. 17 luglio 2007 n. 15952, Cass. 27 febbraio 2009 n. 4849 e Cass. 3 marzo 2009 n. 5043) sia stata dedotta e provata la non presenza della folta siepe al momento del sinistro, in base alla quale i giudici di merito hanno, nonostante la pure riconosciuta condotta colposa dell’investitore, escluso la visibilità del varco privato da cui la danneggiata si era immessa nella circolazione, così esaltando il concorso causale proprio di costei.

Quanto alle doglianze sulla quantificazione, è del tutto generica la doglianza sull’insufficienza delle cc.dd. tabelle applicate: queste costituiscono soltanto un parametro per la liquidazione equitativa comunque da operarsi con adeguata personalizzazione (tra le tante, v. Cass. 8 marzo 2006 n. 4980, Cass. 11 gennaio 2007 n. 392, Cass. 21 settembre 2007 n. 19493), sicché non si ha un diritto soggettivo all’applicazione dell’una o dell’altra; del resto, mancano pure una analitica indicazione e specifici elementi di prova sulle ragioni per i quali il concreto risultato della liquidazione – e quindi la somma effettivamente liquidata -sarebbe inidoneo rispetto alla fattispecie; inoltre, la liquidazione equitativa può poi anche comprendere gli accessori, ove riferita al momento della liquidazione, così ritenendosi questi inglobati nel totale riconosciuto.

Infine, quanto alle spese mediche pretermesse o successive, anche in questo caso è violato il principio di autosufficienza del ricorso, perché non si indicano analiticamente né le stesse, né i passaggi o luoghi dei giudizi di merito in cui le relative deduzioni sarebbero state operate in modo ammissibile e le doglianze avverso i cui mancati riconoscimenti sarebbero state sollevate.

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso…”.

Motivi della decisione

Non sono state presentate conclusioni scritte; tuttavia, la ricorrente ha presentato memoria ai sensi del terzo comma dell’art. 380 bis cod. proc. civ. ed il suo difensore è comparso in camera di consiglio per essere sentito.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione, visto che le repliche alla stessa, contenute nella memoria depositata dalla ricorrente, benché esprimano la soggettiva opinione della parte in ordine ai vizi motivazionali in cui sarebbe incorso il giudice a quo, non giustificano il superamento delle considerazioni svolte nella relazione medesima.

In primo luogo, nonostante la carenza di valida notificazione a M.P., ritiene il Collegio non necessaria la sua rinnovazione, potendo alla fattispecie – connotata dalla manifesta infondatezza del ricorso ed assimilabile pertanto a quella decisa dalla pronuncia di cui appresso – applicarsi il principio generale formulato da Cass. Sez. Un. 22 marzo 2010, n. 6826.

In secondo luogo, ribadita la valutazione della direzione del ricorso, coi suoi primi motivi, avverso la ricostruzione in fatto operata dal giudice del merito, risultando le lamentate violazioni dei canoni di giudizio invece – dinanzi alle motivazioni comunque fornite – censure sui risultati della relativa complessiva operazione.

In terzo luogo, la violazione del principio di autosufficienza risulta conclamata dal fatto che ancora una volta si fa riferimento ad atti (la memoria ex art. 184 c.p.c. ed il successivo elaborato peritale) del cui contenuto si è evidentemente omessa la trascrizione integrale – o se non altro dei passi testuali salienti – nel ricorso per cassazione.

In quarto luogo, va ribadito che non sono forniti elementi per verificare se e come la concreta liquidazione del danno in applicazione – asseritamente errata – delle tabelle indicate sia stata in concreto inadeguata; mentre neppure si può sopperire alle carenze, rilevanti ai fini della non autosufficienza del ricorso, riscontrate al punto 7 della relazione.

Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., in definitiva adesione alle conclusioni della relazione suddetta, disattesa l’istanza di rinnovare la notificazione del ricorso per cassazione, il ricorso va rigettato; ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

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