Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 27 maggio 2014, n. 11814

Fatto e diritto

E’ stata depositata la seguente relazione:
1) La Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 21.4.2011, ha parzialmente accolto l’appello proposto dal Comune di San Ferdinando di Puglia contro la sentenza di primo grado, che aveva condannato l’appellante a pagare a F.F. la somma di € 250.000, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno da questi subito per essere stato iscritto nel registro degli indagati ed aver ricevuto la notifica di un avviso di garanzia a causa del comportamento colposo dell’ente locale, che aveva trasmesso alla Procura della Repubblica del Tribunale di Foggia i suoi dati anagrafici, anziché quelli del suo omonimo effettivamente coinvolto nell’indagine penale.
La corte territoriale, rilevato che i fatti posti a fondamento della domanda erano provati e che il ctu aveva accertato la sussistenza del nesso di causalità fra gli stessi ed il danno lamentato, consistente nell’aggravamento del pregresso stato psicopatologico del F., ha ritenuto fondati i motivi con i quali il Comune aveva lamentato l’eccessivo ammontare del danno liquidato. Pertanto, tenuto conto del breve lasso di tempo (di soli 16 giorni) intercorso fra l’iscrizione del leso nel registro degli indagati e la rettifica operata dalla Procura e della natura dei reati che gli erano stati contestati (lesioni personali e danneggiamento per aver dato uno schiaffo ad un conoscente, procurandogli la rottura degli occhiali), ha liquidato il danno, in via equitativa, nella misura di € 16.000 oltre rivalutazione ed interessi dalla data della domanda.
La sentenza è stata impugnata dal Comune di san Ferdinando di Puglia con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
F.F. non ha svolto attività difensiva.
2) Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione e lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che non v’era alcuna prova della sussistenza del nesso di causalità fra il fatto contestato ed il danno psicofisico lamentato dal F., non potendo tale prova, in mancanza di qualsivoglia certificazione medica prodotta dal leso, essere tratta unicamente dalla disposta ctu.
3) Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver il giudice d’appello dapprima affermato che nella specie la ctu, che non poteva esonerare la parte dall’onere della prova dei fatti dedotti, era servita soltanto a fornire le cognizioni tecniche necessarie alla valutazione del danno reclamato, ed aver successivamente desunto proprio da tale ctu la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta del Comune e la malattia insorta.
I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, appaiono infondati, se non inammissibili.
Infatti la ricorrenza del nesso di causalità fra il comportamento colposo del Comune ed il danno lamentato dal F. ben poteva essere provato attraverso l’espletamento della ctu, atteso che tale mezzo di indagine è tipicamente volto a soccorrere il giudicante nell’accertamento di fatti che richiedano la conoscenza di specifici dati tecnici (fra i quali indubbiamente rientrano gli accertamenti concernenti l’aggravamento di una pregressa malattia e le cause o le concause che lo abbiano provocato).
L’adesione della corte territoriale alle conclusioni assunte dal ctu in ordine alla ricorrenza del nesso eziologico non contrasta pertanto con l’affermazione dell’utilità dell’indagine al fine dell’acquisizione delle cognizioni tecniche necessarie alla valutazione del danno.
Il giudice del merito, peraltro, con accertamento che non è stato specificamente contestato dal ricorrente, non ha mancato di rilevare che non era stata sollevata alcuna censura in ordine all’affermata, pregressa esistenza dello stato psicopatologico del F. né in ordine al suo aggravamento ed ha dunque correttamente concluso che, poiché la malattia era stata riscontrata in via diretta dal consulente, non erano necessari elementi documentali a conferma della diagnosi.
Il Comune, d’altro canto, non ha richiamato in ricorso i rilievi critici eventualmente svolti per contrastare le conclusioni del ctu, né si è doluto che la corte territoriale abbia ad esse aderito, ritenendole sorrette da un corretto metodo di indagine e da motivazioni condivisibili.
Si propone pertanto che il ricorso sia rigettato con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 n. 1 e 5 e 380 bis c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il collegio ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
Non v’è luogo alla liquidazione delle spese in favore della parte intimata, che non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 
La Corte rigetta il ricorso.

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