Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 14 dicembre 2016, n. 52900

Ai fini della applicazione della misura della liberta’ vigilata all’esito del giudizio abbreviato, deve sempre aversi riguardo alla pena principale inflitta in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 14 dicembre 2016, n. 52900

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 08/04/2016 della Corte di appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Pinelli Mario Maria Stefano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino, in accoglimento parziale dell’appello proposto dall’imputato (OMISSIS), riformava, limitatamente al trattamento sanzionatorio, la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, che, all’esito di giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato responsabile del delitto di cui all’articolo 572 c.p., riducendo la pena inflittagli nella misura di mesi otto di reclusione e confermando nel resto (in particolare anche la misura di sicurezza della liberta’ vigilata per un anno).

All’imputato era stato contestato di aver maltrattato la madre, sottoponendola ad un regime di persecuzioni, consistite nell’imporle con prepotenza di preparargli i pasti e di sottomettersi ai suoi voleri con insulti, nel tormentarla con insistenti telefonate e nell’agire con violenza nei suoi confronti, regime aggravato dal timore determinato da pregressi episodi di violenza ai danni di terzi e dalla patologia (disturbo paranoico) di cui era afflitto.

La Corte di appello disattendeva l’eccezione difensiva in ordine alla mancanza di riscontri delle dichiarazioni della persona offesa, evidenziando come le stesse avessero trovato puntuale conferma in quelle di (OMISSIS), rispettivamente padre dell’imputato ed ex marito della persona offesa, e di (OMISSIS), moglie separata dell’imputato, la cui credibilita’ era dimostrata dal fatto che erano persone equidistanti dagli interessi in gioco, in quanto non vivevano piu’ con l’imputato e neppure con la parte offesa.

Anzi, (OMISSIS) avrebbe dovuto ragionevolmente protendere per il figlio, anziche’ per la ex-moglie.

Quanto alla pena inflitta, la Corte territoriale rigettava la tesi difensiva, secondo cui il reato dovesse essere punito secondo la cornice edittale prevista dall’articolo 572 c.p., prima della novella della L. n. 172 del 2012, essendosi la condotta protratta successivamente all’entrata in vigore della suddetta legge.

La stessa Corte infine, nel mitigare la pena per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche (nella misura finale di mesi otto di reclusione), confermava la misura della liberta’ vigilata, ritenendo, che al di la’ delle valutazioni del perito (oggetto di critica nell’appello), la pericolosita’ dell’imputato andasse desunta dai comportamenti emersi in altro procedimento per maltrattamenti contro la moglie e la figlia, nonche’ dall’abitudine di questi, emersa da una precedente condanna, a rivolgere fastidiosi dispetti a chiunque avesse osato contrapporsi al suo volere.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione personalmente l’imputato, denunciando i seguenti motivi di annullamento.

Con il primo motivo deduce la contraddittorieta’ della motivazione in relazione ai riscontri delle dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, desunti dalle dichiarazioni dell’ex marito della donna e dalla moglie separata dell’imputato, ritenute credibili perche’ equidistanti dagli interessi in gioco: al contrario dagli atti risultavano circostanze diverse ovvero che il primo era ancora convivente con la persona offesa all’epoca in cui furono rese le dichiarazioni (tanto che quest’ultima Io definiva ancora come “marito”) e la seconda era mantenuta economicamente dai genitori dell’ex marito.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 572 c.p. in relazione al trattamento sanzionatorio, che doveva essere individuato nella cornice edittale antecedente alla novella del 2012, in quanto nella querela del 18 giugno 2014 la persona offesa aveva ritenuto il reato gia’ concretizzato nel 2011.

Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 229 c.p. in relazione alla misura della liberta’ vigilata, applicata nonostante l’inflizione di una pena di otto mesi di reclusione e comunque motivata in modo illogico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ solo parzialmente fondato.

2. Il primo motivo e’ inammissibile.

La censura e’ infatti da un lato aspecifica, nella misura in cui non si confronta con la complessiva motivazione della sentenza impugnata sul punto oggetto di impugnazione.

La tesi difensiva dell’errore sulla circostanza che i coniugi (OMISSIS), genitori dell’imputato, non convivessero all’epoca in cui furono rese le dichiarazioni, non disarticola infatti il ragionamento della sentenza impugnata, risultando privo di decisivita’. Invero, la Corte territoriale ha valutato la attendibilita’ delle dichiarazioni del padre dell’imputato sul rilievo che il teste in ogni caso (quindi indipendentemente dalla convivenza o meno con la parte offesa) doveva ritenersi credibile, in quanto avrebbe ragionevolmente tutelato il figlio anziche’ propendere per l’ex moglie.

Per il resto, il ricorrente sviluppa considerazioni non consentite in questa sede sulla attendibilita’ dalla ex moglie dell’imputato, pretendendo che la Corte di legittimita’ si sostituisca al giudice di merito nella valutazione della prova dichiarativa (tra le tante, Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087).

3. La prospettazione difensiva sulla legalita’ della pena, secondo cui una volta commessa la serie “minima” di condotte necessarie ad integrare il delitto di cui all’articolo 572 c.p., le successive condotte siano meri “tasselli” aggiunti ininfluenti ai fini della punibilita’ del reato (con conseguente applicazione, per tutta la sequenza seriale di condotte, della cornice edittale prevista prima della riforma del 2012) non ha fondamento alcuno.

La fattispecie di cui all’articolo 572 c.p. e’ pacificamente considerata un reato a condotta plurima o abituale, nel quale l’elemento materiale si concreta in una serie di fatti lesivi: ciascuna delle singole azioni rappresenta quindi un elemento della serie, al realizzarsi della quale sorge la condotta tipica.

Ai fini della consumazione del reato si e’ affermato pertanto che il suddetto delitto si perfeziona allorche’ si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualita’ (Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Cassani, Rv. 201148), ovvero nel momento in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti (Sez. 6, n. 43221 del 25/09/2013, B., Rv. 257461).

Cio’ non elimina tuttavia la struttura persistente e continuativa del reato, dotata, ad ogni effetto giuridico-penale, di natura omogenea ed unitaria: con la conseguenza che ogni successiva condotta di maltrattamenti compiuta dallo autore si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario.

Invero si e’ sostenuto che fintanto la serie di atti delittuosi non abbia termine deve essere ravvisata l’unitarieta’ della condotta penalmente rilevante (Sez. 6, n. 2359 del 09/12/1969, dep. 1970, Floramo, Rv. 113944).

In tale prospettiva, questa Corte ha anche affermato in tema di prescrizione che il reato in esame, “reato di durata”, mutua la disciplina della prescrizione da quella prevista per i reati permanenti: con la conseguenza che per esso il decorso del termine di prescrizione avviene dal giorno dell’ultima condotta tenuta, la quale chiude il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti, forma la serie minima di rilevanza (Sez. 6, n. 39228 del 23/09/2011, S., in motivazione).

4. E’ fondato l’ultimo motivo relativo alla misura di sicurezza.

In sede di appello con la inflizione della pena di otto mesi di reclusione, e’ venuto meno il presupposto del quantum di pena, previsto dall’articolo 229 c.p., comma 1, n. 1, per l’applicazione della misura della liberta’ vigilata.

Ne’ ha rilievo la circostanza che la pena finale sia stata diminuita per l’effetto della scelta del rito, dovendosi applicare il condivisibile principio affermato da questa Corte in tema di pene accessorie (Sez. U, n. 8411 del 27/05/1998, Ishaka, Rv. 210980; Sez. 1, n. 18149 del 04/04/2014, Di Benedetto, Rv. 259749), secondo cui occorre considerare l’entita’ della pena inflitta in “concreto”.

Le ragioni esplicitate dal suddetto orientamento sono infatti estensibili alla misura in esame, avendo il codice ricollegato anche la sua applicazione alla “condanna” ad una determinata pena, risultando del tutto indifferente “come” si sia pervenuti alla inflizione di essa.

Deve quindi affermarsi il seguente principio: “Ai fini della applicazione della misura della liberta’ vigilata all’esito del giudizio abbreviato, deve sempre aversi riguardo alla pena principale inflitta in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito”.

5. Conseguentemente, sulla base di quanto premesso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nella parte in cui ha confermato la misura della liberta’ vigilata, che deve essere eliminata; con rigetto del ricorso nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della liberta’ vigilata, che elimina.

Rigetta nel resto il ricorso

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