Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 20 luglio 2017, n. 35940

Per il pubblico ufficiale asservito a interessi personali di terzi che si traduca in atti formalmente legittimi ma discrezionali scatta il più grave reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e non la corruzione per l’esercizio della funzione

Sentenza 20 luglio 2017, n. 35940
Data udienza 14 giugno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersili – rel. Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Catania;

nel procedimento nei confronti di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la ordinanza del 13/03/2017 del Tribunale di Catania;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia accolto con l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Avverso la ordinanza, indicata in epigrafe, del Tribunale di Catania, che in sede di riesame ex articolo 309 c.p.p., ha annullato l’ordinanza cautelare emessa nei confronti di (OMISSIS), propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania.

(OMISSIS) era stato raggiunto dalla misura cautelare domiciliare perche’ gravemente indiziato del delitto di corruzione, per aver concorso nella promessa ed elargizione a (OMISSIS), membro di una commissione aggiudicatrice di una gara ad evidenza pubblica, di una tangente di 96.108 Euro, quale indebita utilita’ per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio – costituiti nel recepire le indicazioni del (OMISSIS), interessato alla vittoria del raggruppamento di imprese (OMISSIS) e (OMISSIS), effettivamente risultato poi aggiudicatario. Secondo l’ipotesi accusatoria, la tangente sarebbe stata versata all’ (OMISSIS) da (OMISSIS), sotto forma di compenso per un contratto di consulenza, redatto anche con la collaborazione del (OMISSIS).

In sede di riesame, il P.M. aveva modificato la provvisoria imputazione, indicando la prestazione sinallagmatica dell’ (OMISSIS) in quella di essersi reso disponibile a informare (OMISSIS) dell’andamento della gara mentre questa era in corso ed avvertirlo di eventuali problematiche che potessero impedire l’aggiudicazione in favore del predetto raggruppamento, nonche’ a recepire eventuali suggerimenti del (OMISSIS).

Il Tribunale riteneva che la condotta dell’ (OMISSIS) non fosse inquadrabile nello schema corruttivo, non essendo individuabile l’atto contrario ai doveri di ufficio. Nessun profilo di irregolarita’ era stata segnalata dall’accusa in ordine allo svolgimento della gara e alla relativa aggiudicazione e non risultava che lo stesso (OMISSIS) avesse compiuto o concordato interventi a favore del RTI, essendosi limitato a segnalare problematiche di natura tecnica delle quali aveva scarsa conoscenza.

D’altra parte, secondo il Tribunale, la versione fornita dall’ (OMISSIS) era di aver ricevuto una ricompensa per il favore fatto nella gara e quindi al di fuori del pactum sceleris richiesta dall’articolo 319 c.p..

Ne’ i fatti potevano, come prospettato dal P.M., configurare il reato di cui all’articolo 318 c.p., in mancanza di un pactum sceleris.

2. Il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 319 c.p., non avendo valutato il Tribunale che nel caso in esame si versava in ipotesi di vendita di funzione, connotata da ampia discrezionalita’ (sotto forma di preventiva rinuncia all’imparzialita’) e che non era necessario un accordo preventivo all’atto contrario ai doveri di ufficio, ben potendo la corruzione essere di tipo successivo (come nella specie, dove era stata versata una ricompensa per il favore fatto): era stato dimostrato che l’unica ragione giustificatrice dell’incarico di consulenza, affidato all’ (OMISSIS), era quello di ricompensarlo per la disponibilita’ manifestata.

Il ricorrente rileva altresi’ che analogamente per la fattispecie di cui all’articolo 318 c.p., anche alla luce della nuova formulazione della norma, non e’ richiesto che l’accordo illecito debba essere di tipo preventivo.

Si contestano altresi’ difetti motivazionali, per non aver valutato dati rilevanti, quali: la consapevolezza dell’ (OMISSIS) di aver assunto le sue funzioni solo grazie all’intervento del (OMISSIS); la dimostrazione della natura illecita dell’accordo sottostante e della consapevolezza dell’illiceita’ del patto corruttivo attraverso le modalita’ del pagamento, realizzate con una consulenza gonfiata e con l’emissione di fatture false in favore di societa’ cartiere maltesi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.

2. Va ribadito che integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, ex post, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo e’ costituito dalla “vendita” della discrezionalita’ accordata dalla legge (tra tante, Sez. 6, n. 4459 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiorani, Rv. 269613).

Invero, in tema di corruzione propria, costituiscono atti contrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti (perche’ vietati da atti imperativi) o illegittimi (perche’ dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validita’ ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volonta’ del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialita’ (Sez. 6, n. 30762 del 14/05/2009, Ottochian, Rv. 244530).

D’altra parte, e’ pacifico che il reato in oggetto possa essere integrato anche mediante atti di natura discrezionale o meramente consultiva, quando essi costituiscano concreto esercizio dei poteri inerenti l’ufficio e l’agente sia il soggetto deputato ad emetterli o abbia un’effettiva possibilita’ di incidere sul relativo contenuto o sulla loro emanazione. Ed invero, l’atto di natura discrezionale o consultiva non ha mai un contenuto pienamente “libero”, essendo soggetto, per un verso, al rispetto delle procedure e dei requisiti di legge, per altro verso, alla necessita’ di assegnare comunque prevalenza all’apprezzamento dell’interesse pubblico (Sez. 6, n. 8935 del 13/01/2015, Giusti, Rv. 262497; Sez. 6, n. 36212 del 27/06/2013, De Cecco, Rv. 256095), senza deviarne o stravolgerne il contenuto per tutelare interessi di ordine privatistico dietro la corresponsione di somme di denaro.

Da quanto premesso ne discende che configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il piu’ lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’articolo 318 c.p., lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quomodo, si conformino all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, dep. 2017, Bonanno, Rv. 269347).

Va poi aggiunto che l’articolo 319 c.p., prevede che le “utilita’” integranti la vendita delle funzioni siano erogate anche dopo l’esercizio delle funzioni stesse, in conformita’ al duplice schema perfezionativo del reato (Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234360; Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583; Sez. 6, n. 4105 del 01/12/2016, dep. 2017, Ferroni, Rv. 269501).

3. L’ordinanza impugnata, non conformandosi ai suddetti principi di diritto, ha conferito rilievo assorbente alla mancanza da un lato di una compravendita di uno specifico atto d’ufficio, dall’altro di un accordo corruttivo precedente all’esercizio delle funzioni.

Gli errori di diritto impongono pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato, perche’ il Tribunale proceda ad una nuova valutazione, che, nel riesaminare la gravita’ indiziaria, si estenda eventualmente agli altri punti attinti dal riesame e lasciati impregiudicati dalla precedente decisione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catania.

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